Il Gatto E La Volpe

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Il caffè era stato da sempre un alleato formidabile. Riusciva sempre nel bene o nel male a tirarmi su e tirare fuori l'energia necessaria per aprire gli occhi e affrontare quelle giornate del cazzo che mi si presentavano davanti da quando ero adolescente. Prima della sua dipartita, e prima che il mondo mi crollando addosso, era solo l'accompagnatore ufficiale del mio latte. Nulla di più. Adesso, quel liquido scuro e penetrante, mi svegliava dall'entropia che la notte portava con sé e nella quale cadevo. La tazza nella quale era raffigurato un papavero, collezione d'annata di mia nonna materna, dava quel tocco di colore a quella giornata uggiosa che mi si presentava davanti agli occhi. Guardai attraverso la finestra, e vidi la gente che correva a destra e a manca pur essendo ancora le sette e tre minuti del mattino. Era sempre interessante guardarli e immaginare quale cazzata si aggiungevano a fare. Chi andava a lavoro, chi andava in Caffetteria e chi come me, entrava ed usciva da ospedali vari. Se mi immergendo in quei ricordi, ancora nitidi nella mia mente, potevo anche sentire l'odore dell'alcol e il cigolare dei carrelli con su tutto l'occorrente per le medicazioni. Ricordi che avevano scandito la mia adolescenza, ma anche quel percorso tortuoso che avevo dovuto affrontare dopo l'incidente. Sul mio viso, dopo essermi rivisto su quel letto di ospedale, apparve subito una smorfia. Una smorfia di dolore mista a disgusto, che cercavo sempre di camuffare pensando ad altro. E quel pensiero, che tuttora mi teneva in vita, era lei. Non potevo morire senza averla rivista almeno una volta. Non potevo non sentirla tra le mia dita prima di soccombere per sempre. Perché l'avevo pensata tante volte durante la mia degenza e la dolorosa fisioterapia. Mentre stringevo i pugni in quel lago di sudore in quei giorni di Agosto. L'avevo pensata con timore e angoscia. Proprio come quel giorno di Luglio, in cui lei mi aveva lasciato per sempre. Tornai indietro dai meandri della mia mente, con ancora la tazza tra le mani e l'orologio che scandiva le sette e dieci minuti. In quei sette minuti, non avevo fatto altro che viaggiare e lottare con i ricordi di un passato che mi faceva ancora male. Bevvi tutto in un sorso il caffè che ormai era freddo e allungai la mano verso il cellulare che stazionava sul tavolo della cucina, trovando trentadue chiamate da parte di Erika, tre da parte di Adriano, e un messaggio da parte di Nicole. Trai i due che facevano tanto rumore, l'unica che mi interessava lei con il suo silenzio. Aprii il messaggio leggendo quelle poche parole con un sorriso stampato sul viso.

" Voglio vederti stasera"

" Ti aspetto da me"

Le risposi velocemente, aspettandone la risposta come se fosse ossigeno. L'incontro che avevamo avuto allo studio era stato inteso e inaspettato. Qualcosa che ricordi anche a distanza di anni che che vuoi ripetere il più presto possibile. Quel qualcosa di cui non puoi più fare a meno e che ti manda il cervello a puttane.

" Ok. "

Rispose lei, facendo spuntare nuovamente quel sorriso soddisfatto. L'avrei tenuta nuovamente tra le mie braccia. Sarebbe stata nuovamente mia e di nessun'altro, proprio come doveva essere fin dall'inizio.

Poi, con la voglia sotto le scarpe, presi un bel respiro e composi il numero di Adriano. Avere a che fare con lui non era il massimo, ma non potevo neanche averlo come nemico.

« Finalmente sua altezza, si degna di richiamare. Non credevo che il mio cliente più affezionato avesse tutti questi impegni. », ridacchiò con la sua voce stridula ribadendo ancora una volta che lui mi aveva salvato il culo.

« Sai com'è, un giorno non hai nulla da fare e l'altro non riesci a trovare un minuto libero. »

« Parliamo della dolce Nicole? »

« No, parlavo in generale.»

« Quindi, dottore, vorresti farmi capire che non hai visto Nicole? »

« No, io ho visto Nicole, ma non nel modo che pensi tu. »

Dimenticare TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora