VI

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Tutto il corpo era intorpidito a causa dei dolori che quello gli aveva lasciato, era bagnato del suo seme, tutto sporco, e ancora tra le coperte. Non riusciva a muoversi, tanto che si sentiva male. Erano stati dei giorni intensi per lui. Si era verificata proprio la sua peggiore ipotesi; diventare un giocattolo sessuale per il riccone più brutto della Grecia, si doveva complimentare con se stesso perché non si era ancora tolto la vita.
Allungò la mano verso le coperte, per pulirsi un po' le gambe dal seme che gli aveva sporcato la pelle, fece una smorfia di disgusto vedendo l'uomo russare al suo fianco. Era molto tardi e i raggi della luna filtravano dall'ampia arcata che dava sul mare.
Osservò le stelle illuminare il cielo notturno, avrebbe potuto spiccare il volo, se solo non fosse ancora legato con delle maledette corde al letto. Ormai gli erano entrate così in profondità che si erano creati dei solchi, rossi tendenti al viola, sulla sua pelle. Non aveva nemmeno le forze di spezzarle,non aveva la forza di fare nulla con quel corpo intorpidito dai continui abusi del suo padrone. Aveva perso anche il sonno, non che dormisse molto, e ogni sera aspettava l'alba vedendo scomparire la luna oltre l'orizzonte; era a quell'ora che il vecchio si svegliava, poi partiva andando chissà dove e lui rimaneva libero fino la sera. Libero era un modo di dire, siccome era incatenato al letto. Era quella era la routine di Hawks e non poteva aspettarsi tutto rose e fiori,  dopo essere stato preso dagli spartani come bottino di guerra. Se fosse stato un po' poi furbo magari non si sarebbe ritrovato in quelle condizioni; quasi quasi gli mancava schizzo, e anche un po' quel soldato spartano dagli occhi azzurri. Chissà se lo pensava anche lui. Sentì il vecchio muoversi tra le coperte, diede uno sguardo fuori : era già mattina. Si mise sdraiato sul letto e chiuse gli occhi, fingendo di dormire.

All'accampamento erano tutti impegnati a pranzare, tranne una persona.
Un ragazzo, chiuso nella sua tenda, si trovava steso sul suo giaciglio di paglia con le braccia conserte dietro la schiena e il viso pensieroso. Il suo nome era Touya, un nome insolito per uno spartano, glielo aveva dato suo padre solo perché una ninfa del mare gli aveva annunciato la sua nascita e gli aveva detto di scegliere quel nome. Proveniva dalle terre sconosciute, forse posti che ancora dovevano scoprire. Non gli importava molto il significato del suo nome tanto quanto gli importava di un certo uomo con un paio di ali rosse. Non aveva nemmeno avuto l'opportunità di presentarsi a lui, lo avevano solo tenuto rinchiuso in quelle quattro mura fatte di roccia, legato a gambe e mani. Ogni sera andava da lui a portargli da mangiare e a dirgli che sarebbe stato venduto. Ma in realtà, nonostante si fosse comportato da completo bastardo, non aveva potuto ignorare quello sguardo che gli aveva lanciato quando lo avevano portato via sotto i  suoi occhi.
Si passò una mano in mezzo ai capelli scuri. Stava pensando troppo a quel tizio, ormai avevano fatto dei bei soldi con il primo maiale che lo aveva comprato e non era affar suo. Quando un suo compagno entrò nella tenda per chiamarlo fuori, venne riportato alla realtà dai suoi pensieri. Sapeva cosa stesse succedendo; erano nel pieno della guerra, quindi dovevano attaccare prima di essere attaccati a loro volta. Il biondo quindi doveva accantonarlo in un angolo della sua testa, anche se gli risultava difficile. Prese l'elmo e se lo mise sulla testa, dopo essersi allacciato tutte le protezioni e, una volta pronto, afferrò la lancia e uscì fuori.

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