23. Epilogo: fra sabbia e magia

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Il lento rollare della nave sulle placide acque del grande fiume, unito alla brezza fresca che spirava su di essa, era il suo punto debole, doveva ammetterlo.

Quel lieve dondolio e quel cullare regolare, assieme a quel frescolino che tanta consolazione dava alla pelle accalorata dal vorace sole del mattino, sortivano su di lui il medesimo effetto di una ninna nanna, dondolandolo soavi come un bambino nella sua culla fino a farlo addormentare, sovente assieme a Simone che aveva giurato solennemente di custodire e  proteggere solo qualche mese prima di quell'inattesa navigazione.

Erano passati molti mesi da quel giorno nel Colosseo e molte cose erano cambiate da allora.

Anzitutto, non viveva più alla Ludus Magnus - sebbene quello fosse ovvio, visto che non era più il suo mestiere fare il gladiatore - ma aveva una sua casa poco fuori Roma, una piccola villa che aveva acquistato con parte dei soldi che avevano costituito la sua liquidazione dall'Accademia sull'Esquilino. Non che ci vivesse: la sua dimora erano le volte stellate del Palazzo Imperiale sul Palatino o, quando bisognava rispettare la forma, le stanze destinate a quelli come lui in quella reggia sconfinata. La sua storia, però, gli aveva insegnato che il Fato sa essere imprevedibile e cambiare in maniera repentina se ti trovavi a passare la vita accanto ad un Cardinale, e voleva esser preparato alle nuove evenienze.
Anche la sua condizione sociale era cambiata e adesso, nonostante il suo passato nelle arene, la gente lo trattava con rispetto, quasi con deferenza, sebbene s'immaginasse che molto dipendesse dal suo nuovo modo di vestire, con la pelle nuda un tempo sempre visibile che aveva ceduto il passo ad una copertura più pesante e scura ma decisamente più regale.

Molte cose erano cambiate, ma su altre il tempo non aveva avuto potere alcuno: non era cambiato il suo atteggiamento protettivo verso Simone, non era cambiato il suo costante allenarsi ogni mattina appena sveglio o il fatto di radersi costantemente pur non avendo più la necessità di essere Piccolo Apollo. Soprattutto, non erano cambiati i suoi sentimenti per quel giovane nobile che si era presentato un giorno nell'arena della Ludus Magnus chiedendogli il permesso di poterlo guardare allenarsi, per quel rampollo dell'aristocrazia romana che gli aveva fatto vincere le sue remore su certe questioni e cui si era consegnato, anima e cuore, molto prima che la colossale statua di Antinoo benedicesse il loro primo bacio, vinto da quegli occhi simili a cieli di stelle e da quella innaturale e pure innata bontà che il ragazzo pareva esser disposto a riversare su chiunque gli fosse attorno, che lo conoscesse o meno.

Ridestandosi e aprendo gli occhi per inquadrare il soffitto ligneo della cabina, l'ex gladiatore protese le braccia accanto a sé in cerca del corpo solido dell'altro, trovandosi, però, a muovere gli arti su di una fredda superficie vuota.

«Oh, maledizione, un'altra volta...» mugugnò ancora mezzo addormentato, ché da quando stavano in navigazione sul Nilo diretti verso Alessandria quella scena era già successa due volte.

Stiracchiandosi, Manuel si tirò su da letto sul quale avevano finito con l'addormentarsi mentre chiacchieravano e, con lo sferragliamento cui ormai aveva fatto l'abitudine, raggiunse la porta della cabina e la aprì, percorrendo poi il breve ponte che portava dalla poppa alla prua del piccolo vascello. Gli occhi fendevano il circondario e le rive sabbiose dell'Egitto che scorrevano al suo fianco portando, di tanto in tanto, strane e seducenti melodie.
Alla fine, esattamente dove sapeva di trovarlo, lo vide: alto e scuro, i riccioli corvini che danzavano nella brezza e il corpo candido che rifletteva la luna, stava fermo a testa all'insù, osservando quello spettacolo di diamanti scintillanti che era il cielo notturno di quella parte di mondo.

Era sereno.

Questo, Manuel, lo aveva notato da molto tempo, in realtà. Non sapeva se dipendesse dal fatto di aver finalmente capito chi fosse e perché fosse sempre stato trattato diversamente rispetto al fratello gemello, dal fatto che lui non rischiasse più di farsi ammazzare un giorno sì e l'altro pure o ancora dalla libertà che alla fine si era conquistato quando suo zio - pace all'anima sua - si era ricongiunto agli dèi suoi pari. Non sapeva neppure se fosse un mix di tutte e tre le cose assieme, in realtà. Quel che era certo, però, era che Simone, il suo Simone, adesso sorrideva sempre e pareva finalmente godersi quella gioventù e quella spensieratezza che aveva sperimentato soltanto quando si "rinchiudeva" dietro alle mura della villa di Tivoli.

Usque ad finemDove le storie prendono vita. Scoprilo ora