Morire sotto l'Aurora

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Sentii un rumore improvviso, si ripeteva ogni cinque secondi. Pareva come essere rinchiusa in un baule che sbatteva tra due pareti. Alzai la testa e la sbattei sul soffitto facendomi male. Intorno a me era completamente buio; un buio pesto, fitto e pieno. Provai ad alzarmi dal letto, a toccare cosa ci fosse vicino a me e toccai qualcosa che pareva la forma di una lanterna, ovviamente spenta. Accanto percepii un mucchio di vestiti; le mie dita toccarono un tessuto ruvido, non riuscivo a capire cosa fosse. D'un tratto qualcuno comparve nel buio con una lanterna dalla luce fioca.

-il capitano ci vuole tutti sul ponte ciurma- disse una voce.

Dopodiché altre lanterne si accesero creando un semicerchio di luci, e altre voci si sovrapposero l'una sopra l'altra. Mi sentivo confusa, non avevo idea di dove fossi finita stavolta. Apparirono degli uomini vestiti da marinai che presero ciascuno una giacca e uscirono da una porticella. Io rimasi seduta e confusa sul letto a cercare di comprendere cosa stesse accadendo. Uno degli uomini mi vide e si fermò prima di uscire.

-muoviti, prendi la giacca e vieni sul ponte. Non stare lì immobile- mi avvertì. Io presi la giacca velocemente dal comodino e uscì insieme a lui dalla porta.

Il capitano ci divise in due file, una davanti all'altra. Camminava avanti e indietro in mezzo nello spazio libero.

-quando siete stati scelti per la spedizione, sapevate a cosa sareste andati in contro. Il mare dell'Islanda non risparmia nessuno. Sei carino e gentile? Sei uguale a tutti gli altri agli occhi del mare. Guardate le nuvole signori- tutti guardarono in alto. Qualcuno stava passando sulle nuvole un pennello intinto nel grigio.

-ai vostri posti. Sapete cosa dovete fare- concluse il capitano.

