Eravamo distesi a terra, mentre fissavamo il nostro nuovo appartamento, mano nella mano.
Era completamente vuoto, spoglio di oggetti e mobili, come se fosse ancora in attesa di prender forma, di diventare nostro. Le pareti bianche, le finestre senza tende, sembravano custodire in sé i sogni che avevamo progettato insieme, pronti a fiorire nel silenzio di quel luogo appena conquistato.
Non c’era niente, eppure c'era tutto. L’eco dei nostri desideri rimbombava morbido in ogni angolo, un respiro che ci avvolgeva, che ci diceva che tutto sarebbe stato possibile, anche senza l'oro nelle mani.
Marco mi guardava con gli occhi che riflettevano un futuro che non sembrava mai troppo distante, nonostante i conti che non quadravano, i sacrifici che si intravedevano all'orizzonte.
«Vedrai», mi diceva, con una calma che mi tranquillizzava, «riusciremo a farcela. Non ci serve molto, solo questo, noi due, e la nostra forza.»La sua voce vibrava di certezza, come una melodia a cui non avrei mai saputo rinunciare. Le sue parole si intrecciavano con la musica che sfumava delicata nell’aria, Il mio canto libero, il nostro inno personale, che Marco ascoltava sempre con gli occhi chiusi, come se potesse così sentire ogni singola parola che lo riportava a casa.
«Costruiremo ogni cosa da capo», continuava, «piano piano. Non dobbiamo avere fretta.»
E io, con una stretta più forte sulla sua mano, annuivo, il mio cuore battendo più forte di quanto avrei voluto ammettere.
Non avevamo molto denaro, non avevamo nulla che ci appartenesse veramente, eppure avevamo l’uno nell’altro una ricchezza che nessun numero avrebbe potuto misurare.Indicò un angolo indefinito della stanza, come se il suo pensiero avesse bisogno di spazio per prendere forma.
«Lì ci andrà un divano giallo e blu» disse con un entusiasmo che sembrava quasi contagioso.Io scossi immediatamente la testa, un sorriso divertito che si mescolava a un’espressione di disgusto.
«Mio Dio! Assolutamente no. Sarebbe terribile.»Non perse tempo a contrattaccare, elencando con passione i motivi per cui, secondo lui, quel divano sarebbe stato perfetto.
Le nostre risate si mescolavano alla musica, dolci come il suono di un sogno che si stava realizzando, una promessa silenziosa di futuro che ci univa, nonostante tutto. Anche se l'appartamento era vuoto, sentivamo che stava già accogliendo la nostra vita, quella che stavamo costruendo con le mani nude e la speranza di chi sa che niente può fermare un cuore che non smette di lottare.
***
Quella volta Daniele sembrò svanire per sempre, dissolto come un sogno al risveglio, e una settimana trascorse nel vuoto della sua assenza. Se n'era andato, eppure non riuscivo a voltare pagina del tutto, come se il ricordo dei suoi occhi chiari fosse un tormento eterno, un fantasma che non mi lasciava mai.
Era come una di quelle canzoni tristi che continuano a ferire il cuore, eppure non smettiamo di ascoltarle. Come se la nostra anima ne avesse bisogno, nutrendosi solo di amore e malinconia.
«Sei completamente pazza, Nina Mancini!» esclamò Federica. Ero seduta sul divano di casa mia, mentre lei andava avanti e indietro per la stanza, lo sguardo perennemente segnato dal disappunto.
Le avevo raccontato tutto di Daniele, senza tralasciare nulla. Mi fidavo di lei come di nessun altro, e sapevo che, nonostante la rabbia, avrebbe custodito un segreto così grande. Le vere amiche sono rare, e senza fiducia non possono essere tali.
«Ti rendi conto di cosa hai rischiato? Avrebbe potuto farti del male!» sbottò, gesticolando furiosamente.
Abbassai lo sguardo, sentendomi come una figlia adolescente che subiva la ramanzina della madre dopo essere scappata di casa con il ragazzaccio sbagliato.
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L'ultimo giorno d'inverno
Random"Perché scappi sempre via da me?" "Perché la mia vita è un campo minato, pronto ad esplodere al primo passo falso." Roma. Nina ha appena compiuto 25 anni, è un'infermiera e si sta preparando a sposare Marco, il suo amore del liceo. Ma la sua vita si...