Come li chiami quei giorni in cui senti il peso di ogni tuo passo? Quando non riesci a percepire niente se non la terra che sembra mancarti sotto i piedi? Come lo chiami quando l'orologio non rallenta e ogni secondo sembra essere lo scadere di un tempo che non ti è mai appartenuto? Ti senti a galla, in un mare in tempesta di cui l'unica via
di fuga è lasciarsi annegare.
Jimin era un combattente, lo aveva preso dalla madre, non avrebbe mai gettato la spugna così facilmente. Gli era solo capitato di avere un periodo travagliato: l'impegno con Hobi ed il locale e l'avvicinarsi degli esami lo rendevano non poco nervoso ma forse, lo era, soprattutto, per la mancanza di sonno, quale lo stava portando allo sfinimento.
Quella giornata in particolare, lo aveva visto protagonista di ventiquattro ore d'inferno. In piedi dalla mattina presto, aveva passato gran parte del suo tempo in università, concentrato per l'inizio di alcuni esami, per poi passare nel pomeriggio al locale a lavorare al progetto quale nessuno era a conoscenza, con Hobi.
A malapena aveva trovato il tempo di parlare per bene con Taehyung. Lo aveva colto di sorpresa trovarlo con il suo collega a tarda notte nella cucina del ristorante, ma anche lì, il suo soulmate aveva evitato l'argomento dopo però aver svuotato il sacco su come un semplice coincidenza lo aveva fatto cadere in dubbi quale il suo cuore rifiutava di ammettere.
Jimin bramava il suo letto come un prigioniero la libertà. Era quasi al traguardo, la porta di cada lo divideva dal suo unico amore indissolubile.
"Cavolo!" Esclamò lamentandosi mentre con le mani si perquisiva in cerca della chiave che, sicuramente, aveva dimenticato sul bancone del locale, dove, solo fino a pochi minuti fa, aveva avuto una riunione con il suo collega riguardanti una prossima nuova apertura. Tornare indietro a prenderle non era una buona idea. Il povero Jimin era bloccato nel portone del suo palazzo mentre fuori aveva inizio il mal tempo.
"Se esco ora rischio di fare un incidente..." Si grattò il capo pensando ad una possibile soluzione. Aveva ragione. Prendere la moto e guidarla sotto la pioggia avrebbe messo in pericolo non solo la sua vita, ma anche di altri.
Per questo optò per l'attesa. Si accomodò sulle scale, aspettando che almeno il cielo smettesse di piangere, poggiando la testa al muro. Non ci volle molto prima che cadesse in un sonno profondo.
Qualche minuto più tardi, bagnato come un pulcino, Jungkook, iniziò a lasciare impronte lungo il suo percorso.
Era ormai una settimana che il ragazzo rinchiuso da sé stesso aveva aperto la porta di casa. Era solito allenarsi a casa. Correva sul tapis roulant anche ore, ma quell'aggeggio elettronico aveva iniziato a stancarlo. Si sentiva chiuso, oppresso. Voleva correre. Correva, ma non andava da nessuna parte. Così, soffocato da quelle mura, aveva preso una piacevole abitudine: uscire per andare a correre. Che fosse mattina presto o tarda sera non gli importava. Doveva solo correre. Scappare dai suoi pensieri. Di tanto in tanto gli capitava di incontrare il suo vicino sul pianerottolo, ma non si erano mai scambiati altro più che un saluto o un dolce sorriso.
Addirittura Seokjin si era permesso di chiamare l'amico di suo fratello, Jimin, per avere informazioni su Jungkook, in quanto il giovane, conosciuto per il suo ghostare le persone e usare il telefono solo come soprammobile, aveva smesso anche di rispondere al citofono di casa.
Fu una piacevole sorpresa per i suoi amici venire a conoscenza di questo piccolo cambiamento. Non era molto. Ma era qualcosa. Jimin aveva solo detto loro che molto spesso gli capitava di vederlo al suo rientro uscire per la sua solita corsa. E li il maggiore non poté far altro che sorridere dall'altra parte del telefono.
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Healing #jikook
FanfictionQuando due anime spezzate, Jimin&Jungkook, trovano pace l'uno nei dolori dell'altro e la forza di curare ferite ancora aperte. Un militare in congedo ed un cuoco con tanti sogni, riusciranno ad andare laddove non osavano andare: nel profondo della...