La ciurma si sparse per tutta la nave; si davano ordini, comandi, suggerimenti urlando da una parte all'altra dell'imbarcazione. Mi attaccai al bordo per restare in equilibrio mentre la barca iniziava già a traballare leggermente. Guardai davanti a me e mio padre aveva avuto la mia stessa idea. Ebbi la conferma che il percorso attraverso i luoghi visitati era un modo per farmi scoprire qualcosa su papà. Ogni posto dove sono stata finora aveva un collegamento con la storia di mio padre. Dovevo scoprire cosa il viaggio volesse che scoprissi. Il grigio delle nuvole si stava trasformando in un colore sempre più scuro, sempre più cupo; si spostavano con l'intento di coprire anche la più piccola fessura di luce, il più piccolo pezzo di azzurro, di speranza. Chiunque avesse in mano quel pennello non doveva essere di buon umore perché dei tuoni stavano rimbombando furiosi e dei fulmini inattesi ed istantanei lacerarono il cielo illuminandolo e rischiarandolo in modo miracolistico, tanto che per mezzo secondo ero convinta che le nuvole fossero tornate bianche. Notai il blu intenso del mare tingersi di un colore più simile al verde tuttavia mantenendo delle sfumature di turchese; la schiuma bianca colma di bollicine avanzava sulla superficie della distesa marina ricoprendola totalmente per poi fermarsi e concentrarsi sui bordi. Il mare prese vita cominciando a muoversi in tutte le direzioni sempre più bruscamente, divertendosi a far ondeggiare la barca facendoci venire la nausea. I fulmini continuavano a interrompere l'insolita quiete e una pioggia fitta e forte scese giù di punto in bianco da quelle nuvole che non aspettavano altro di far capire a tutti il loro umore, allagando la nave con tutti i loro pensieri e preoccupazioni. Il movimento del mare si faceva sempre più violento, il barcollamento della barca diventava sempre più irruente ed impetuoso e la pioggia così eccessiva ed intensa stava distruggendo pezzi della barca. In tutto questo io mi trovavo attaccata stretta ad una corda che tenevo come se fosse l'oggetto per me più prezioso. Nonostante mi tenessi aggrappata, questo non impediva alla tempesta di farmi traballare in continuazione. Avevo già vissuto un episodio simile quando, in veste di capitano, dovetti impedire che la barca andasse contro un scogliera. Ma non avevo mai affrontato una tempesta di questo genere. Le onde si alzavano imponenti ai lati della nave con l'intenzione di inghiottirla e di non farla più riemergere. Dopo vari tentativi, un'onda travolse la barca. La nave si infranse sulla costa. L'imbarcazione era ormai danneggiata, anzi, distrutta. Milioni di pezzi di legno ricoprivano la spiaggia e altri galleggiavano a riva; le provviste erano ormai andate perse; le vele erano state strappate da uno scoglio dove si erano impigliate; il timone, conficcato nel terreno, a segnare un evento importante. Mi ritrovai incollata alla spiaggia, senza riuscire a muovere niente, immobilizzata. Ero sdraiata sulla sabbia, una sabbia fredda, gelida, congelata; milioni di granelli di ghiaccio facevano da materasso al mio corpo steso per terra che non smetteva di tremare. Percepivo la mia colonna vertebrale ghiacciarsi centimetro dopo centimetro, sentivo il gelo concentrarsi al centro per poi espandersi in tutte le direzioni; sentii il mio collo bloccarsi e il freddo arrivarmi alla testa impossessandosi delle meningi. I miei capelli parevano interamente ricoperti dalla brina, sentivo come se fossero diventati bianchi; l'acqua sul mio viso si era cristallizzata e immaginavo che il mio viso fosse diventato praticamente trasparente; sentivo le labbra congelarsi sempre di più da sinistra verso destra, e la mia pelle assiderata aveva preso quella tonalità priva di calore a cui si associa il freddo. La sensazione di gelo mi aveva pervaso ormai completamente. Ero diventata una statua di ghiaccio. Non riuscivo a muovere le dita. Non riuscivo a muovere niente. Ero perfettamente immobile. Le uniche due cose ancora in funzione erano la mia mente, che continuava a formulare pensieri, uno dopo l'altro, e quel poco sangue che mi era rimasto che defluiva nel mio corpo. Cercai di concentrarmi sul sangue che scorreva lungo le vene, sulle sue scie di calore che percorrevano quell' intreccio di sentieri che mi attraversavano, sul suo movimento sempre più tiepido, sempre meno caldo, sempre più freddo. Da sola, sdraiata sulla sabbia ghiacciata, immobile. Ormai riuscivo a malapena a sentire gli ultimi battiti di un cuore assiderato. Ero in attesa di morire, in attesa che il gelo prendesse il completo possesso del mio corpo per conservarlo. Pareva piuttosto ovvio come sarebbe andata a finire. Eternamente destinata ad attraversare quel mare burrascoso, capriccioso e assassino di marinai; un mare infido e inaffidabile che non aspettava altro di inghiottire e trascinare le imbarcazioni nella sua bluastra oscurità. Perennemente condannata ad ascoltare lo sciabordio del mare, il suo gorgoglio; quel suono che pare sempre così rilassante e sereno, sarebbe diventato la sigla della mia condanna se fossi deceduta su questa sabbia, su questa spiaggia. Il mio corpo si spostò involontariamente su un fianco, dalla parte del mare. Non so come, ma ero ancora viva. Non sapevo ancora per quanto lo sarei stata. Mi trovavo da sola immersa completamente nel silenzio e nella pace, percepivo soltanto il suono minimo del mare che arrivava a riva per poi cambiare idea e tornare indietro. Nessun altro rumore. I miei occhi notarono la purezza del cielo notturno. La sua luminosità scura. Quell'interminabile tela dipinta di blu con degli schizzi di vernice bianca che fungevano da stelle. Tutto d'un tratto comparve una pennellata di verde che ondeggiava leggermente e pareva muoversi lentamente ma allo stesso tempo restava ferma. Non sapevo cosa fosse, ma ne ero incantata. Si sovrapposero altre scie, una davanti all'altra, una accanto, una sotto, a destra a sinistra e anche dietro. Avevano riempito il cielo. Riuscivo a vedere il blu attraverso le fessure tra una scia e l'altra. Ogni pennellata era tinta di un verde diverso. Si muovevano in maniera ipnotica. Sarei rimasta lì in eterno per continuare ad ammirare quello spettacolo. Sapevo però che non mi rimaneva molto tempo. Prima o poi il mio cuore si sarebbe congelato del tutto e sarei morta di ipotermia. Un'altra scia si aggiunse alla performance. Era rosa, un rosa caldo, accogliente. Attraversò tutto il cielo mettendosi davanti alle altre per far notare in tutti i modi la sua rilevanza. Lo specchio d'acqua rifletteva tutto, come se fosse stato davvero di vetro o di cristallo. Era uno spettacolo davvero eccezionale. Indimenticabile. All'improvviso sentii qualcuno afferrarmi le caviglie e trascinarmi sulla sabbia, portandomi via da una morte sotto l'aurora. 

Colpa della CamomillaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora