E provo a restarti vicino

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La vita è come un battito di cuore, un movimento costante che a volte sembra fragile e vacillante, e altre volte pulsa con forza e speranza. Ci sono incontri che ci colpiscono come fulmini a ciel sereno, che sembrano volerci insegnare qualcosa di prezioso, come se ognuno di noi fosse un faro per qualcun altro, illuminando un tratto di strada in un mare di incertezze.

«Buonasera» sussurrai, sollevando appena la mano in un saluto sommesso, mentre i miei colleghi rispondevano con cenni distratti. Il sorriso che increspava le mie labbra era stanco, un riflesso di chi conosce bene l’infinita attesa di una notte di turno. L'ultima del mese, eppure, nell'aria percepivo una tensione sottile, una vibrazione inafferrabile, come il preludio di un evento inaspettato.

Feci appena pochi passi lungo il corridoio, e poi mi fermai, sorpresa. Lì, nell'ombra tremolante delle luci al neon, stava Aurora. Era una figura esile, quasi fragile, ma c’era in lei una fierezza che non conosceva età.

A soli otto anni portava addosso un dolore, uno sguardo di chi aveva attraversato più ombre che mattini sereni.
Aurora, combattente e sognatrice, sembrava sfidare ogni barriera come se il mondo fosse un campo di battaglia personale.

Solo qualche mese prima, i medici avevano pronunciato quelle parole terribili: problemi cardiaci gravi. La notizia che avrebbe avuto bisogno di un trapianto era stata un colpo che aveva lacerato ogni speranza. La lista d'attesa per un cuore nuovo era una scala infinita, e ogni giorno che passava sembrava rubarle una parte di luce, lasciandola sospesa tra la fragilità e il coraggio.

«Aurora?» la chiamai dolcemente, quasi per non spezzare il filo invisibile che pareva avvolgerla. Lei era seduta sulle sedie rigide della sala d'attesa, un rifugio spoglio che sembrava diventare meno freddo alla sua presenza.

Fra le piccole dita stringeva un album da disegno consunto, e una matita ormai corta graffiava il foglio con tratti che, a un occhio distratto, sarebbero parsi casuali. Ma sapevo che quei segni racchiudevano il suo mondo segreto, il posto sicuro dove rifugiava i suoi sogni, lontano dalla sofferenza che la circondava.

Alzò il capo, e in quel gesto i suoi grandi occhi scuri si illuminarono come stelle ritrovate. Un sorriso timido le sfiorò le labbra, delicato come la brezza di un mattino. «Nina!» esclamò con sorpresa, una felicità sommessa ma sincera. «Dove ti eri nascosta?»

La sua voce calda mi riportò alla realtà. Erano trascorse settimane dall’ultima volta che mi ero affacciata in pediatria, troppo assorbita dai turni in reparto, dalle emergenze che divoravano il mio tempo e le mie energie.

Le sorrisi, sentendo un leggero senso di colpa stringermi il cuore. Mi accomodai accanto a lei, cercando di scorgere il disegno sul foglio.

«Lo sai che non dovresti essere qui a quest'ora, vero?» le dissi con tono dolce, lasciando che l’affetto trapelasse dalle mie parole.

Aurora annuì appena, e le sue codine, legate con elastici dai colori vivaci, ondeggiarono leggere, seguendo il ritmo del suo capo. «Lo so, ma volevo cambiare aria, Nina. Stare sempre chiusa lì dentro è… è come stare in una prigione. Qui mi sembra di respirare di più.»

Un attimo di silenzio si distese tra noi, un silenzio che accarezzava l’anima, mentre i passi lontani dei medici si mescolavano al fruscio sottile della matita che correva sul foglio, creando mondi nascosti.

«E cosa stai disegnando di bello?» le chiesi, avvicinandomi appena per osservare meglio.

Aurora accarezzò il foglio con la punta della matita, come se volesse svelare un segreto custodito con cura. «È… un posto che sogno spesso» mormorò, e la sua voce era un soffio, un sussurro che sembrava risuonare in un tempo lontano. «Ci sono alberi, tanti alberi, e il cielo è sempre azzurro, come un mare capovolto. Pensi che esista un posto così?»

L'ultimo giorno d'inverno Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora