Una data segnata dall'inchiostro

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Mi chiusi il cappotto e sollevai l'ombrello. Londra. Mi trovavo a Londra. D'altronde, come non riconoscere la città delle città. Pioveva, né a dirotto né a goccioline, semplicemente pioveva. Sentivo l'acqua picchiettare sull'ombrello. Mi guardai intorno. Louis era sparito, non c'era più. Mi guardai alle spalle e il palazzo non era più quello da cui eravamo usciti due minuti fa. Ero stata trasportata nuovamente in un altro posto, un altro indizio, un' altra indicazione. Cominciai a camminare provando a rilassarmi e a svuotare la mente. Il trasferimento tra un luogo in un altro cominciava a infastidirmi, a farmi un po' ammattire. Ma non potevo permettermi di perdere la testa. Anche se avevo ottenuto la confessione di Louis, evidentemente mi mancava ancora qualche pezzo del puzzle per riuscire a completarlo tutto. Avevo solo due tasselli; il primo tassello era che papà non desiderava una vita movimentata e troppo impegnata, il secondo tassello era la confessione di Louis che invece sarebbe stato felice di avere le opportunità che aveva avuto mio padre. 

Vagavo per Londra. Guardavo un po' di là, un po' di qua. Camminavo, giravo per strade ma non avevo una meta. Mi sentivo spaesata. Perché mi trovavo lì? Di quali altri tasselli avrei avuto bisogno? Avevo ottenuto la confessione di Louis, il motivo del perché stesse provando a eliminare mio padre. Cos'altro mi serviva capire? Il viaggio non serviva a scoprire il motivo dei tentativi omicidi di Louis ? Evidentemente no, o meglio, non serviva solo a questo. Smisi di pensare e tornai con l'attenzione verso la città. La strada era completamente bagnata e piena di pozzanghere, le mattonelle erano lucide, e nelle pozzanghere era riflessa la città come se fossero tanti piccoli specchi messi uno accanto all'altro. Nonostante la pioggia, il cielo non era così nuvoloso come pensavo, qualche raggio di luce era riuscito a bucare le nuvole per poter illuminare i marciapiedi di Londra. Respirai a pieni polmoni quell'aria umida, profumata di acqua piovana, l'odore di qualcosa sia di terreno che ultraterreno. La pioggia diminuì leggermente per lasciare posto a goccioline quasi impercettibili ma contemporaneamente causa di strani piacevoli brividi gelidi che pervasero i cittadini londinesi. Pareva di avere davanti un vetro tutto riempito di puntini di cristallo liquido posati sulla superficie. Miliardi di goccioline. Come un dipinto su tela impermeabile su cui era stata spruzzata dell'acqua. I lampioni cominciarono a illuminarsi fievolmente. Lucine fioche, lumi deboli, caldi; davano una sensazione di tranquillità, di accoglienza e di ospitalità. Rendevano la città confortevole, pacifica e ordinata. Vi era una sensazione di quiete e di silenzio. Iniziai a passeggiare cercando di guardarmi intorno e di annotare nell'inconscio le sensazioni che provavo. Udivo il picchiettio della pioggia sui sentieri e i rintocchi di un orologio che rendeva il concetto di tempo affascinante in caso lo sguardo fosse capitato sul Big Ben; arrivata a Piccadilly Circus , avvertivo il trambusto del traffico in città, con alcune carrozze trainate da cavalli, tram e macchine rumorose che giravano per le strade; sentivo le persone parlare tra loro, discutere, alcuni urlare per farsi sentire da altri, altre ridevano e così si formava un intruglio di esclamazioni, affermazioni e toni; una brodaglia di suoni, di voci, dicerie e chiacchiere.

Arrivò la sera, la tela del cielo cambiò il suo colore ma la pioggia tendeva a nasconderlo. Le goccioline si erano allungate trasformandosi in fili d'acqua che venivano giù tutti insieme. Era una pioggia fitta, compatta e intensa, ma non impetuosa o irruente. Il pavimento era lucido e donava a tutti il riflesso di una Londra notturna ed enigmatica. Le lucine dei lampioni iniziarono a risplendere e a diffondere luminosità sulle strade buie e le macchine accesero i loro fari. Entrai in una zona un po' più verdeggiante, vi erano alcune panchine posizionate in modo equo nello spazio; gli alberi erano al buio, non riuscivo a vederne i colori. Perlustrai il luogo con lo sguardo facendo una panoramica visiva di ciò che mi circondava. Su una delle panchine era seduto un uomo il cui viso era coperto da un giornale gigante aperto davanti a lui. Mi avvicinai. Avendoci fatto ormai l'abitudine tra un trasferimento e un altro, immaginavo che quell'uomo potesse essere o mio padre o Louis. Lo raggiunsi alla panchina, mi fermai di fronte a lui. Abbassò il giornale, non era nessuno dei due. Si trattava di un anziano signore amante delle notizie. Mi allontanai e cominciai a passeggiare intorno agli alberi. Avevo bisogno di pensare, di riflettere. Fermai i miei passi. Perché stavo camminando? Verso quale direzione ? Mi resi conto di star vagando di nuovo senza meta. Mi fermai. In piedi. In mezzo alla città. Non avevo nessuno intorno. Pioveva. Non sapevo dove andare, cosa fare. Mi sentivo persa, spaesata. Rimasi ferma per diversi minuti. Soprappensiero. Dopodiché continuai a camminare, dopo aver respirato a pieni polmoni una porzione di sicurezza in formato d'aria. Trovai un'edicola la cui porta era socchiusa. Entrai. Mi misi seduta con la schiena contro la parete. Provai ad addormentarmi, nella speranza di svegliarmi in un altro posto e che questo piccolo trasferimento fosse stato soltanto un errore nel mio assurdo percorso. Mi svegliai la mattina dopo, ancora seduta nell'edicola. Mi stropicciai un po' gli occhi, per poi aprirli anche se con qualche difficoltà; avrei preferito dormire di più.

Colpa della CamomillaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora