Capitolo 7

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Cambiamento. Probabilmente se cercaste questa parola su internet i primi risultati che salterebbero all'occhio sono le spiegazioni che si nascondono in fronte a questa parola.

cambiamento

/cam·bia·mén·to/
sostantivo maschile
1.
Sostituzione o avvicendamento che riguarda in tutto o in parte la sostanza o l'aspetto di qualcosa o di qualcuno: c. d'indirizzo; c. di stagione; il ragazzo ha fatto un gran c.; c. di scena ( fig., mutamento improvviso che interviene in una situazione).
2.
Nella scherma, passaggio da un legamento a un altro attuato staccando il proprio ferro da quello avversario e ricongiungendolo in diversa posizione.


Però non è solo questo. Prova ad immaginare: acqua che di diventa caffè. Si avrei potuto scegliere una metafora migliore come acqua in ghiaccio, ma il caffè è efficace a questa storia.
Senza l'acqua il caffè non sarebbe bevibile, l'uno completa l'altro in modo che il nostro cervello possa percepirlo come ricarica.
Adesso, se prendessimo in esempio Jungkook come il chicco del caffè che viene trasformato in polvere di caffè e Jimin come l'acqua che lo aiuta a dissolversi in modo che esso possa diventare la bevanda che in tutto il mondo è bramata come sveglia organica.

Forse ancora non ci siamo perciò proseguo a raccontarvi la loro storia come nulla fosse.


Quella sera provocò qualcosa che Jungkook ancora non riusciva a percepire. Non poteva dargli un nome perché ancora non aveva capito il ruolo che Jimin ricopriva nella storia della sua vita. Si era semplicemente accorto che qualcosa di lui, quella notte che lo osservava nell'ombra, era cambiato, e lo aveva spinto a cambiare.
Il crollo di Jimin è stato l'epicentro del terremoto che ha ridotto in crepe quel muro di dolore nel quale il ragazzo dagli occhi scuri era circondando se non per sua volontà ma per sua difesa ad un mostro che non sapeva combattere.
Aiutati che Dio ti aiuta.
Jungkook capiva profondamente quel dolore. Voler scomparire. Perdere l'identità di sé stesso pur di dimenticare quel dolore... Lo avrebbe voluto aiutare, ma non poteva farlo, non in quelle condizioni.
Ti butteresti mai in un mare in tempesta per salvare qualcuno che non sa nuotare, essendo il primo a non saperlo fare? Certo che sì! Siamo idioti e razionalmente parlando non lo faremmo ma presi dal momento, moriremmo sicuramente.
Ci aveva pensato a lungo. Aveva passato la notte a consolare quell'anima spezzata fino all'alba quando, colto dalla luce del giorno, decise di riportare il suo vicino a casa, non lo svegliò, lo prese in braccio e si fece strada da solo. Aveva avuto una lunga conversazione con sé stesso chiedendosi cosa fosse rimasto del ragazzo che era partito con i suoi migliori amici convinto di poter salvare il mondo. O almeno provarci.
Dentro di lui vi era una minuscola parte che non aveva mai smesso di chiedere aiuto ma la parte adulta e orgogliosa di Jungkook lo aveva zittito così come quella notte aveva zittito il suo dolore.
Il mattino seguente Taehyung non tardò ad arrivare, era sempre pronto a prendersi cura del suo migliore amico.
"Come sta?" Chiese con gli occhi spalancati il migliore amico di Jimin.
"Ha pianto ed ha dormito." Soffiò fuori Jungkook dalle labbra come se una fitta al petto lo avesse colpito.
"Grazie per essertene preso cura." Si poggiò una mano sul cuore per mostrare quanto fosse riconoscente. Jimin era la sua parte più importante di sé.
"Purtroppo non posso restare..." Ammise Jungkook.
"Resto io con lui." Non che Tae avesse altri programmi per la giornata.
"Prenditi buona cura di lui..." Si congedò il minore.
"È il mio migliore amico, credi che non sappia prendermi cura di lui?" La dramma queen presente in Taehyung si fece strada agli occhi di Jungkook. Aveva ragione Seokjin quando gli diceva che il fratello aveva passato troppe ore a teatro ed ora sembrava un dramma vivente.
"PrEnDiTi BuOnA cUrA Di LuI." Lo aveva imitato con una voce storpiata da quella che anche solo lontanamente potesse avvicinarsi a quella di una persona reale. "Ma chi crede di essere!?" Non prendetelo a male. Tae aveva il suo posto nella vita di Jimin, così come Jimin aveva il suo nella vita di Taehyung ed un pizzico di gelosia verso questo nuovo ragazzo intrufolatosi nella loro quotidianità, aveva paura glielo portasse via o che potesse spezzarlo, esattamente come era già successo.
I passi di Jungkook lo portarono esattamente dove doveva essere.
Dott.ssa Lee
Rileggeva e rileggeva quel nome sulla porta come se le lettere fossero sbagliate e dovesse trovare loro il giusto posto nel mondo.
Seduto rigido su quella sedia che per quanto comoda potesse sembrare, gli impediva di sentirsi a suo agio. Fissava quella porta come ipnotizzato dai ricordi delle volte precedenti a quell'incontro.
Una donna uscì da quella stanza lasciando la porta aperta, dalla sua postazione poteva vedere la figura della dottoressa alla scrivania intenta a compilare dei documenti. Passò un periodo di tempo indecifrato ad osservarla con il timore anche solo di respirare, ma erano passati più di dieci minuti dal presunto inizio della sua seduta ed ancora, lei, non lo aveva invitato ad entrare.
"Allora Jungkook, vuoi restare lì o vuoi entrare?" Chiese senza alzare la testa neanche per un istante. Non lo aveva visto ma sapeva fosse nella stanza di fianco.
Il giovane che fino a poco tempo prima non credeva di potersi mettere in piedi, si alzò e si recò dentro quello studio. I suoi passi erano così leggeri, come se non volesse esser sentito. Se non lo sentiva non lo vedeva, se non lo vedeva, non c'era, se non c'era non avrebbero iniziato a parlare.
Ma ecco che, come il signorino poggiò le spalle per rilassarsi, la dottoressa puntò i suoi occhi su di lui.
"Sai, non mi aspettavo saresti davvero venuto... pensavo fosse uno scherzo di cattivo gusto." Ammise lei quasi sorridendo.
"io non ho bisogno del suo aiuto. Lei avrebbe bisogno di aiuto. Invecchierà da sola e con la patata ammuffita." Quelle parole poste a ferire erano nient'altro che uno scudo per proteggere il dolore nel quale stava scavando quella donna, così Jungkook si era alzato ed aveva deciso di arrendersi, uscì da quella porta sconvolto.
"AH si, buongiorno." Alzò la mano in segno di saluto come se si fosse dimenticato di spegnere il gas prima di uscire di casa.
"Sai, mi ha sorpreso ricevere un tuo messaggio... Cosa è successo Jungkook?" Chiese lei dolcemente, ma il giovane seduto a pochi passi da lei, non aveva alcuna voglia di rispondere, forse perché lui stesso non aveva risposte.
Non poteva, non sapeva spiegarsi il perché. Era come una fame. Come se non mangiasse da giorni ed ora mangerebbe anche broccoli pur di calmare quel fastidio.
Non c'era un modo giusto di spiegarlo. Le mani gli pulsavano. Tutto il suo corpo era focalizzato su quella meta che ancora, e forse ancora per poco, la sua mente non vedeva.
Il silenzio di Jungkook era stato forte e chiaro per la Dottoressa Lee, lo aveva sentito.
Aveva iniziato a combattere.
Non è mai facile mettersi alla prova.
Ricominciare. Anche solo avere il pensiero di poter cambiare o affrontare i suoi demoni. Qualcosa lo aveva smosso dall'ultima volta, qualcosa era cambiato. Doveva solo concentrarsi su quello. La spinta che lo aveva portato a sedersi su quel divano, in quella stanza.
Dalla prima volta che paziente e medico si erano incontrati, ella pensava che, l'approccio che il ragazzo potesse preferire fosse quello di mettersi il più comodo possibile, non guardare direttamente il suo interlocutore. In realtà in psicanalisi è molto comune portare i pazienti a elaborare i propri pensieri distesi, come se questo potesse metterli a proprio agio, invece, è molto comune per qualsiasi altro tipo di terapia, preferire un faccia-a-faccia.
Jungkook avrebbe preferito non essere osservato, anzi meglio, avrebbe preferito qualcuno potesse leggergli nella mente. Captare ogni parola che gli moriva in gola. Sentire ogni urlo. Vedere ogni burrone. Tutto pur di non rendere reale a parole attimi di vita che cercava di dimenticare. Come puoi dimenticare? Come si fa? Come si lascia andare? Era un peso morto trascinato dalla corrente.
Lui era li con lei pronto ad ascoltarlo, ad aiutarlo. Ed in quel momento il modo migliore per farlo uscire da quel guscio era dargli il modo di potersi cullare in quel dolore.
Era lì seduto, rigido. Non riusciva ad aprire bocca. Congelato. Impaurito. Una cosa però l'aveva notata: quel divano era nuovo e molto più comodo del precedente. Cercava di distrarsi.
"Jungkook, la tua seduta è terminata." Con voce bassa, ma percettibile, la donna parlò dopo quasi un'ora di silenzio. Aveva fatto creare una bolla. Quella stanza doveva essere per Jungkook una bolla di salvezza. Era il suo dolore e lei aveva capito che se voleva farlo uscire dall'abisso doveva dargli tempo, guidarlo, anche nel silenzio, verso i suoi veri sentimenti.
"Io..." Un sibilo dalle labbra di quel ragazzo che sembrava essere senza voce. "Non... Io non so..." Si era alzato, pronto ad andar via, ma proprio sull'uscio della porta si bloccò in cerca di un piccolo spiraglio.
"Non preoccuparti, Jungkook." Gli sorrise lei. "Parlerai quando sarai pronto. Mi hai chiamata. Sei venuto. Per oggi va bene così. Si può anche solo sopravvivere alcuni giorni. Combatteremo domani." E quello era ciò di cui aveva bisogno di in quel momento. Poteva tornare.
"Buona giornata." Disse prima di congedarsi da quell'ufficio.
Nel suo ritorno a casa, Jungkook, se la prese comoda; camminò in lungo e in largo.
Passo dopo passo smetteva di sentire. L'aria fresca lo attraversava come una gomma su un foglio. Ascoltava dietro di sé l'eco dei passi che si lasciava alle spalle in veste di ricordi che voleva ma non poteva dimenticare, almeno non totalmente.
Ogni attimo a contatto con il mondo, in un certo qual modo, lo estraniava dalla realtà. Iniziava a ricordarsi come si sentiva quando il suo cuore non pesava così tanto.
La sua testa era piena di domande

