Angelo caduto

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Lily
2024

Avrei dovuto avvisarlo prima, quello era stato l'errore. Dare per scontato era uno dei miei peggiori difetti; lo facevo da quando avevo imparato a camminare, convinta che ci sarebbe stato sempre qualcuno a sorreggermi se fossi caduta.

Avevo continuato a farlo, però: come l'arrivare in ritardo agli appuntamenti importanti.
Quella volta non fu diverso.
Avrei dovuto chiederglielo, prima di dire ai miei che ci saremmo stati.

Ma la colpa non era mia. La colpa era delle parole, sempre troppo veloci e affrettate, seguite dalle emozioni che finivano per incasinare tutto.
C'erano delle volte in cui proprio non riuscivo a tacere ed era quello a mettermi nei guai.

Ecco perché, al telefono, mentre i pensieri erano sempre in svantaggio rispetto alle parole— mentii a mia madre.

Le dissi che sarei passata da sola perché Alex sarebbe stato impegnato in un importante meeting di lavoro: tanto importante da averlo dimenticato per qualche giorno, pensai tra me.

Strinsi gli occhi forte e fui felice di non averla chiamata con FaceTime: ero davvero una pessima bugiarda, avrei dovuto lasciare le bugie a chi sapesse maneggiarle con maestria.

Arrivai in ritardo, ma non fu una novità. Il portone di casa dei miei sembrava diventare sempre più grande e imponente ad ogni sguardo.

Sentii il freddo accarezzarmi le gambe avvolte da niente, se non un leggerissimo collant, e mi guardai ancora una volta le curve, accentuate dal pizzo bianco stretto attorno alla mia vita.

Il boa di piume bianco mi solleticava la pelle intorno al collo, così come le ali dietro la schiena; raggiunsi la pochette per estrarre la maschera abbinata, da mettere sopra gli occhi, e mi decisi a salire quei gradini.

Fu ironico che la maschera celasse lo sguardo dalle bugie che avrei sicuramente continuato a raccontare, una volta dentro.
Quando trovai la forza di bussare, mia madre mi accolse con un abbraccio che sapeva di fiori.

"Sono felice che tu sia qui, tuo padre ci tiene molto."
"Anche io."

Le feci un sorriso e, dopo esserci scambiate qualche commento veloce sugli abiti, mi trascinò dentro.

Le luci soffuse, aiutate dalle fiamme deboli delle candele, riuscivano sempre a trascinare il grande salone in quell'atmosfera tipica delle grandi feste in maschera, con chiacchiericcio e l'armonia dei violini e del pianoforte.

Le maschere sui volti, le ampie gonne e le camicie a sbuffo completavano quell'ambientazione, tanto da farmi dimenticare in quale epoca ci trovassimo.

"Bello, vero?" Mi voltai e riconobbi mio padre che abbracciai immediatamente.

"Ti sei superato quest'anno."

"Lo dici ogni anno." Scoppiò a ridere, poi si guardò intorno e tornò a guardare me. "Come stai tesoro?"

"Molto bene." Potrei stare meglio. "Sono felice di esser venuta," Sarei stata più felice se Alex fosse stato qui.

Mio padre mi guardò per un attimo, poi mi abbracciò senza dire niente. Quando tornò a guardarmi, si avvicinò al mio viso, alla mia maschera. Guardai ovunque, ma non i suoi occhi.

"La mamma mi ha detto che Alex é impegnato."

"Impegni irrevocabili sul lavoro." Mi strinsi nelle spalle quando mi scappò una risatina. "Voleva venire." Bugia. "Gli avrebbe fatto piacere."
Avrei dovuto lasciare le bugie a chi sapeva dirle.

"Ci saranno altre occasioni, digli che stia tranquillo." Fece per voltarsi e andare via. "Stai tranquilla anche tu." Annuii ben consapevole che non potesse vedermi, ma fu chiaro: mio padre lo sapeva. Lui sapeva sempre tutto.

Il mio primo pensiero dopo quella conversazione, andò ad Alex e al fatto che non mi avesse scritto per tutta la sera. Afferrai il cellulare e feci indugiare le dita sulla sua chat, ma mi sforzai a togliere il telefono e nasconderlo nella pochette.

Mi guardai intorno e l'atmosfera settecentesca fu sostituita da luci blu e musica di qualche secolo più tardi; mi versai del punch, prima di dirigermi verso il centro di quello che era il salone dove giocavo da bambina, abbandonandomi al ritmo di una canzone che credevo di aver dimenticato.

Il profumo di talco si liberò nell'aria, camuffando il blu di quelle luci fino a farle diventare di un celeste chiarissimo, e trasformando le persone in una massa informe di colore.

Continuai a ondeggiare senza badare ai brividi provocati dalle piume che avevo sulla schiena, fin quando sentii qualcuno sfiorarmi le dita. Prima che potessi voltarmi, riuscì a incastrare le sue mani con le mie.

Quando realizzai, tentai di liberarmi da quella presa ma non appena le sue dita sfiorarono le mie braccia, smisi di combattere.

La mia pelle riconobbe quel tocco e si arrese sotto le sue mani: il collo, le scapole, i fianchi, i polsi. Ogni parte di me bramava quel contatto.

Quando provai a voltarmi non me lo permise, ma sentii il suo respiro dietro la nuca prima di sentirlo soffocare un sospiro.

"Ti fai sempre toccare in questo modo?"
Il mio corpo non aveva sbagliato, ogni fibra di me stessa sapeva che si trattasse di Alex; ma non fu sufficiente a non farmi rabbrividire quando sentii la sua voce.

"Solo da chi lo merita."
Fu in quel momento che mi voltò in modo che mi trovassi di fronte a lui. Indossava un abito scuro e un papillon beige. La maschera che aveva sugli occhi era nera come i suoi occhi, ma non riuscì a nascondere o camuffare l'euforia che provava.

"E io, me lo merito?" Le sue dita sfiorarono i contorni del mio abito, vicino alle clavicole.
Non risposi, gli afferrai la mano e me la portai sul fianco; poi mi spinsi sulle punte e quando fui abbastanza vicina al suo orecchio sussurrai qualcosa che gli fece serrare la mascella.

"Non so chi tu sia."

Fu in quel momento che mi afferrò per i fianchi e mi avvicinò per azzerare la distanza tra i nostri corpi. I suoi occhi divennero famelici e io fui felice di essere la preda. Vidi il suo pomo scendere e salire, poi serrò la mascella.

"Potrei mostrartelo."

"Potresti fingere di essere qualcun'altro, o sbaglio?" Azzardai, ma lo vidi togliersi la maschera.

"L'unico che può sfiorarti in questo modo sono io, voglio che tu sappia che si tratta di me." Si avvicinò a un palmo dalle mie labbra. "Non fingerò di essere qualcun'altro quando ti toccherò."

"Sembra allettante." Il suo respiro mi colpì il viso, nel momento in cui la sua mano trovò asilo tra il mio collo e la guancia.

"Oh, non sai quanto Lils." Si inumidì le labbra, indugiando sulla mia figura. "I tuoi lo sanno che questo vestito non ti si addice?" Sfiorò appena le mie labbra con le sue e io sentii i brividi sfiorarmi lo stomaco.

"È una festa in maschera, Alex." Sospirai il suo nome vicino alle labbra.

"Farò sparire quelle dannate ali prima dell'alba." Sorrise sulle mie labbra. "Hai la mia parola."

Lilies & OTICH• Ben BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora