Shakespeare

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Alex
2031

C'era stato un periodo in cui avevo avuto il privilegio di chiamare mia la donna che avevo di fronte in quel momento.

Ero giovane, caparbio e abituato a perdere tutto quello che contava davvero per me. Mi ero ripromesso che non sarei mai stato come mio padre, che non avrei mai permesso a una donna di prendermi il cuore e strapparlo via dal petto.

Avevo visto come mia madre l'aveva ridotto e al solo ricordo, il suo alito liquoroso mi colpì la mente.

Amavo la persona che ero e il modo in cui tutto fosse finalmente al suo posto, ma Lily aveva qualcosa che mi spingeva ad amarla più di quanto amassi me stesso.

Lei era l'anestetico contro il narcisismo che mi seguiva come un'ombra. Il raggio di sole che si insediava nella mia tossicità.

Lily non era il tipo da starsene fuori per locali fino a tarda notte, lei era in grado di farti amare un pomeriggio speso sul divano a fare niente.

Amava il dolce far niente e io amavo far niente con lei.

Non avrei dovuto permetterle di infestarmi, di gironzolare così vicina al mio cuore e pure l'avevo fatto. Le avevo permesso di amarmi e mi ero concesso di amarla.

Poi le immagini di mio padre e mia madre mi si paravano davanti agli occhi; le grida diventavano tanto forti da non essere in grado di sentire nient'altro e quando l'odore di Rum mi colpiva le narici...

Quello era il momento giusto per fare un passo indietro.

L'avevo tradita per egoismo e avevo finito per distruggere me stesso perché una come Lils non si lascia dimenticare. Una come lei ti insegna come vivere una vita nuova, una vita da zero e quando la perdi... Cazzo, se lo senti.

"Non abbiamo detto una parola per più di venti minuti." Incrociai le mani sul tavolo.

"Sei tu che mi hai costretta a venire." Stava facendo roteare il vino nel suo bicchiere, mi scoppiò un sorriso beffardo sul volto.

"Avevi una scelta, Lily. Se sei qui è perchè vuoi esserci. Non ti sono venuto a prendere con la forza." Ero stato troppo sincero, forse. "Saresti potuta uscire con il tuo fidanzato, magari."
Il cuore mi fece una capriola.

"Aveva da fare." Rispose lei, puntando quei grandi occhi da cerbiatta su di me. Aveva messo un po' di mascara, ma niente eyeliner. Mi illusi che fosse perché lo odiavo.

"E ti manda fuori con il tuo capo, che poi è anche il tuo ex?" Gli occhi iniziarono a muoversi ovunque, cercando appiglio da qualsiasi parte, ma non sul mio volto. Si scordava che mi fossi imparato a memoria ogni sua più impercettibile espressione. Sbuffò fuori dell'aria, poi mi guardò.

"Cosa vuoi esattamente?"
"Che tu mi dica la verità."
"Se parliamo di verità, allora parliamo di te."

Sapevo che saremmo arrivati a questo punto.

"Chiedimi quello che vuoi, sarò sempre sincero con te."

A quel punto, scoppiò a ridere prima di portarsi il calice alle labbra.

"E' perché sei sincero che ti sei scopato un'altra sulla mia scrivania?" Non dissi niente, sapevo quanto morisse dalla voglia di dire altro.

"Tu mi hai mentito e io da idiota, mi sono fidata. Però non sono più quella persona."

Le persone ai tavoli avevano smesso con il loro chiacchiericcio ininterrotto quando mi abbassai sul tavolo, avvicinandomi a lei il più possibile per sussurrare.

"Non nego di esser stato uno stronzo. Lo sono stato. Chiedimi qualcosa che non so, per esempio..." Afferrai il suo calice e lo analizzai. "Perché sei venuta a cena con me stasera?
Oppure..." Stavolta puntai gli occhi nei suoi. "...Perchè ti sei messa quel vestito?"

Lei scosse la testa come se fosse divertita, aprì la bocca per parlare ma non ne uscì alcun suono. Sapeva che fossi uno stronzo, lo sapevo anche io.

Ciò che non sapeva era il motivo per cui si trovasse a quel tavolino con me, né perché fosse così agitata in auto. Continuai al suo posto.

"Quello che sto cercando di dire è che questa è una cena tra colleghi, tu sei la mia assistente e io un tuo superiore. Dobbiamo mettere una pietra sopra a tutto questo. Non pensare che sia semplice per me guardarti ogni giorno."

"Puoi non farlo. Guardarmi, sai?" Aveva il tono di una bambina che giocava a fare i capricci e teneva il broncio.

"Pensi che non ci abbia provato?" Risposi serio. "Ho provato a parlare con quel figlio di puttana del presidente, non volevo tornare."

"Che significa che non volevi tornare?"

"Che volevo rimanere alla sede centrale, ma se fossi rimasto il mio contratto sarebbe recesso. Quando ho accettato di tornare, avevo chiesto di non volerti tra i piedi, non immaginavo che togliessero la scrivania a te."

Ero sincero, speravo lo sentisse. Speravo che i miei occhi sapesse ancora leggerli. Era a disagio, guardò in alto poi in basso e si portò una mano dietro al collo.
Aveva gli occhi lucidi?

"Pensavo fosse stata una tua scelta." Il suo tono era flebile.

"Invece siamo stati fottuti entrambi." Le feci un sorriso, ma aveva ancora gli occhi puntati verso il basso quando avvicinai la mia mano al suo volto e con le dita sotto al mento, la spinsi a guardarmi.

"Mi dispiace Lily, davvero. Non avevo scelta."

A quel punto pensai che mi urlasse contro che una scelta ce l'avevo, che avevo lei,  invece mi guardò composta e tanto intensamente da sfidarmi. "Si ha sempre una scelta." Ma quando fui sul punto di dire qualcosa, continuò. "Ora però, sarò io a farlo."

"A fare cosa?"

"Scegliere."

Dopo alcuni istanti, allungò la mano nella mia direzione in modo che la stringessi.
"Per stasera, soltanto fino a domani, indosseremo una maschera e faremo finta di non essere Alex e Lily." Si fermò un attimo.

"Stasera abbiamo di nuovo 23 anni, ci siamo appena conosciuti e ci stiamo godendo un appuntamento. Soltanto fino a domani."

La bocca mi si schiuse, ma serrai immediatamente la mascella per non mostrarle quanto fossi sorpreso della sua richiesta.

Quella si che era una novità, Lily voleva giocare e si dava il caso che mi mancasse farlo.

Non importava quale fosse il suo nome quella notte, il profumo della sua pelle e dei suoi capelli sarebbe stato sempre lo stesso.

Shakespeare aveva ragione.

Perché sei tu, Lily?

Lilies & OTICH• Ben BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora