VII - JASON

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   "Non dovrei essere qui." Questo era quello che continuava a pensare Jason fin da quando era arrivato al Campo Mezzosangue, ed era solo peggiorato quando si era trovato davanti alla Casa Grande. C'era qualcosa di sbagliato in quel posto, o almeno lo era la sua presenza lì.

    Jason provava la stessa cosa che aveva sentito durante l'attacco dei venti allo Skywalk, I suoi nervi erano alle stelle, i muscoli tesi e le sue mani indugiavano continuamente vicino alla sua tasca dove sapeva esserci la moneta con la quale avrebbe potuto difendersi. Si sentiva come una preda circondata da un branco di lupi affamati.

    La situazione non cambiò neanche quando Jason vide Chirone avvicinarsi in retromarcia ad una sedia a rotelle. Questa si aprì come una scatola e vi infilò le zampe posteriori, calandosi lentamente all'interno. Quando la parte equina fu completamente dentro la sedia delle gambe finte e una coperta comparvero all'improvviso, facendo sembrare Chirone solo un uomo normale in sedia a rotelle.

    «Seguimi» disse il centauro. «Prendiamoci una limonata.»

    Il salotto sembrava essere stato inglobato all'interno della foresta. Tralci di vite dominava le pareti, alzandosi rigogliose fino al soffitto e ricoprendolo per intero. Erano verdi e rigogliose, con grappoli che sembravano quasi illuminarli e davano un'atmosfera stranamente vivace. Era incredibile come una cosa del genere fosse accaduta non solo in un posto chiuso, ma anche d'inverno. Jason voleva davvero credere che fossero finte, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che quelle piante erano vere.

    Un caminetto acceso diffondeva un calore confortante nella stanza; davanti ad esso c'erano dei divani in pelle, mente nell'angolo si trovava un vecchio cabinato arcade del gioco di Pac-Man. Le pareti, tra i tralci di vite, erano dominate da maschere di ogni tipo: maschere bifronte del teatro greco, maschere di Carnevale, maschere veneziane dai lunghi nasi e becco, maschere di legno scolpito dell'Africa. Traci di vite e grappoli fuoriuscivano dalla bocca e dagli occhi, dando alle maschere un aspetto più grottesco e inquietante.

    La cosa più strana di questo posto, però, era la testa di un leopardo imbalsamato proprio sopra al caminetto. Era così reale e Jason sembrò quasi che l'animale lo stesse seguendo con lo sguardo. "Questo è ridicolo. Sono solo stanco" pensò il ragazzo e quando l'animale gli ringhiò, Jason indietreggiò di scatto lasciando andare un sussulto spaventato.

    «Su, su, Seymour» lo rimproverò Chirone. «Jason è un amico. Comportati bene.»

    «Quella testa è viva!» Jason era convinto, a questo punto, che fosse impazzito.

    «Anche le nostre, tecnicamente» disse Chirone con un sorriso ironico, mentre tirava fuori dei croccantini e li lanciava al leopardo. L'animale li prese al volo, leccandosi i baffi.

    "In un momento del genere ha anche voglia di fare lo spiritoso?" pensò Jason, mentre guardava la testa di leopardo che lo stava osservando come se dovesse essere il suo prossimo pasto.

    «Perdona l'arredamento. Non ho ancora avuto modo di mettere bene in ordine» disse Chirone, guardandosi intorno. «Il nostro ex direttore del campo ha pensato di lasciarci questo regalo d'addio quando è stato richiamato sull'Olimpo. Era convinto che ci sarebbe stato utile per ricordarci del suo soggiorno qui. Il signor D ha sempre avuto un particolare senso dell'umorismo.»

    «Il signor D?» disse Jason. Si guardò intorno, mettendo lentamente tutto insieme. Tralci di vite, maschere teatrali e la testa di un leopardo. «Il Divino Bacco ha vissuto qui?»

    Chirone sembrò irrigidirsi, mentre si portava il bicchiere alla bocca e beveva un sorso di limonata. «Dioniso, tecnicamente; ma sì, ha vissuto qui per un po' di tempo. Per quanto riguarda Seymour: il signor D lo ha trovato in un mercatino delle pulci a Long Island. Quando ha scoperto che un leopardo, il suo animale sacro, era stato ridotto in questo stato... be', diciamo che non l'ha presa bene. Ha deciso di donargli la vita perché era convinto fosse un destino più clemente del passare l'esistenza appeso ad un muro senza vita fino a che non fosse stato buttato via; poi ha proceduto con il dare una delle sue solite punizioni al precedente proprietario.»

EROI DELL'OLIMPO - LA PRIGIONE DELLA DEADove le storie prendono vita. Scoprilo ora