che lasciava ad ogni angolo che attraversava.
Avrei potuto fare la differenza? Cosa potrebbe farla per me? O cosa l'ha fatta?
Capire in quale fase della propria vita ci si trova è pressoché indefinibile se non nel momento in cui la fine arriva e un nuovo inizio si presenta alla porta.
Ora, se parlassimo con un qualunque finto sapientone armato di connessione Wi-Fi, e conoscente al minimo dei trascorsi del maggiore Jeon, direbbe che egli è giunto alla fase del patteggiamento. Solitamente, chi subisce un grave lutto tende a vivere il dolore secondo una scala. Ogni gradino corrisponde ad una fase della perdita, del dolore... Il patteggiamento non è altro che il desiderio di riprendere in mano la propria vita. Soffocare nel dolore per permettere a quell'ombra di sparire.
Ma vi sbagliate. Dentro di lui ribolliva rabbia.
Verso l'universo, sé stesso, lui.
L'aiuto che Jungkook stava cercando, non era per il suo bene, bensì, cercava un modo per poter essere un'ancora senza nuocere.
Forse era anche la cosa giusta, voler salvare qualcuno. Un po' un paradosso: offrire il tuo sangue quando stai avendo una grave emorragia.
Ormai era giunto al traguardo, il portone di casa sua era il suo ultimo passo prima di tornare a ricordare ogni attimo. Lo fissava, non voleva entrare.
"Hai intenzione di entrare o continuerai a fissare il niente?" Una domanda recente in quella giornata. Qualcuno lo aveva riportato con i piedi per terra. Il ragazzo gli si era avvicinato lentamente con un flebile sorriso stampato in volto. Lo avrebbe riconosciuto tra mille, era Jimin.
"Mmh?" Scosso dai suoi pensieri, tornò alla realtà poggiando la sua attenzione al ragazzo che lo aveva accostato come una carezza gli si era posto al suo fianco. "Ehi..." Ampliò la sua espressione persa in un sorriso. "Come stai?" Gli chiese. Non aveva avuto più sue notizie da quando lo aveva lasciato con Taehyung quella mattina e gli erano sembrati secoli.
"Molto meglio." Gli sorrise un po' imbarazzato l'altro. "Anzi, volevo ringraziarti per quanto hai fatto... voglio dire, non eri costretto..." Abbozzò un ringraziamento impacciato quasi quanto i movimenti di nervosismo che il suo corpo lasciava a descrizione dei lettori.
"Dire mille volte -grazie- non conta?" Rise il minore. Riferendosi alla quantità di "Grazie" quale il maggiore gli aveva dedicato tramite vari messaggi.
"Non per me." Rise cercando di nascondere l'imbarazzo. "Ascolta..." Prese in mano la situazione. "Sabato ci sarà una serata particolare al locale di Hobi... in realtà sarà una giornata molto particolare... critici, ospiti e tanta gente... poi ti spiegherò meglio..." Si iniziò ad agitare dall'emozione di quell'evento per il quale lui e il suo amico e collega, avevano speso tutte le energie e tutti i loro sogni. "Il punto che sembra mi sia sfuggito..." Si schiaffeggiò mentalmente. "Vuoi essere mio ospite?" Gli chiese sulle spine.
"È un appuntamento?" Con sorrisetto furbo diminuì la distanza il ragazzo ombra.
"Si, no. Voglio dire..." Le guance di Jimin si colorarono come il cielo al crepuscolo. Quel ragazzo lo rendeva nervoso, ma in senso buono. "Io dovrò stare dietro le quinte, ma vorrei venissi..." Il marciapiede divenne un bellissimo quadro da ammirare, giusto il tempo di sfuggire a quello sguardo che, quasi, lo faceva sentire nudo.
"Mi farebbe molto piacere." Accettò annuendo. Cavolo, avrebbe urlato come una ragazzina in calore.
Neanche pochi passi più in là del portone che il telefono di Jimin prese a suonare con sullo schermo una videochiamata: Hoseok.
Erano agli sgoccioli... quei giorni per Hobi erano stressanti e opprimenti, voleva tutto fosse perfetto. Non voleva deludere le sue aspettative e soprattutto non voleva venir meno all'orgoglio del padre.
"Hyung..." Sorrise Jimin rispondendo volentieri a quella chiamata di gruppo.
"Come fai ad avere il numero di tutti?" Curioso chiese Taehyung, membro anche lui di quella conversazione che comprendeva anche il fratello e il cognato.
"Non fare domande alle quali non posso rispondere." Rise Hobi dall'altra parte come se fosse un agende della CIA.
"Allora..." prese il discorso in mano. In quel momento quelle persone rappresentavano un angolo nel quale poteva nascondersi e sentirsi coccolato... è vero, non si erano frequentati assiduamente se non da pochi mesi, ma in quel poco tempo, Hoseok si era affezionato a tal punto da considerarli parte della famiglia.
"Domani sera ci sarete tutti?" Osò domandare quasi impaurito da una possibile risposta negativa.
"Certo che sì!" Esclamò convinto Namjoon.
"Non mangio da tre giorni per ingozzarmi come un maiale domani." Rise Seokjin. Amava la cucina di Hobi e Jimin ed era affascinato dal modo in cui i due riuscivano a muoversi come un'orchestra quando si trovano nel loro mondo.
"Ok, volevo sentire questo, a domani." E così esattamente come era iniziata, quella conversazione era terminata.

I due si guardarono chiedendosi il senso di quella chiamata.

"Suppongo Hoseok Hyung sia nervoso." Ipotizzò Jimin continuando a salire le scale.

"E tu?" Chiese Jungkook. "Immagino anche tu debba sentirti sotto pressione..."

"Suppongo io debba resistere." Sorrise l'altro. In fondo si sarebbero giocati il futuro, perchè dover essere nervosi?

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