twelve - back home

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Io e Liam venimmo abbandonati al porto affollato di Santa Cruz Das Flores dopo che Niall aveva quasi pregato Harry di non lasciarsi sulla minuscola isola disabitata di Corvo. Lo ringraziai con lo sguardo mentre guardavo la nave allontanarsi sempre di più.

«Almeno i rubini che avevo recuperato io potevano lasciarceli!» sbuffò Liam mettendo in tasca le uniche cinque monete che ci avevano concesso.

«Pirati!» mi lamentai.

E dopo ciò non parlammo più di loro. Divenne come un argomento tabù. Non nominammo i loro nomi agli altri mozzi della nave mercantile che ci assunsero mentre raggiungevamo il continente. Era comico che fossimo diventati ciò che la ciurma pirata delle falene aveva finto di essere per tutto il viaggio, ma nessuno di noi lo disse ad alta voce. I ragazzi, o meglio i bambini troppo cresciuti perché difficilmente superavano i sedici anni, ascoltavano incantati i pochi dettagli che condividevamo. Liam era più bravo di me a raccontare storie che non volevo ricordare.

La gamba dolorante con la pioggia e la lunga cicatrice disomogenea lo faceva costantemente, però. Ogni tanto ci passavo sopra le dita e tutto tornava alla mente: i volti di ognuno di loro, le serate fra vino e partite a carte, i pericoli che avevamo affrontato, le sfide che avevamo superato, le labbra di Harry, i suoi occhi verdi. Quando i ricordi si tramutavano in lui, scuotevo la testa e chiudevo tutto di nuovo in un cassetto lontano della mia mente.

Lavorai duro e mi sorpresi di quante nozioni avessi appreso durante il nostro viaggio. La nave attraccò a Londra dopo un mese senza soste. Molti di noi erano affranti e bisognosi di toccare terra mentre io mi godevo gli ultimi giorni fra le onde. Sarei tornato a casa a mani vuote e pieno di vergogna. Sapevo che la mia famiglia mi avrebbe accolto comunque, ma come avrei potuto guardarle negli occhi? Come avrei potuto fingere di non essere cambiato totalmente? Potevo davvero tornare alla mia vita ordinaria? Affrontare un giorno dopo l'altro come se il mio cuore non appartenesse al mare?

Non avevo ancora trovato risposta quando aprii la porta di casa mia. L'abbraccio di mia madre mi strinse forte per minuti interi e poi il sonoro rumore del suo schiaffo si ruppe sulla mia guancia. «Sciagurato! Dove sei stato per tre mesi interi?»

Mi massaggiai la guancia mentre mia madre si passava la mano sugli occhi bagnati di lacrime. «Io... perdonami.» sussurrai.

«Non essere sciocco, sono così felice che sei tornato a casa! Ero così preoccupata, così preoccupata...»

Non me lo chiese di nuovo. La vedevo guardarmi con occhi apprensivi e carichi di consapevolezza. Sapeva che avevo fallito. Sapeva che stavo soffrendo. Distoglievo lo sguardo perché la vergogna mi colpiva in pieno petto come un coltello affilato.

Le mie sorelle mi accolsero con abbracci e baci. Fu bello vederle di nuovo. Piansi fra le loro braccia, ma l'entusiasmo di quell'avvicinamento durò pochi giorni. Presto mi ritrovai a guardare l'orizzonte del mare con nostalgia. Scacciavo il pensiero e tornavo a lavorare alla locanda. Erano a buon punto, principalmente mancava di ricostruire la facciata esterna perché la cucina e la sala erano state ristrutturate. Il lavoro quindi era meccanico, la mente poteva viaggiare lontana mentre posizionavo un mattone sopra l'altro.

Liam venne a trovarmi dopo due giorni dal suo rientro. Mi salutò con un sorriso gonfio e un occhio nero. Mi disse che suo padre non era stato entusiasta di vederlo tornare senza la propria nave, ma che non lo avrebbe cacciato dalla marina solo per non infangare il suo stesso cognome. Liam mi raccontò tutto mentre mi aiutava a impilare i mattoni. «E' strano, vero?»

Posai la calce. «Cosa?»

«Essere tornati, dico. Non mi manca, in realtà, non troppo... ma, ma è come se fosse passata un'infinità.»

Moths in our Stomachs flying through the SeaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora