Capitolo 15- Nel bosco mi perdo

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Ero immobile, alienata. Strinsi forte i pugni, in modo che le unghie mi potessero forare i palmi affinchè mi svegliassi, ma niente, non mi svegliavo. La scena a cui stavo assitendo era surreale, probabilmente frutto di uno dei miei deliri, ma non capivo come potessi interromperla.

- Basta.- Sussurai, ma nessuno mi stava ascoltando; Capii che non era efficace.
- Basta, Basta, Basta, BAAAASTA.- A quel punto avevo urlato così forte, che tutti si girarono verso di me. La chioma verde, che si era mostrata solo di spalle fino a quel momento, evindenziò un viso che strappò tutti i punti, uno per uno, che avevo accuratamente appeso sul mio cuore fino a quel momento. Gli occhi di Theo sembravano indemoniati, non erano come li avevo lasciati l'ultima volta, erano pieni di fuoco. Mi guardò, finchè il suo respiro affannato cessò, nel momento in cui una lacrima mi accarezzò il viso. Si alzò da terra come un cucciolo di cane bastonato che non sa che strada prendere per tornare a casa; continuava a fissarmi, ma sta volta con aria sconfitta, per poi sparire tra la folla, che si era avvinghiata attorno a Momo per soccorrerlo.
Momo, giusto.
Mi fiondai per terra ad accertarmi delle sue condizioni. Non aveva perso i sensi, ma sembrava confuso, probabilmente a causa del setto nasale completamente deviato e grondante di sangue.
-Resisti.- Pronunciai.
Dopodichè chiamai prima il 118, e poi, con mio grande rammarico, il mio migliore amico, che si precipitò immediatamente sul posto insieme alla sua ragazza.
- Ma cosa diavolo è successo?- Disse Elena inviperita; fece il gesto per portare il suo amico fuori sotto braccio, e quando mi avvicinai per aiutarla, venni fulminata dal suo sguardo e trafitta dalle sue parole:
-Hai fatto abbastanza, grazie.- Davide mi guardò contrariato e seguii la sua ragazza senza fiatare, lasciandomi sola, tra un mucchio di gente che aveva già ripreso a ballare e spingere come se nulla fosse.
"Perchè?" Era l'unica domanda che la mia mente era in grado di formulare e a cui non riusciva a dare risposta. Mi sentivo nuovamente con il cuore a pezzi, ma questa volta, ero pure incazzata nera. Dovevo trovarlo.  Dovevo denunciarlo. Conferirgli l'abilità di rovinare nuovamente l'amicizia con il mio migliore amico era una sconfitta che non avrei superato. Mi dimenai lungo il corridoio rialzato del locale; lo percorsi tutto, finchè non arrivai all'uscita di sicurezza. Mi guardai intorno, ma di lui non c'era traccia. Scesi le scale anti-incendio. L'aria era fin troppo gelida per gli indumenti che stavo indossando e sentii i bulbi pilifiri rizzarsi. Perlustrai l'intero perimetro della struttura, ma sembrava scomparso come un fantasma. Ad un certo punto, prima di girare l'angolo che mi avrebbe riportato all'ingresso principale, sentii la voce di Loren nell' ombra e mi tappai la bocca con le mani per non emettere un fiato:
- Questo ragazzo manderà tutto a puttane. Trovatelo.- Così aveva ordinato ai suoi scagnozzi, pronti a rientrare in discoteca a cercarlo. Lui invece, si diresse verso l'uscita con la sua una marlboro rossa, fissa tra le labbra, rimuginando qualcosa che non riuscii ad udire. Quell'uomo dai capelli corvini, aveva un' aspetto burbero che intimidiva non poco...
Prima di sbucare alla luce dei lampioni che illuminavano il vialetto, mi accorsi che sul ciglio della strada c'era un braccialetto con un ragno sopra. Il mio. Lo avevo dato per disperso, ma in quel momento capii che fine avesse fatto.
Feci torcia con il telefono, e mi districai tra le siepi che separavano il cemento dal terreno latistante.
Era lì.
Il buio la faceva da padrone in quell'angolo boschivo, e il telefono, con tanto di torcia annessa, cadde, dopo che i miei piedi finirono contro un masso che mise a dura prova il mio equilibro. In contro luce, lo vidi con le ginocchia al petto, colmo di sangue sul viso, boccheggiante. Non riusciva a respirare. Aveva il volto intriso di lacrime, ma non singhiozzava, si dimenava nella speranza che l'aria tornasse ad abitare i suoi polmoni. In quel momento dimenticai ogni cosa. Perchè ero lì, cosa volevo dirgli, il dolore provato. Gli strinsi le mani e lo guardai fisso negli occhi.
-Theo respira. Fai come me, ce la puoi fare. Lentamente, guarda.- Gli misi la mano sul mio ventre per fargli seguire il movimento del diaframma e i suoi occhi si spostarono dai miei verso la mia pancia. Poco a poco, il suo respiro sembrò regolarizzarsi.
- Non te ne andare.- disse con voce strozzata.
- Sono quì, non me ne vado finchè non stai bene...- Sembrava stesse soffocando, così gli slacciai prima il chocker che gli ingabbiava le giugulari e poi lo aiutai a togliere la maglietta. Improvvisamente il suo respiro affannato, si trasformò in un pianto disperato ed urlato. Gridava, come se qualcuno gli stesse puntanto una pistola sulla testa giocando alla roulette russa. Cominciò a sbattere la testa sugli incavi del mio collo. Ero terrorizzata, ma dentro di me, una folle consapevolezza che non avrebbe mai potuto farmi del male, mi impediva di scappare .
Alla quarta testata gli bloccai la testa con le mani. - Basta.- Sussurai.
Poi lo strinsi forte, cercando di immobilizzare il suo corpo, sempre più gracile. Dopo un tentativo di dimenarsi, scalciando, come un bimbo in pancia, si abbandonò sulla mia  clavicola e rilassò i nervi. A quel punto stavo piangendo anche io. Mi odiavo, perchè in quell' instante, capii che mi sarei potuta impegnare tutta la vita a respingerlo, ma in qualche modo lui sarebbe riuscito a tornare.
- Fortuna...-
-Uhm-
- Mi dispiace. Io, io...- Ogni parola che pronunciava gli costava ossigeno indispensabile e perciò, gli fermai la bocca con due dita.
- Me lo dirai con più calma, se vorrai.-
- Io sto per morire.- Quella frase mi trafisse il petto come una lama che intaglia lentamente la pelle e arrivò alla mia anima; percepii un dolore fisico, come se quell'ipotesi potesse diventare reale.
Senza rendermene conto, fiondai i polpastrelli tra i suoi capelli e lo fissai con un'intensità che avrebbe sciolto anche i ghiacciai più solidi.
- Tu non puoi morire. E' chiaro? Io ti vieto di farlo. Te lo vieto, hai capito?-  Mi accorsi solo dopo, che il suo addome era pieno di ferite. Cicatrici che non avevo mai visto, riempivano una tela di carne. Ero sicura che non ci fossero l'ultima volta che avevo poggiato gli occhi sul suo ventre.
- Non venire con me, non venire sotto terra con me.- Farfugliava piangendo. E capii che non era troppo lucido. A terra notai una bustina di paradiso artificiale, che mi fece raggelare il sangue.
-Nessuno di noi due morirà, hai capito? MI HAI CAPITO? Ma tu la devi smettere con questa merda.- Gli afferrai la faccia, e lui puntò la sua fronte contro la mia. Tentai di asciugare le lacrime, che scendevano imperterrite sul suo viso, e lui fece lo stesso con me, combattendo una battaglia, in cui l'acqua salata stava vincendo senza alcuna difficoltà . Le nostre labbra si toccarono, e in quel momento, tutti i tasselli tornarono al posto giusto: le zolle smisero di muoversi e i pianeti si allinearono. La passione non ebbe pause, ci staccammo un solo secondo per prendere fiato, e i pensieri negativi e razionali cercarono di mettermi in guardia sul fatto che stessi facendo l'ennesima cazzata che mi avrebbe fatto soffrire, ma non furono in grado cambiare il corso delle cose. Ci baciammo di nuovo e intensamente, come non avevamo mai fatto e il freddo di quella notte, si trasformò in calore avvampante che mi annebbiò la mente. Theo prese la mia mano e ci inoltrammo verso l'orizzonte del lotto. La notte, regina nera di ghiaccio, era illuminata solo dalla lucina del mio Iphone. Notai che il posto era pieno di alberi altissimi, di cui non riuscii a cogliere i dettagli, perchè stavamo camminando senza mai smettere di baciarci. Ad un certo punto la mia schiena sbattè contro qualcosa di duro e rugoso. Degli aghi di pino caddero sulle mie braccia nude, solleticando la pelle; Mezzo secondo, come se avessi perso il controllo delle estremità, erano attorno al collo di Theo. L'odore del sangue sulla sua faccia era metallico e si confondeva con quello del legno. Poi del mio vestito restarono solo i brandelli. Rimasi in intimo. Lui iniziò a respirare sul mio orecchio e pronunciò:
- Ti amo.-

Non avevo abbastanza rispetto di me stessa , per dare la colpa di quelle cinque lettere alla droga, ma pensai che avrebbe potuto risparmiarsele, dato che ero già nuda prima che le pronunciasse. Gli sbottonai i pantaloni e mi ritrovai con le gambe attorno al suo sedere. Poi entrò dentro, non distogliendo mai lo sguardo  dai miei occhi. Io ansimavo ad ogni botta, e vedevo che questo lo fomentava ulteriormente. Mi stava scopando come se quella fosse l'ultima volta della sua vita. Mi aggrappavo ai suoi capelli e gli ordinavo di non fermarsi, poi mi mise di spalle e mi afferrò i capelli. Cercò il mio sguardo per avere l'approvazione, che gli concessi. Mi prese anche da dietro e provai un dolore intenso, che poco dopo si trasformò in un piacere estremo. Si muoveva piano, rispettando la fisionomia del mio corpo, e le nostre bocche erano aperte l'una contro l'altra passandoci l'aria a vicenda. Istante dopo istante, la realtà diventava sempre più distorta e intensa, ma anche colma di terrore, forse perché, entrambi eravamo consapevoli che, ogni secondo passato era un istante più vicino alla nostra separazione.

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