Firenze

2 1 0
                                    


            Firenze quella sera era bellissima, la luce di un blu scuro cobalto ed il cielo illuminato da una luna generosa e loquace. Il Duomo come nelle cartoline, il campanile di Giotto a lucido incorniciato in quel blu. Wow. Il bianco dei marmi ed il verde scintillanti al riflesso della luce lunare. Le persone, un via vai continuo di genti, turisti in cerca di una Firenze da assaggiare. I bar pieni, i ristoranti, l'Hard Rock Cafe ed anche Bottura: a ciascuna tasca l'attesa di un tavolo.

Cosa mancava a Firenze?

Un filo di voce per dire: nulla.

Tanta arroganza, ma come non perdonarla? Che poi dipende dal punto di osservazione, perché non tutto è perfetto, ma Firenze è come un super goal alla playstation o anche meglio: un goal vero in un campo d'erba.

Viavai di ragazzi "peace and love", di vagabondi, di famiglie, di single, di gruppi di amici, e di amiche, di spagnoli, di francesi, di tedeschi, mentre gli asiatici non erano ancora tornati dopo il covid e i russi, quelli, per un po' non si sarebbero visti.

Questo e altro, era Firenze tre giorni dopo l'operazione che aveva tenuto in vita Giacomo, e Giacomo non lo sapeva. Il coma farmacologico che si era reso necessario e Giacomo faticava a concepire il tempo trascorso.

Aprì gli occhi e mise lentamente in moto i sensi e i pensieri. Provò la sensazione del prigioniero che mai prima aveva sentito, il corpo era suo, ma in quel momento non sapeva come usarlo. Ci volle qualche ora per ritornare completamente in sé, non sentiva dolore, e questo gli sembrò una cosa positiva.

Con fatica, ma lucidamente, chiarì a se stesso perché si trovasse lì ed in breve ricordò. Provò a sollevarsi, ma in quel momento stava chiedendo troppo. Si accorse che al suo fianco un cavo bianco scendeva verso l'anca e, tastando, vi trovo un tastierino di plastica e ne comprese la funzione.

Così, chiese attenzione al personale dell'ospedale, e come se fosse niente, proprio come accendere le luci con un interruttore, l'infermiera si affacciò e, come se esistesse un altro e non lui in quel letto, gli chiese se andasse tutto bene.

Bene?

Quelle ore erano durate un anno.

Forse anche di più. E dopo un anno si è così diversi, anche se non lo si percepisce.

Anche le cose, gli oggetti, un po' cambiano. E le luci della città, i taxi, le strade, tutto. Nulla rimane immutato, neppure le Hawaii, pensò Giacomo e non seppe perché pensò proprio alle Hawaii ma gli piacque ricordare che sognava di andarci, perché neppure un sogno così rimane lo stesso, si appanna, si sfuoca lentamente, nella frustrazione che rimanga appunto soltanto un sogno.

Anche le fotografie cambiano, pur rimanendo immutate, perché cambia il punto di vista con cui si osservano. E dopo un anno, i punti di vista cambiano di molto, sia per le cose fatte e che hanno ampliato la visione, sia per le cose non fatte che invece le hanno ridotte.

Ed allora, ciao, arrivederci, buongiorno, e buonasera, quante persone incontrate in un anno, poche quelle con cui si interagisce, un numero inferiore, sicuramente, dello scorrere delle pagine sul proprio telefonino.

Per pentirsi del tempo perso.

Ora, guardandosi in uno specchio che in realtà Giacomo immaginava e basta, si accorse delle rughe che già c'erano, dello sguardo meno vivo di quanto avrebbe voluto.

Come stava, stava chiedendo l'infermiera?

"Se stava bene? Dopo un anno?! Davvero, lo chiede dopo un anno?!", pensò Giacomo in uno stato che parve non preoccupare l'infermiera, abituata a ben altro, attese la risposta senza muoversi dalla porta. Una statua.

Allora, Giacomo, che stava realizzando che non fosse trascorso un anno, ma soltanto pochi giorni, o forse ore, fece sì con il capo, ma senza convinzione.

In risposta, l'infermiera sparì con una velocità insospettabile per una statua, in cerca della capo sala e del medico.

Il poliziotto messo a sorvegliare la camera guardò dentro la stanza e vide Giacomo muoversi seppur di poco, prese il telefonino e contattò i colleghi messi a guardia nell'atrio, poi quelli all'ingresso dell'ospedale. Quest'ultimi avvisarono i comandi: il dottor Giacomo si era svegliato, stava bene? (Non lo sapevano). Ha detto qualcosa? (Non sapevano neppure questo), in altre parole non sapevo altro e, quindi, era il momento di andare dal diretto interessato.

Ma c'era l'indagine in corso, il PM, i Carabinieri e tutto il resto delle procedure, delle regole, del penale, eccetera, eccetera.

Dunque nessuno avrebbe parlato con Giacomo senza il PM e senza le autorizzazioni del caso.

Questi gli ordini trasmessi e c'era da ubbidire mentre nello stesso tempo l'intenzione contraria. Almeno avevano ottenuto di poter essere di guardia alla stanza di Giacomo e non di farsi sostituire dai colleghi dell'Arma.

Dunque nessuna visita, nessun contatto con il dottor Giacomo, e dunque nessuna notizia da lui, almeno per il momento. E questi erano i motivi della solenne incazzatura in Questura.

E giù un altro pugno su un tavolo del Questore che già portava segni di precedenti scontri. Fortuna che il mogano è pur sempre mogano, nonostante i novanta chili del Questore, nonostante tutti i precedenti Questori che si erano succeduti a sventrare scrivanie.

"Ma proprio non possiamo parlargli?", chiese il capo della Mobile, "è un collega prima di tutto!".

"Lo è", disse il Questore, "Ma no, non possiamo. Non si discute".

"Lei sa qualcosa che non può dirmi, signor Questore?", chiese il capo della Mobile.

"No."

Tuonò nel grande ufficio.

Povero mogano, verrebbe da dire.

Anche i quadri alle pareti vibrarono.

Non vi era altro da dire, nuovamente il Capo della Mobile lasciò l'ufficio del Questore, e parve a tutti con il capo un poco reclinato.

Guardando quella faccia rabbuiata, gli agenti dell'ufficio pensarono che le cose si erano messe male.

Ma in realtà stava pensando ad una bistecca.

Ed una birra.

Ed invece stava a dieta.

"Ecchecazzo".

Le cose passano, vanno per loro conto.

Un altro amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora