17-proteggerlo dai litigi

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"un giorno mi amerai
come ti amo io,
mi penserai
come io oggi penso a te.
Un giorno piangerai per me
come io piango per te.
Un giorno mi vorrai,
ma io non vorrò più te"

Ivory

Oggi avrei dovuto andare dalla psicologa. La sera precedente, dopo aver scritto sul mio diario, ero crollata dal sonno senza neanche accorgermene. Il diario si trovava ancora sulle mie ginocchia, aperto, come a rivelare tutti i miei pensieri più segreti.

La penna era finita tra le lenzuola. La afferrai distrattamente e la misi sul comodino.

Mi guardai subito intorno, un senso di ansia crescente. Qualcuno aveva visto? Qualcuno l'aveva letto? E se avessero scoperto i miei segreti? I miei pensieri più intimi e dolorosi? La sola idea mi faceva gelare il sangue.

Mi alzai e iniziai a prepararmi senza troppa voglia. Presi dall'armadio un paio di jeans skinny neri, semplici e comodi, e un maglione verde che mi cadeva morbido sulle spalle. Avevo un aspetto spento, quasi trasparente, e decisi di applicare un filo di trucco per sembrare almeno un po' più viva.

Un velo di correttore per nascondere le occhiaie, una passata di mascara per aprire lo sguardo, e un tocco di blush sulle guance per dare un po' di colore a quel volto che sembrava privo di energia.

Guardandomi allo specchio, mi sentivo ancora incompleta, ma almeno ero pronta per affrontare la giornata.

Orrenda ma ero pronta.

Aprii la porta della mia stanza e scesi le scale, i piedi che sfioravano appena i gradini. Arrivata in cucina, il rumore del cucchiaio di Adilah che batteva contro la ciotola attirò la mia attenzione. Lo vidi seduto al tavolo, intento a versare per la seconda, se non terza volta, i suoi cereali preferiti nel latte. Mi venne quasi da sorridere: sembrava così innocente, immerso nel suo piccolo mondo fatto di colazioni infinite.

Ma quel sorriso si spense non appena sentii le voci provenire dal soggiorno. Abraham e Tatiana stavano discutendo, e non era certo un tono tranquillo. Le loro voci si sovrapponevano, una più alta dell'altra, e l'aria era tesa. La vista di quella scena mi fece gelare il sangue.

Mi precipitai verso Adilah, sapendo quanto i litigi potessero essere brutti per un bambino. Quelle urla... quanto male potevano fare. Mi tornò in mente la sensazione di sentirsi piccolo e impotente, di non capire davvero cosa stesse succedendo, ma di starci male comunque. Di pensare, magari, che fosse colpa tua.

Gli presi delicatamente la mano, cercando di non fargli percepire la mia agitazione. "Ehi, vieni con me," dissi dolcemente.

Lui mi guardò, confuso, con i suoi occhi grandi e curiosi. "Dove andiamo?"

Cercai di improvvisare. "Mi aiuti a scegliere qualcosa da mettere? Non ne ho proprio idea," gli dissi con un sorriso finto, ma sperando che bastasse per distrarlo.

Adilah mi guardò accigliato per un istante, come se avesse capito che c'era qualcosa di strano, ma poi sogghignò. Fu allora che mi resi conto del mio errore: ero già vestita e, soprattutto, l'avevo portato nella sua camera, non nella mia.

Avrei almeno potuto fingere meglio e portarlo nella stanza che condividevo con Abraham, dove c'erano i miei vestiti. Ma ormai eravamo lì, e non volevo che il mio tentativo di proteggerlo venisse meno. Così mi misi a guardarmi intorno, fingendo di cercare qualcosa, e intanto pensai a come distogliere la sua attenzione dal rumore che proveniva da fuori.

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