Capitolo 4

15 2 0
                                    

 TRISTAN

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

TRISTAN

"Entri pure signor Barker e chiuda la porta per cortesia."

Entro nell'ufficio del dottor Lewis e osservo la stanza rossa in cui mi trovo. È dello stessa rosso acceso che ha il sangue quando esce da una ferita superficiale.

Gli occhi mi bruciano ed il mio respiro è smorzato dai singhiozzi nonostante le mie guance siano asciutte, non riesco più a versare neanche una lacrima e non so in che altro modo far uscire tutta la rabbia che sento avvelenarmi il sangue. Sono seduto in bagno, sopra le piastrelle bianche dall'aria fetida, incrostate da non so bene cosa e ricoperte da delle ciocche dei miei capelli neri strappati alla radice, anch'essi vittime delle mani della mamma. Guardo il mio riflesso tremolante nello specchietto che tengo tra le mani che non vogliono saperne di fermarsi, fortunatamente sono riuscito a trovarlo tra le cose buttate alla rinfusa nel cassetto giallo dell'unico mobiletto che c'è in questo bagno minuscolo— lo specchio che si trovava sopra al lavandino l'ha rotto la mamma una sera mentre si stava lavando via dalle mani il mio sangue rappreso con espressione schifata. Era talmente fatta che le sue gambe esili non erano riuscite a sostenere il suo peso e perse l'equilibrio finendoci addosso di faccia e rompendolo in mille pezzi.

Ispeziono il mio volto per valutare se questa volta basterà il fondotinta che rubo al supermercato per coprire i segni che mi ha lasciato o se sarò costretto ad assentarmi di nuovo da scuola. Spero di no perché andarci, nonostante io sia sempre per conto mio, è una delle poche cose che mi piacciono. Preferirei qualsiasi cosa allo stare in questa casa con lei, però mi vergogno troppo per raccontare a qualcuno quello che succede da oramai otto anni.

E poi è solo colpa mia se la porto ad arrabbiarsi così...

Non riesco a stare seduto per più di due minuti senza cambiare posizione in continuazione ed avere quel tick nervoso alla gamba che lei non sopporta, la notte non riesco a prendere sonno e la disturbo con il mio incessante camminare avanti e indietro nella mia stanza mentre lei invece vorrebbe riposare in santa pace e senza il rumore dei miei passi che riecheggiano tra le mura sottili di casa nostra. Le poche volte in cui mi parla mi distraggo e la mia mente vaga dove vuole lei senza riuscire a prestarle la dovuta attenzione.

Le mie guance non saranno rigate dalle lacrime ma sono rigate da tanti graffi rossi sottili che mi hanno lasciato le sue unghie, partono da sotto gli occhi e continuano fino alla mascella, il sangue è talmente rosso che sembra Ketchup. Vorrei poterle fare male tanto quanto ne fa lei a me, vorrei prenderla per i capelli e tirare fino a che non le si staccano tutti dalla testa e farle lo scalpo, vorrei vedere di che colore sarebbe il suo di sangue se la tagliassi, vorr-

"Prego signor Barker si accomodi pure."

Impongo al mio cervello di smetterla di rinvangare il passato ma piuttosto di concentrarsi sul presente.

Coping MechanismDove le storie prendono vita. Scoprilo ora