Capitolo 14.

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EMIS VOICE:
La verità è che per quanto noi possiamo crescere, non cambieremo più di tanto. Le esperienze ci portano a diventare diversi in alcuni atteggiamenti, ci fanno reagire in un determinato modo quando ci troviamo di fronte ad una situazione, ma non ci cambiano del tutto. La mia reazione con Ilary era stata diversa, non perché non avessi voglia di urlare e dire cose poco piacevoli, anzi fremevo nel volerlo fare, però dopo avremmo finito per litigare e io non ne avevo più voglia, non volevo che mi stesse lontano, la volevo al mio fianco con serenità. Quindi, avevo cercato di evitare qualsiasi discussione, con il silenzio. Ed aveva funzionato. Quella notte entrambi ci tenevamo stretti nelle braccia dell'altro, da quando eravamo tornati insieme dormivamo sempre in quel modo, come se avessimo paura che durante la notte qualcuno ci allontanasse o che l'altro scappasse via per qualche assurdo motivo. Dormire con la persona che amiamo è davvero una delle cose più belle della vita, se poi insieme alla persona che ami, al centro del letto ci fosse vostro figlio, allora diventerebbe felicità pura.

Quella mattina venni svegliato da strani movimenti e parole dette a caso. Stropicciai gli occhi e diedi un'occhiata alla sveglia che stava sul comodino, segnava le 7:00. Stranito, mi girai verso Ilary. Si muoveva freneticamente farfugliando parole, non riuscivo a capire. Mi avvicinai a lei, probabilmente stava sognando. Le sistemai i capelli dietro l'orecchio, mentre continuava ad agitarsi e a parlare. Non sapevo se svegliarla o lasciarla dormire. Volevo cercare di capire quello che stava sussurrando, ma non capivo nulla, sembrava greco antico. Mi insospettiva il fatto che lei non conoscesse il greco antico, a meno che non l'avesse imparato negli ultimi anni. Lentamente cominciai a scuoterla con delicatezza, cominciai a chiamarla per nome, ma non funzionava. Insistetti, scuotendola più forte e alzando il tono della voce, ma fu inutile, aveva il sonno pesante. Mi alzai dal letto e andai in bagno. Aprì il rubinetto e lasciai scorrere dell'acqua su un asciugamano. Tornai in camera, guardai verso il letto e vidi che era vuoto. Cominciai a cercarla per la stanza, e potei notare la finestra della camera aperta, il vento che faceva oscillare le tende, impedendo la vista. Posai l'asciugamano sul letto e uscì fuori nella terrazza della camera. Ilary era di spalle , la sua testa era alzata verso l'alto , il vento le scompigliava i capelli. Continuava ancora a farfugliare in quella strana lingua.

"Piccola, tutto bene?" chiesi avvicinandomi a lei.

Mi ignorò del tutto. Speravo si trattasse di uno scherzo. Azzerai la distanza tra di noi, mi avvicinai verso il cornicione della terrazza. Automaticamente guardai i suoi occhi ben aperti che guardavano verso il cielo. E fu lì che mi spaventai, aveva la pupilla completamente bianca, con qualche macchia rossastra. Le poggiai la mano sul mento costringendola a guardare verso di me, appena i suoi occhi bianchi incontrarono i miei, le pupille tornarono al loro colore naturale, quei deliziosi occhi chiari. Le sue gambe si piegarono, il suo corpo si fece leggero, appena mi accorsi che stava per toccare il pavimento, le mie mani corsero in suo aiuto, prendendola giusto in tempo. Non sapevo cosa fosse successo, pensavo avesse perso i sensi o roba del genere, ma mi sbagliavo. Sembrava stesse dormendo, il suo respiro era regolare, esattamente come il suo cuore. Ma allora cosa era successo? Tornai dentro poggiando il suo corpo dormiente sul letto. Autonomamente si girò sul fianco, nascondendo il suo corpo sotto le lenzuola. Ero stranito per non dire scandalizzato. Non riuscivo a capire cosa fosse successo, il motivo del suo agitarsi sul letto, le sue pupille bianche, il greco antico, ma soprattutto se stava dormendo, come ci era arrivata alla terrazza? L'unica cosa che mi venne in mente fu il sonnambulismo, anche se lei non ne era mai stata affetta. Era tutto così strano.

Avevo lasciato che si riposasse, non si erano ripresentati quegli strani fenomeni. Mentre lei dormiva, mi ero preparato, avevo cose molto importanti da fare quella mattina, dovevo andare da Stefano e chiarire le cose , ricordandogli che il capo ero io. Nessuno sparava ai miei uomini, nonostante quello colpito fosse stato Giorgio. Ormai faceva parte della mia gang e in quanto capo dovevo tutelarlo, benché non volessi. Dopo aver indossato uno dei miei abituali pantaloni e una maglia a mezze maniche, accompagnata da un giubbotto in pelle, mi ritrovai in bagno ad aggiustare i capelli che durante la notte avevano preso una forma decisamente disastrosa. All'improvviso, sentì delle braccia circondarmi il bacino. Mi voltai con uno dei miei migliori sorrisi. Si era svegliata e sembrava normale.

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