Aprire quella porta per la prima volta, insieme a Marco, era stato un sogno divenuto realtà. Ricordo che avevo stretto le chiavi con tanta forza che mi erano rimaste impresse nella pelle: un minuscolo segno della promessa che stavamo per fare a noi stessi e al nostro futuro. Le chiavi di quell’appartamento piccolo, ma perfetto, erano il simbolo della nostra scelta, della nostra voglia di costruire qualcosa di vero.
Marco sorrideva come un bambino davanti a un regalo di Natale, gli occhi pieni di quella luce che avevo imparato ad amare. Mi aveva chiesto di aspettare un attimo prima di girare la chiave nella serratura, come se volesse prolungare quell’attimo di attesa, di pura gioia sospesa.
«Sei pronta?» aveva detto, la voce dolce, ma vibrante per l’emozione.
Avevo riso, sentendo il cuore battere più forte, perché con lui tutto sembrava una festa, anche un semplice ingresso in una stanza vuota.»Prontissima» gli avevo risposto, con un nodo di felicità in gola. Allora avevamo inserito le chiavi insieme, le nostre dita sfiorandosi nell’atto, e il freddo del metallo si era mischiato al calore delle nostre mani.
Era un gesto semplice, ma per noi significava tutto. La porta si era aperta con un lieve cigolio, e davanti a noi si era distesa la nostra nuova casa: muri bianchi, pavimenti di legno che avrebbero scricchiolato sotto i nostri passi, finestre che promettevano albe e tramonti da ammirare abbracciati.
Entrando, mi ero fermata, inspirando il profumo di vernice fresca e aria nuova. Marco mi aveva preso per mano, facendomi girare su me stessa, come se volesse mostrarmi quanto era immenso quel piccolo mondo, anche se era solo un bilocale con un soggiorno che avrebbe ospitato forse due sedie e una libreria. Ma era nostro. Avremmo dipinto quei muri, riempito quegli spazi con risate, litigi, notti passate a parlare, e giornate a immaginare il futuro.
«Non è perfetto?» mi aveva chiesto Marco, i suoi occhi brillanti mentre osservava l’appartamento.
Avevo annuito, senza bisogno di parole. Perfetto era un termine relativo, ma con lui ogni cosa sembrava esserlo davvero. Ci eravamo abbracciati, e sentivo il suo cuore battere forte contro il mio, sincronizzati, mentre le chiavi pendevano ancora dalle nostre dita intrecciate.
Ero felice. Felice di quella semplicità, di quella porta aperta verso un futuro che ci apparteneva, come se ogni passo avanti fosse stato il preludio di una storia meravigliosa che ancora non conoscevamo.
Se avessi saputo allora quanto sarebbe cambiato, forse avrei tenuto quel momento ancora più stretto, ma il tempo si muove con una sua volontà, lasciando solo ricordi e chiavi che, in qualche modo, diventano segreti da custodire.
***
Quando aprii gli occhi quella mattina, percepii subito che la casa aveva qualcosa di diverso. Era il suo profumo a renderla così.
Mi alzai lentamente dal letto, rabbrividendo al contatto dei piedi nudi sul pavimento freddo. Eppure, nonostante i giorni trascorressero carichi di tensione, mi sentivo insolitamente riposata, come se, da quando avevo incontrato Daniele, la mia mente si fosse alleggerita di un peso invisibile.
Infilai le mie ciabatte blu e una felpa leggera rossa, e mi avviai lungo il corridoio verso il salotto, senza aspettarmi di certo ciò che avrei trovato.
Daniele era lì, intento a preparare la colazione. Indossava il mio grembiule rosa, e si muoveva con disinvoltura tra i fornelli, come se conoscesse ogni angolo e ogni ingrediente della mia cucina. Sembrava il mio coinquilino da sempre.
Appena mi vide, mi regalò un sorriso autentico, il primo da quando ci eravamo conosciuti. «Buongiorno, scricciolo» disse, facendo un piccolo inchino teatrale.
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L'ultimo giorno d'inverno
Random"Perché scappi sempre via da me?" "Perché la mia vita è un campo minato, pronto ad esplodere al primo passo falso." Roma. Nina ha appena compiuto 25 anni, è un'infermiera e si sta preparando a sposare Marco, il suo amore del liceo. Ma la sua vita si...