9. Nel segreto di Roma

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"Ma dove stai andando amore mio?" fu la domanda muta che rivolse alla sagoma incappucciata che, rapida ma circospetta, si muoveva con rapidità per le vie polverose di Roma, zigzagando qua e là e seguendo un percorso strano che – lo comprese – doveva servire a scoraggiare chiunque lo potesse seguire dal non perseverare in quella decisione, come a voler dare l'idea che non sapesse realmente dove stesse andando e si muovesse alla cieca.

Solo che Manuel non si muoveva alla cieca e Simone questo lo sapeva bene. Erano stati troppo uniti, troppo una carne sola perché lui non fosse a conoscenza del fatto che l'allenamento del Tebano aveva dotato Manuel dell'insolita capacità di vedere il mondo attraverso tutto il corpo e non solo con la vista, così che lui avrebbe saputo dove andava pure se gli avessero cucito gli occhi.

In quei suoi scatti, in quei suoi movimenti volutamente esagerati, c'era apprensione, c'era il timore d'esser seguito da un nemico invisibile che poteva acquattarsi fra le ombre e saltargli addosso alla prima distrazione. Quel che il reziario non sapeva, tuttavia, era che quel mostro esisteva per davvero e che, seppur non animato di cattive intenzioni, aveva proprio la sagoma del ragazzo che gli si era dato completamente solo poche ore prima.

Forse, si trovò a pensare, Manuel stava andando a recuperare sua madre da quella Lucia, non volendo che la donna camminasse sola a quell'ora o, più probabilmente, era andato ad accertarsi che fosse effettivamente giunta a destinazione, sebbene gli paresse strana quella prospettiva visto che la donna aveva detto di dover "solo attraversare la strada" e che comunque avrebbe avuto poco senso tentare di depistare un eventuale inseguitore. Si orientò allora per una soluzione alternativa, una più strettamente collegata a quanto successo fra di loro, pensando che probabilmente lo aveva confuso ed era andato a schiarirsi le idee con l'ausilio della corroborante aria della notte.
Ma se fosse stato così, se per davvero fosse stata sua la responsabilità, a che pro zigzagare con una meta precisa in mente? Una passeggiata notturna avrebbe previsto muoversi in tondo od in linea retta, non tentare di lasciare il quartiere e vagare per interi isolati.

Evidentemente, anche quella era una spiegazione errata.

Iniziò, quindi, a fantasticare su ogni altra ipotesi possibile che spiegasse quel comportamento strano, inventandone ogni volta di peggiori rispetto alla precedente, e continuò a questa maniera fino a che non lo vide sgattaiolare in un vicolo e fermarsi di fronte ad un pertugio, la nera ferita incisa e scavata nella terra da mani umane che conduceva nelle viscere profonde della città, là dove le spoglie mortali dei defunti riposavano il loro ultimo sonno: le catacombe.

«Ma che ci sei venuto a fare qui a quest'ora di notte, Manuel?» mormorò da dietro il suo nascondiglio di fortuna: una colonna di casse di legno impilante dalla mano di qualche mercante o ristoratore.

Manuel, frattanto, si era chinato frettolosamente e, dopo essersi guardato attorno con circospezione, aveva appiccato il fuoco ad una torcia che aveva raccolto da terra e si era infilato nel pertugio, seminando dietro sé solo il tenue bagliore della sua torcia che andava spegnendosi progressivamente mentre scendeva nelle viscere della città dei morti.

Rapido come Mercurio, Simone raggiunse l'ingresso dell'antro tenebroso, tremando leggermente sulla soglia, forse per la corrente gelida che vi spirava o forse per altro non lo sapeva, raccogliendo poi anche lui un tizzone spento e incendiandolo al braciere più vicino, affrettandosi a seguire i passi del gladiatore misterioso nelle gallerie sotterranee.

*****

Le catacombe erano un labirinto, un dedalo che pareva progettato appositamente per impedire agli spiriti delle anime che vi venivano tumulate di trovare la via d'uscita e tormentare i propri cari con la loro presenza.

Usque ad finemDove le storie prendono vita. Scoprilo ora