Nel frattempo Marilù e Tommaso siedono su una fioriera poco distante e leccano velocemente i loro coni, prima che il gelato coli e cada a terra.
Davanti a loro, giusto pochi metri, Alessio e Gabriele, riproducono le mosse di chissà quale cartone animato.
Marilù fissa con discrezione, cercando di non farsi vedere, quell'uomo che, da diversi minuti, sta parlando a raffica di tante, troppe cose per riuscire a stargli dietro.
A Tommaso in realtà sentire la sua stessa voce piace, non lo fa nemmeno con cattiveria.
Eppure sa benissimo che a volte può risultare pesante, molte fidanzate gliel'hanno fatto presente, a suo tempo; ricorda ancora i pub bui, i tavoli appiccicosi, la birra che gli impregnava i baffi, le lentiggini che gli uscivano d'estate e che detestava e le donne –anche Silvia- che sbuffavano, adesso con simpatia, adesso con reale insofferenza: «Tommaso, tira il fiato ogni tanto»; ricorda quando era uno studente di lettere e raccontava a tutti del romanzo che avrebbe voluto scrivere –anzi, che stava scrivendo-, e nessuno gli credeva.«Vai, vai» gli dicevano «guardati Woody Allen, vai al Bar mitzvah, fai l'intellettuale, quattr'occhi, che tanto c'hai mamma e papà che pagano: è arrivato lo scrittore, è arrivato Hemingway, è arrivato l'ebreo».
E tutte le volte a precisare che lui, in ebraico, non sapeva dire manco una parola, che l'unica cosa che gli restava di quelle origini, era la stella di David di suo nonno materno Immanouel detto Manuele, morto a Birkenau; per il resto, Tommaso De Carolis, era un ragazzino perfettamente romano, anzi, troppo romano, e pure romanista, di quelli che la domenica pomeriggio sbraitavano all'Olimpico.
Era uno che si era integrato benissimo, aveva i suoi amici, frequentava i suoi giri e fino all'università, nonostante gli occhiali da vista, i brufoli, i tratti spigolosi, la voce leggermente stridula, questa smania per i libri, e la poesia, e il leggere, e lo scrivere, era stato una persona perfettamente anonima.
Salendo in autobus o in metropolitana, nessuno si sarebbe accorto di lui, delle cuffie che spuntavano tra i ciuffi unti e biondicci, della borsa in pelle che si teneva sulle gambe, delle pagine gialle dei libri che sfogliava ovunque.
Era stata la facoltà di lettere, erano stati degli studenti ben vestiti di piazza di Spagna, era stata della gente che sua madre aveva definito, vagamente, di un certo ambiente –quale ambiente? Che significa? Quanti ambienti ci possono essere a Roma?-, che aveva iniziato, per scherzo, goliardicamente –l'avrebbero detto anche i loro genitori, a più riprese: «Stanno a scherzà»- a prenderlo di mira.
Tommaso ricorda benissimo come avrebbe desiderato esordire, durante la sua prima diretta televisiva, parecchi anni più tardi –quando non avrebbe avuto più né brufoli, né lenti a fondo di bottiglia-, dopo che una truccatrice l'aveva sistemato che sembrava un altro: «Pezzi di merda, guardate un po' chi c'è in prima serata, guardate l'ebreo, guardate quello che vi annoia a parlare della Shoah. Io sto qua, e voi, fasci, antisemiti di stocazzo, addo' state?».
Ma, ovviamente, non l'aveva fatto.
Tommaso negli anni si era costruito una carriera ed era diventato un uomo colto, un uomo dalle buone maniere.
Poi, sì, c'era quel passato da sollevatore di sommosse, c'era la fedina penale sporca per quella cosuccia, per quella bravata che la polizia fascista –sì, Tommaso ne era sicuro, erano dei fasci pure loro- aveva definito atto vandalico; e poi l'offesa a pubblico ufficiale –«Siete tutti nazisti!»- e il modo in cui gli agenti avevano scandito: «Se non collabori, De Carolis, è pure resistenza a pubblico ufficiale».
Dopo quella volta sua madre non aveva voluto sentire ragioni.
«Tu cambi facoltà» aveva detto, dopo aver pagato la cauzione «e in quell'università non ci metti più piede».
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Famiglia tradizionale
General FictionCome ogni estate, la famiglia Russo è pronta a partire per le vacanze. Ha già prenotato i biglietti per la traversata, ha già saldato il conto con la solita agenzia, ha già preparato le valigie che giacciono, da diverse settimane, ai piedi del letto...