Sottoterra

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Mi risvegliai immersa ancora nel buio. Ero sotto la coperta, o comunque qualche telo che però pareva fatto di iuta. Sacchi di iuta? Dove mi trovavo? Ero per terra, sdraiata su un pavimento gelido, umido, ruvido, duro e scomodo. Mi mossi leggermente per potermi alzare e colpii per sbaglio degli oggetti probabilmente metallici. Rimasi ferma, appoggiata sui gomiti. Percepii un odore di chiuso. Un forte odore di chiuso; un tanfo pesante che riempiva la stanza; uno spiacevole misto tra muffa e umidità. L'aria era stantia, rafferma e stagnante. Udii delle voci. Voci un po' acute, un po' bambinesche. Avevano paura. Quelle voci avevano paura, timore di qualcosa. Erano spaventate. Dopodiché ne udii altre diverse, più adulte, voci più mature, voci con esperienza. Sentivo parole rasserenanti. Termini sicuri, lettere rassicuranti. E le voci bambine smisero di parlare. Silenzio. Profondo silenzio. Durò un bel po'. Tutto rimase immobile. Cercai di restare ferma imitando la staticità del tempo e dello spazio in quel momento. Non riuscivo a capire cosa avrei dovuto fare. C'era ancora qualcuno? Erano andati via? Provai a muovermi per sentire una reazione. Nessun suono. Provai ad alzarmi lentamente. Appoggiai una mano per terra per potermi tirare su, riuscii soltanto a mettermi seduta in ginocchio un po' accovacciata quando a un tratto sentii la terra tremare e tutto riprese movimento, troppo movimento. Ci fu un botto improvviso, un tonfo, come se dal nulla fosse caduto qualcosa di pesante, qualcosa di ingombrante. Sentii le piccole voci cominciare a piangere e le voci adulte rassicurarle nuovamente. Dopo il primo botto, passarono alcuni istanti di silenzio, di finta pace; ma successivamente ce ne fu un altro probabilmente più forte. Avevo le mani sulle orecchie spingendo forte per coprire tutto quel frastuono, per potermi isolare dal trambusto intorno a me; strizzai involontariamente gli occhi chiudendoli completamente per non lasciare spiragli di visuale. Sentivo di essermi rimpicciolita, di essermi fatta piccola piccola tanto ero accovacciata su me stessa. Il cuore batteva così veloce che non riuscivo a percepirne i singoli battiti, pareva un rumore unico, una sequenza infinita di sensazioni che si susseguivano senza tregua una dopo l'altra. Qualsiasi emozione avessi provato in quel momento non sarebbe stata visibile dato che il terrore l'avrebbe comunque messa in ombra e in ogni caso ero coperta dai sacchi di iuta. Non avevo idea di dove mi trovassi, di che giorno fosse, né di cosa fosse successo. Potevo solo immaginare chi fossero le persone nella stanza. All'improvviso era tornata la quiete. Me ne accorsi forse qualche istante dopo. Tolsi lentamente le mani dalle orecchie e riaprii con calma gli occhi. Mi trovavo in una cantina, un bunker o qualcosa del genere. Per terra c'era una bambola di porcellana, aveva una crepa che le attraversava il viso, e attaccata alla gonnellina vi era un'etichetta con su scritto il mio nome. Accanto, un giornale, uno di quelli che vendeva mio padre probabilmente. Lo presi in mano. Era il sette settembre del 1940. 

Colpa della CamomillaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora