"Se valeva la pena aspettare
a quest'ora stava con te"Ivory
Una donna entrò in camera, con passo deciso, e mi salutò con un tono che non capii subito.
"Hey, come stai tesoro?"
"Tesor...o?" pensai, irritata. Si credeva davvero di avere il diritto di chiamarmi così?"Chi è lei?" ribattei, con un tono acido, squadrandola dall’alto in basso. La sua gonna blu e la camicia bianca erano troppo formali per una casa, e quei tacchi… davvero si vestiva così per stare a casa? Io, al massimo, giravo in intimo, e mi vergognavo pure di quello.
Nonostante avessi un corpo che cercavo di nascondere, ero abituata a fare tutto da sola, lontano dagli sguardi degli altri.
"Piacere, sono Tatiana. Ti ho trovata distesa per terra, sul marciapiede," disse lei, sedendosi sul letto vicino ai miei piedi.
"Non te lo consiglio, non sono proprio in uno stato presentabile," risposi. "Ho corso, e non mi sono ancora fatta la doccia."
Non riuscivo a capire cosa le passasse per la testa, ma non avevo voglia di fare la gentile.
"Oh, grazie signora..." lasciai la frase in sospeso per farle capire che avevo bisogno di sapere il suo cognome.
"Harris," mormorò lei, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
"Grazie, signora Harris," dissi a malincuore, seguendo il suo suggerimento di chiamarla semplicemente "Tatiana."
Proprio in quel momento, la porta si aprì e un ragazzo entrò. Era mulatto, alto, con gli occhi marroni sfumati di verde. I suoi ricci erano disordinati, come se si fosse appena svegliato.
"E lei chi cazzo è?" sbottò, probabilmente arrabbiato per trovarmi distesa su quello che sembrava il suo letto.
"Oh, Abraham, l'ho trovata sul marciapiede, era svenuta," disse Tatiana. L'ho trovata sul marciapiede? Ma cosa, ero diventata un cane?
Abraham mi scrutò per un momento, come se stesse cercando di capire chi fossi, e Tatiana ne approfittò per uscire dalla stanza, lasciandoci da soli con una scusa che suonava finta: "Voglio che facciate amicizia."
Sul serio? Mi stava davvero lasciando da sola con lui?
"Stai bene, ragazzina?" disse lui, sedendosi sul divano e guardandomi con occhi critici.
"Ragazzina?" pensai. Avevo appena sedici anni, ma non mi sembrava affatto di essere una ragazzina.
"Che ti importa?" risposi, cercando di non sembrare troppo vulnerabile. Non gli avrei mai parlato dei miei disturbi, non gli avrei mai detto che avevo passato una vita intera a combattere contro me stessa.
"Ce la fai a rispondere a una domanda senza fare un’altra domanda?" chiese lui, e io risposi con una risata nervosa.
"Sì, è stato solo un calo di zuccheri," mentii, cercando di sembrare più tranquilla. Per confermare la mia bugia, mi alzai dal letto, ma il capogiro mi colpì immediatamente e dovetti ricadere sul cuscino.
"Ho capito. Vado a prenderti qualcosa da mangiare," disse, alzandosi dal divano senza aspettare risposta.
"No, non ho fame," replicai, cercando di fermarlo con le parole.
Mi chiesi se avesse davvero capito. Se si fosse fatto domande sul perché non volevo mangiare. Ma lui, probabilmente, non si sarebbe preoccupato di disturbi alimentari. Aveva l’aria di essere uno di quelli che vivevano alla giornata.
"Mhh, come mai?" chiese lui, avvicinandosi troppo. Mi sentii costretta ad indietreggiare, ma sbattei la testa sulla testiera del letto, e lui rise. La sua risata non era affatto cattiva, era roca ma dolce, quasi simpatica.
"Nulla, ho solo mangiato a casa," mentii di nuovo, sperando che mi credesse.
"Se hai mangiato a casa, come mai sei svenuta?" chiese, e in quel momento mi rese conto che la sua logica aveva un senso. La verità mi sfuggiva e sentivo l’impulso di cacciarlo via.
"Basta, ho mangiato! Non farmi altre domande," dissi irritata, alzandomi dal letto. Non sapevo nemmeno dove fosse l'uscita, ma fui abbastanza furba da seguire il percorso logico. Forse era al piano inferiore.
Quando raggiunsi il piano di sotto, salutai Tatiana, poi uscii dalla casa, sentendomi svuotata.
Tornai a casa. Era settembre, e la scuola sarebbe iniziata tra due giorni. Ma non mi sentivo pronta.
Mio padre aveva avuto la brillante idea di venire a casa prima per non farmi perdere nemmeno un giorno di scuola. Ma non mi importava. Non lo faceva mai per me, nemmeno quando c’era mia madre.
Mi sedetti sul divano e iniziai a leggere un libro. Era l’unica cosa che riuscivo a fare per non pensare troppo.
Poi sentii il rumore della serratura. Un colpo al cuore. Mi girai di scatto e vidi mio padre baciarsi con una donna, mentre stava per spogliarla.
Janelle. La sua amante.
"Hmm, hmm," feci, cercando di farlo sembrare un colpo di tosse. Entrambi si girarono e mi fissarono, sorpresi.
"Oh, Ivory, non sapevo fossi a casa. Esci, sei solo d’intralcio, vai a vivere con le tue amiche," disse, con una freddezza che mi trafisse.
Mi trattò come se fossi invisibile. Pensai di scappare via, ma non volevo farmi mettere i piedi in testa.
Mi avvicinai a lui e dissi: "Tu, qui, non mi ci vedrai mai più. Addio," sputando davanti a lui. Poi mi voltai e uscii, sbattendo la porta.
Piangevo, ma non volevo essere fragile. Corsi a casa di Tatiana. Loro erano gli unici che contassero.
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Continuate a leggere la storia perché merita.
🩷per me è molto complicato scrivere dei dca..🩷

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Live What You Love
Roman d'amourCosa si prova quando per la millesima volta si è costretti a trasferirsi in una nuova città? Partire da zero senza alcuna certezza. Ivory ormai è abituata. Quando la madre l'ha abbandonata, ha dovuto traslocare più e più volte per suguire suo padre...