Colla sulle dita

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           Le domande sospette lo mettevano sempre in ansia. Le peggiori erano quelle che si rivolgeva a se stesso, un sesto senso che in Giacomo era fin troppo sviluppato. Gli procurava un mal di testa a settimana. Così, quella sensazione di disagio che aveva appena provato davanti alle impronte delle suole di scarpe insanguinate era come colla sulle dita.

Una pessima giornata. Pensò che avrebbe voluto fosse già domenica, con l'idea che quanto avrebbe visto da lì a poco fosse soltanto un brutto ricordo, un errore, non una macchia di sangue, ma di acqua tonica, non un omicidio, ma una messa in scena, un gioco. Avrebbe trasformato quell'omicidio in un trompe d'oeil.

Ma è la realtà quella che conta, e raccontava che quanto avesse di fronte non fosse affatto finzione.

Giacomo scosse le scosse. Guardò in alto sopra il tetto della casa, sopra gli alberi e capì che il suo sesto senso stava per dirgli qualcosa.

Si voltò verso l'auto. Vittori lo guardò interrogativo.

"Vittori?"

"Mi dica, dottore".

"Chiama la Centrale. Digli che siamo qui e che mi fermo io. Hanno avvisato il PM?".

"Non so se i colleghi hanno avvisato il PM".

"Lo so Vittori, era per dirti di chiederglielo".

Vittori rientrò nell'auto in cerca della radio di servizio. Giacomo non attese oltre, guardò il collega della scientifica. "Dai, entriamo". Calzarono le soprascarpe, i guanti. Un agente aprì la porta che era già socchiusa.

Giacomo gli fece un cenno per dirgli di attenderli senza entrare. Poi, ricordando che dell'investigazione aveva fatto la sua carriera, iniziò ad osservare il soggiorno. Il collega sulla destra, lui sulla sinistra rispetto al tavolo. Parlavano tra loro come una squadra affiatata indicando alcuni dettagli della scesa che avrebbero dovuto osservare poi meglio con cura con i tecnici che stavano aspettando fuori.

Anche nel soggiorno c'erano le impronte delle scarpe.

Erano stigmatizzate tra il tavolo e la porta e conducevano verso il bagno. Giacomo terminò di guardare le finestre ampie che davano verso la spiaggia, ma non vide nulla di significativo. Avrebbero comunque setacciato ogni angolo, e ci avrebbero messo delle ore.

In quelle indagini spesso accadeva che la grossa parte della soluzione arrivasse proprio da quella meticolosa ricerca delle tracce. Anche un capello o anche meno, un'inezia, portava sulle tracce di un assassino. "O un'assassina", lo corresse il collega della scientifica.

Esattamente come prima, Giacomo provò un disagio sordo, interiore.

"Spostiamoci verso il bagno", disse.

Si passò la mano tra i capelli, poi si ricordò che aveva indossato i guanti ed il suo gesto restò bloccato a metà.

Pochi passi e furono di fronte all'uomo a terra. Il sangue era rappreso ed era copioso. Si vedevano chiaramente le sagome delle punte delle scarpe da donna.

"Direi una scarpa a punta, piccola, forse un trentasette", indicò il collega della scientifica.

"Lo sapremo dopo, credo", disse Giacomo freddo.

"Già".

Avvicinarsi all'uomo senza commettere un'alterazione delle prove non era affatto una cosa facile. L'uomo aveva perso molto sangue e il corpo cadendo fuori dalla doccia aveva anche fatto scivolare una parte dell'acqua sul pavimento.

"Attento", disse Giacomo al collega che sbadatamente non aveva notato un piccolo rivolo di acqua e sangue che si era infilato subdolo tra le piastrelle ora vicine al poliziotto.

"Scusa, qui però è un disastro. Lasciamo perdere, Giacomo, e facciamo entrare i miei prima fare uno scempio".

Ma Giacomo non era ancora pronto ad uscire di scena, doveva prima carpire la scia invisibile lasciata dal crimine. Si scostò a sinistra il più possibile schiacciandosi contro la parete lontano dall'uomo.

"Hai notato una cosa?" chiese all'improvviso al collega.

"Dimmelo tu, Giacomo".

"Le orme delle suole sono rivolte verso l'uomo, ma non vanno verso di lui, si fermano prima. Guarda, deve essere entrata dalla porta, se hanno sparato quelle impronte, hanno sparato da qui", indicò un'area tra lo stipite della porta e poco fuori dal bagno.

"Le impronte, non sparano, Giacomo", rispose Farina.

"Lo so, ma non diamo per scontato nulla".

Farina lo guardò perplesso e Giacomo si arrese e semplificò: "D'accordo, era una donna. Se non l'ha ucciso lei, allora ipotizziamo che sia entrata in bagno, abbia visto l'uomo riverso a terra, ed è scappata via".

Era una prima ricostruzione plausibile, che andava valutata dopo i rilievi.

"Allora usciamo, Giacomo?", ripeté l'invito il collega che per esperienza sapeva di non poter far molto senza contaminare la scena.

"Sì, sì", rispose Giacomo, ma rimanendo nello stesso posto in cui era, "soltanto un momento ancora".

Nel dirlo, portando il peso del corpo sempre più contro la parete, riuscì a scavalcare l'uomo e a superarne il corpo dirigendosi verso la finestra.

Era socchiusa. L'aprì lentamente per non far entrare un eccesso d'aria e guardò fuori.

"Oppure l'assassino è entrato da questo lato e gli ha sparato alla schiena".

"Oppure, Giacomo, per favore, usciamo e lasciamo fare ai colleghi! In queste condizioni, comunque, non capiamo nulla e ..." ma Farina non poté terminare perché Giacomo, scavalcò la finestra e in un attimo fu fuori.

Lo sguardo di Farina fu un misto tra la frustrazione e un'incazzatura genuina.

Giacomo lo tacque ancora: "Dì ai tuoi di iniziare da qui: è sabbia, è difficile trovarvi qualcosa, ma forse quel qualcosa lo troviamo, non credi?".

"No, non così!", fu la laconica risposta di Farina che fece due passi indietro e in poco fu fuori dalla casa.

Poi entrarono tre persone della scientifica e per le successive ore nessun altro avrebbe avuto accesso alla casa.

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