Epilogo

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9 ANNI DOPO

"Smettila di toccarmi con la spada. MAMMA!".

Sospirai, alzando gli occhi al cielo, mentre stavo raccogliendo i guanti che trovavo per terra, rimettendoli insieme agli altri in una scatola.

"MAMMA!".

"AO! Stefano, smettila di dare fastidio a tua sorella e aiutatemi a mettere a posto!", ordinai, spazientita.

"Uffaaa!", sbuffarono in coro.

"Ascoltate vostra madre, su", intimò Edoardo, entrando in palestra, seguito da Gohan, che avendo quindici anni era diventato un po' lento e aveva qualche pelo bianco in più, ma sempre con la voglia di giocare.

"Papà!", urlarono i bambini in coro, correndogli incontro e abbracciandogli le gambe.

"Ciao brutte schifezze", si inginocchiò, salutandoli, dando a entrambi un bacio sulla guancia.

Mi avvicinai anch'io a loro e vidi che Edoardo mi sorrise, con quel solito luccichio negli occhi che non era mai sparito. Mi guardava sempre come se fossi l'ultima sigaretta, l'ultima iqos.

"Ciao amore", lo salutai, prendendogli la mano.

"Ciao Piccolo Sole", ricambiò, avvicinandosi per darmi un bacio sulle labbra, sentendo versi di disgusto provenire dai nostri figli, facendoci ridere. "Sei pronta?", mi chiese poi.

"Quasi, fammi finire di mettere a posto e poi possiamo andare", risposi, facendogli l'occhiolino. Era l'anniversario del nostro primo appuntamento, esattamente il nono, ed organizzavamo sempre la stessa serata: sushi da Moku Ponte Milvio e poi a vedere il Colosseo. Era una nostra tradizione, che non avremmo mai cambiato.

"Possiamo venire anche noi?", chiese Stefano, sporgendo il labbro inferiore come facevo io.

"No, voi andate da nonna Chicca e nonno Enzo", rispose Edoardo, scompigliandogli i ricci scuri, uguali ai suoi. Pensava che con l'età che avanzava finisse pelato come suo padre ed i suoi fratelli, invece gli crescevano ancora i ricciolini che gli ricadevano sulla fronte, che io amavo tanto accarezzare.

Stefano vide sua sorella giocare con Gohan e la punzecchiò di nuovo con la spada, per darle fastidio.

"Cazzo, ti ho detto di smetterla, imbecille. Che sei acefalo?", si arrabbiò, lanciandogli un'occhiataccia.

"Alessandra Donnamaria non si dicono queste parole", la sgridò Edoardo, togliendo dalle mani la spada a Stefano. "Chi te le ha insegnate?", chiese.

"Le ho sentite da voi", rispose ingenuamente. Io ed Edoardo ci guardammo, colpevoli. Probabilmente ci aveva sentito litigare una sera, mentre ci insultavamo con quelle parole, anche se avevamo fatto pace subito.

"Non si dicono comunque", le feci notare e poi ordinai a loro di aiutarmi a mettere a posto le attrezzature della scherma, prima di chiudere la palestra.

"Com'è andata la lezione?", mi chiese Edoardo, mentre uscivamo per raggiungere la macchina.

"Bene, Stefy e Ale sono bravissimi, anche gli altri bambini, e mi ascoltano sempre", raccontai. Avevo deciso, anni prima, di insegnare scherma, sport per cui avevo messo tanta passione, tramandandola anche ai nostri figli. Avevo affittato una palestra, comprato tutto quello serviva e molti genitori avevano iscritto i loro bambini al mio corso, alcuni erano anche nostri fan da anni. "E tu, invece?", chiesi poi, mentre guidava per tornare a casa, per prepararci per la nostra serata.

"Benissimo", rispose Edoardo. Grazie a radio Zeta, era stato notato e chiamato per altre sedi. Piaceva molto, era spigliato e divertente, sempre con la battuta pronta e quindi aveva iniziato a lavorare anche per Rtl 102.5, una delle radio più famose italiane, continuando a coltivare la sua più grande passione, presentando anche i concerti e, alcune volte, cantando le canzoni che aveva pubblicato negli ultimi anni. Noi lo seguivamo ovunque, ogni volta che ne avevamo l'occasione. Era sempre agitato quando saliva sul palco, ma bastava guardarmi e subito prendeva sicurezza. Ero la sua fan numero uno.

Dentro al cuore all'improvviso // Donnalisi Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora