Capitolo 12

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                   MICHEAL

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                   MICHEAL

Sbuffo l'ultima nuvola di fumo e chiudo la finestra di camera mia chiudendo fuori anche il gelo, che nonostante la doccia calda durata mezz'ora mi è rimasto nelle ossa dopo la mia nuotatina notturna.

Sono stata veramente una grandissima cogliona, una coi fiocchi.

Sono quasi morta.

Di nuovo.

Il mio stupido orgoglio, assieme alla mia impulsività —famosa per mettermi sempre nei guai— e la droga assunta, hanno fatto sì che me ne infischiassi di tutti i campanelli d'allarme che suonavano incessantemente assieme alle proteste degli altri per impedirmi di fare l'ennesima cazzata.

Per fortuna c'era Tristan.

Sospiro guardando la parete che ci separa, come se potessi vederci attraverso e vedere ciò che sta facendo in questo momento. Mi chiedo se anche lui non riesca a fare a meno di ripensare a ciò che è successo tra di noi al fiume. E non parlo del fatto che mi abbia salvata per la seconda volta di fila nel giro di neanche una settimana in cui ci consociamo, manco fossimo all'interno di un romanzo cortese poi.

È stata un'esperienza surreale, quasi come se fossimo stati all'interno di un sogno —o di un'incubo— e anche la più eccitante che io abbia mai provato, nonostante non sia accaduto quasi nulla.

La mia mano destra ripercorre il tragitto che ha fatto la sua sinistra e vorrei aver potuto imprimere meglio nella mia mente la sensazione del suo tocco in modo tale da riviverlo all'infinito. Era ruvido —probabilmente per via dei calli alle dita provocati dallo sfregamento delle corde della chitarra—, ma delicato allo stesso tempo. Dandomi l'impressione che si stesse controllando, dal far che cosa non lo so, e mi vengono i brividi a pensare che cosa uno come lui possa desiderare davvero.

E non sono di certo brividi di paura.

Nel giro di qualche secondo però, le sue pupille si sono dilatate come se si fosse calato qualcosa anche lui, inghiottendo quasi del tutto il verde brillante dei suoi occhi, lasciando solamente due buchi neri offuscati dalla lussuria, dal bisogno di possedere, e le sue mani avide hanno preso la confidenza necessaria per navigare meglio il mio corpo.

Sposto la mano dal mio interno coscia, accarezzandomi il fianco ma trascurando la parte di me che da quel momento implora di essere toccata; bagnata e pulsante in attesa di qualcosa che la riempia.

Dio... quando poi è arrivato ai miei seni —li prendo stringendoli più di quanto non abbia fatto lui—, ho quasi perso il lume della ragione. Mi girava la testa e ogni suo minimo movimento mi arrivava dritto al mio centro come se mi stesse toccando lì invece che in altre zone del mio corpo. Corpo che era ipersensibile già di suo per la droga ma le sue mani sembrano aver amplificato gli effetti delle pastiglie, rendendo il suo tocco una nuova droga a cui io possa assuefarmi.

Coping MechanismDove le storie prendono vita. Scoprilo ora