Magma

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            Martha lo guardò andare via. Si era affacciata dal balcone seminuda e neppure lei seppe perché avesse sentito la necessità di guardare Giacomo infilarsi nell'auto di servizio. Rientrò in camera da letto, si sdraiò e chiuse gli occhi, ma anziché provare sollievo, sentì un profondo malessere. Sentiva l'orrore. Percepiva la responsabilità di aver lasciato quell'uomo morire da solo, di non aver chiamato aiuto per non sporcare la sua vita con il suo errore. Ripudiò le scelte fatte, ma era troppo tardi. Si alzò di scatto, scostò le lenzuola. Non contenta, le tolse completamente dal letto e lo stesso fece con le federe dei cuscini e tutto il resto. Raccolse tutto da terra, andò in bagno e mise ogni cosa nella lavatrice. Lo stomaco in fiamme. Si guardò allo specchio. Il seno uscì dell'accappatoio. Il sorriso non c'era in quel viso che non riconosceva.

Doveva reagire.

Fuori c'era l'estate anche se era notte ormai.

L'estate profuma, e Martha in quel momento non sentiva i profumi, ma sapeva ancora cos'era l'estate. Erano i baci, i rumori, saltare le onde, inseguire le persone con lo sguardo. Luci. Si concentrò su questo.

Prese uno slip dal cassetto, sulla pelle indossò una camicia, i jeans.

I pensieri che la tormentavano penetrarono anche i tessuti.

In cucina, guardò la cena, ma non fece gli stessi pensieri di Giacomo a riguardo. Aprì il frigo, lo richiuse. Dal pensile prese un bicchiere basso e tozzo, con il profilo squadrato. Vi versò un vino rosso. Bevve. Poi, ancora. Aveva voglia soltanto di quello, ma si fermò perché sapeva che non avrebbe retto l'alcool a stomaco vuoto. Da quando non mangiava? "Lasciamo perdere", pensò. Ma cos'era realmente successo?

Un altro pensiero. Era lì che spingeva come una necessità impellente: i gemelli, Elena.

Portò le mani sulla bocca: li aveva completamente dimenticati.

Non era la fine del mondo e almeno quel pensiero l'aveva distratta dal problema principale. Cercò il telefono, ma come un mutilato che cerca ancora il suo braccio invano in una crisi di nervi. Il telefono era nella borsa e la borsa era rimasta in quella casa, se ne rese conto al limite della tensione.

Trattenne le lacrime, anche se in quel momento forse sentirle sul volto sarebbe stato catartico.

Dovette piegarsi e sostenersi al muro che sentì freddo e inospitale. Lo sforzo di rialzarsi non le fu sufficiente per rimettersi in piedi, così, per allentare la tensione che non le permetteva di pensare, si lasciò sopraffare dalla stanchezza e si distese a terra senza ulteriore opposizione. Un magma bollente le riempì lo stomaco. Era troppo, ma non aveva forze con cui combattere. E poi sentiva freddo, lo stesso provato quando si era obbligata a salire in auto e andare via da quella casa, un freddo strano, intenso che le arrivava da dentro, come lame di coltelli. E lei non sopportava il freddo, anzi lo detestava.

Alla fine si rimise in piedi. Con uno sforzo che le sembrò enorme, prese la giacca di pelle dall'armadio e infilò le scarpe. Passò dalla cucina, aprì la credenza e prese una scatola di latta che un tempo conteneva dei biscotti e che era diventato il suo nascondiglio segreto: vi frugò dentro ed estrasse una sigaretta e un accendino.

Chiuse la porta dietro di sé senza pensare se avesse o meno le chiavi per rientrare.

I ragazzi. Sua madre l'avrà chiamata, ma non aveva tempo per loro. Non in quel momento. Doveva ritrovare la borsa o tutto sarebbe stato perduto.

Si accese la sigaretta con mano ancora tremante. Chiuse gli occhi e, avida, inspirò la nicotina.

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