New Orleans

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-signorina, signorina non può sdraiarsi qui. Si deve svegliare, signorina- sentii una voce adulta e abbastanza maschile.

-ci penso io, torna pure al bancone- disse invece una voce giovane e femminile.

Aprii gli occhi e intravidi una ragazza davanti a me.

-probabilmente eri esausta- suppose lei. Mi misi seduta e mi stiracchiai leggermente per svegliarmi. Guardai meglio la ragazza: capelli scuri e leggermente ricci legati in uno chignon elegante con due ciocche ad incorniciare il viso; carnagione caucasica perfetta, ottimo colorito della pelle, occhi verdi e labbra quasi rosse naturali. Indossava una camicetta bianca a maniche corte con delle bretelle e una gonnellina nera. Rimasi qualche istante a guardarla. Mia madre. Era così giovane in quel momento.

-come ti chiami?- mi chiese dolcemente.

-Grace Mitchell- risposi assonata.

-come sei arrivata qui? Sai dove ti trovi? Cosa è successo? I tuoi genitori?- classico di mia madre porre così tante domande una dopo l'altra.

-no, non so dove mi trovo- affermai.

-sei a New Orleans, in un noto locale jazz della città-

-e come ci sono finita qui?- domandai.

-se lo sapessi te lo direi, credimi. Ho aperto il locale ed eri sdraiata sul divanetto. Ascoltami, ti propongo un piano. Non credo che tu abbia un posto dove andare. Puoi aiutarmi a riordinare il locale per stasera e stanotte potrai dormire qui. Vedrai, è divertente lavorare in un locale-

-d'accordo-

-perfetto, iniziamo a mettere giù le sedie-

Aiutai mia madre a sistemare il locale per l'apertura: pulimmo il palco, i tavoli, le sedie e il bancone, mettemmo i bicchieri e i centrotavola su ogni tavolo e posizionammo il microfono al centro del palco.

Preparammo tutto ciò che dovevamo preparare, avevamo persino posizionato gli alcolici e le bibite in ordine alfabetico. Era tutto pronto per aprire.

Il locale era incredibile: i minuscoli vasi di cristallo sui tavoli e le luci appese rendevano l'atmosfera davvero molto elegante e raffinata, era un'atmosfera brillante, splendente e colma di energia; le piante rigogliose e fluttuanti, le sedie e i divani colorati, invece, rallegravano e rendevano l'ambiente colorato, tinto di trepidazioni e di sensazioni; le pareti piene di quadri, di poster, di locandine dei grandi musicisti e di strumenti usati dai grandi autori davano al locale un tema, il tema del jazz, della musica, della serenità e allo stesso tempo di quel ritmo frizzante che si impossessa del corpo. E poi il palco, il fulcro assoluto del locale, il sipario di velluto di quel blu così intenso, i riflettori che illuminavano di una luce calda il centro della scena dove all'inizio vi era soltanto un microfono che aspettava qualcuno che potesse trasmettere qualcosa al pubblico. Era tutto perfetto, era un'atmosfera unica.

Girammo il cartello, aprimmo il portone e le persone cominciarono ad entrare una dopo l'altra, tutte sorridenti mentre parlavano e scherzavano tra di loro, oppure si guardavano intorno meravigliati osservando il locale come se fosse un museo.

Presero posto, e l'ambiente si riempì di calorose risate, complimenti sinceri e vestiti dallo stile signorile e di gran classe. Guardando tra i tavoli ritrovai un viso familiare, papà. Era con la donna del vagone ristorante, la signora dell' offerta di lavoro. Parlavano senza mai fermarsi. Ero appoggiata al bancone a guardarli e poi vidi la signora fare un gesto con la mano per ordinare.

-il tavolo sette richiede la nostra presenza per ordinare- dissi sorridendo a mia madre. -si, stavo giusto dando un occhiata a quel tavolo sai?- rispose lei fissando sempre il tavolo mentre afferrava il taccuino per dirigersi al tavolo. Mamma non ci aveva mai raccontato come avesse conosciuto nostro padre. Tornata al bancone dopo aver preso l'ordine continuava a riportare lo sguardo su papà, su Spencer Mitchell. La serata procedeva in maniera eccellente. I drink ghiacciati avevano reso l'atmosfera fresca per lasciare posto al calore che avrebbe fatto provare mio padre appena si sedette sul bordo del palco con il suo sassofono. In quel momento, guardandolo muovere le dita sui tasti, sentendolo suonare quella melodia così inclusiva, una melodia tanto profonda e intensa quanto piena di vita e cadenzata, penso che abbia conquistato tutti e che abbia fatto provare sensazioni incredibili a chiunque nella stanza. Mia madre mi propose di restare a dormire a casa sua. Ovviamente accettai dato che non avevo un altro posto dove andare. Sapevo, però, che non appena avrei chiuso gli occhi o se fossi rimasta al buio, sarei stata trasportata in un luogo totalmente diverso. O così pensavo. Invece, mi svegliai dove mi ero realmente addormentata. Mi presi due minuti per capirne il motivo. Non avrei dovuto risvegliarmi in un posto diverso come mi era successo le altre volte? Non feci in tempo a rispondermi che mia madre entrò nella camera per invitarmi a fare colazione insieme a lei per poi portarmi in giro per New Orleans.

Messo un piede fuori dalla porta, la città mezzaluna aveva già iniziato a mostrare il suo splendore e la sua vitalità. La musica jazz era dappertutto, caricava l'atmosfera di euforia. Un giovane signore con un cappello nero a bombetta, mi prese per mano e mi fece girare su me stessa due volte per poi togliersi il cappello e inchinarsi sorridente. C'erano tantissimi musicisti che vagavano per i vicoli e le strade con i loro strumenti senza mai smettere neanche per un secondo di diffondere la loro musica. Alcuni non guardavano neanche dove stavano andando. Altri, invece, si sistemavano seduti sul bordo dei balconi per far arrivare quella vivacità persino dall'alto. Il tintinnio delle monete che finivano dentro i cappelli si mischiava perfettamente con la sinfonia. Dove mi giravo vedevo trombe, sassofoni, tamburelli e le persone che ballavano sorridenti per la strada. A New Orleans il silenzio era vietato. Mentre ascoltavo con enorme piacere il suono di quella spensierata città, percepii un delizioso profumo di dolci al miele ricoperti di zucchero a velo appena usciti dal forno, riuscivo a percepirne il calore e lo zucchero che veniva sparso sopra. Alla fragranza di quei dolcetti si aggiunse quella del caffè appena fatto, un caffè ancora amaro, caldo. I portici davano l'opportunità alle pasticcerie di farsi concorrenza tra loro. Dei tavolini circolari riempivano lo spazio, i calorosi sorrisi delle persone e le loro contagiose risate rendevano l'ambiente piacevole e l'invitante profumo di dolci, brioche e biscotti metà vaniglia metà cioccolato era la perfetta conclusione per quel quadretto con soggetto New Orleans. Mia madre mi fece vedere il porto dove i battelli a vapore partivano per lasciare la città. Eravamo sedute su una panchina a rilassarci guardando il mondo muoversi intorno a noi, a guardarlo andare avanti mentre noi stavamo sedute lì. Per ricordarsi, ogni tanto, che ogni singola persona cambia il mondo e lo condiziona con la sua esistenza, che nessuno è insignificante; ma, allo stesso tempo, la società continua ad andare avanti nonostante tutte le persone che passano a vita migliore ogni giorno in giro per il pianeta. Avevamo davanti un battello che trovavo davvero meraviglioso. Il colore pareva fosse un bianco perlato, molto raffinato; le ringhiere del terzo piano erano state verniciate con la tonalità del blu, un blu parecchio acceso, quelle sotto erano rosse, rossissime; delle lucine pendevano dai soffitti per illuminare in maniera tenue l'atmosfera. Osservavo le persone salirci sopra con le loro valigie, una diversa dall'altra. Sia le persone, sia le valigie. Per esempio notai tre giovani e raffinate signore che parlavano amorevolmente tra di loro: una indossava una lunga collana di perle, un tubino nero, una pelliccia bianca piuttosto voluminosa, delle ballerine nere e portava i suoi capelli lunghi neri e ondulati tutti da un lato fermati da delle mollette di perle abbinate alla collana; la seconda portava i capelli raccolti in uno chignon alla charleston con una piuma blu che spuntava tra le ciocche, un vestito a sirena turchese e un cappotto grigio aperto davanti; la terza indossava l'abito Ford e l'iconica giacca elegante di Coco Chanel, il tutto naturalmente abbinato alle décolleté bianche con la punta nera. Tre signore di classe, tre tipi diversi di raffinatezza. Per quanto riguarda i signori il tipo di abbigliamento si divideva tra chi portava bretelle nere e papillon con una camicia bianca per apparire classico e tradizionale, o chi preferiva semplicemente indossare un gilet e un cappello a bombetta colorati per diffondere vivacità. In fondo mia madre l'ha sempre detto che le donne hanno più fantasia in fatto di moda. Mentre il mio sguardo non faceva altro che passare da un volto a un altro la mia attenzione si fermò su due signori all'ultimo piano del battello. Era ancora la coppia formata da mio padre e il suo non ancora assassino. Parlavano tra loro in modo rispettoso e pacato mentre sorseggiavano del vino, forse champagne. Quando mio padre si girò verso il cameriere per prendere un altro bicchiere, il losco signore guardò nella mia direzione, dopodiché iniziò a fissarmi dritto negli occhi. Quel gesto non fece che aumentare il mio sospetto nei suoi confronti. Lo vidi infilare la mano nella tasca per poi tirarla fuori tenendo tra le dita una pastiglietta, probabilmente una specie di sonnifero. Mi alzai dalla panchina, determinata a salire sul battello per salvare mio padre. Camminavo veloce e risoluta per raggiungerlo quando una folata di vento fece volare via il cappello che mi aveva dato mia madre. Lo afferrai e lo misi delicatamente sulla testa sistemando la piuma come stava prima. Un secondo dopo, guardandomi intorno, mi resi conto di aver cambiato di nuovo ambiente. 

Colpa della CamomillaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora