Capitolo Cinque.

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«Ma, toglimi una curiosità: che ci fai qua? Quando sei arrivata?» La voce di Lando spezzò il silenzio dei due fratelli in ascensore.
Sara rise. «Voglio esserci per te. Ti conosco, so che quando sei di buon umore fai tutto meglio, ed io ti voglio vedere vincere, ma soprattutto felice. Sono arrivata stamattina.»
«Sei completamente pazza, non sai quanto mi renda felice averti qua.»
Ognuno si ritirò nella propria stanza per prepararsi. Il tempo era poco, quindi la ragazza iniziò a svuotare velocemente i bagagli cercando in maniera disperata un abito da mettersi. Quando lo trovò, la stanza era già cosparsa di indumenti in ogni dove. Aveva addosso un delicato tubino rosa cosparso di glitter e paiette, delle décolleté bianche ed un filo di trucco a riprendere i colori dell'abito, mentre la borsetta quello delle scarpe. Lando stava bussando alla sua porta da almeno cinque minuti e, quando lei finalmente fu pronta, la trascinò fuori dall'hotel di fretta, essendo gli altri già andati. Si ritrovarono in un locale poco distante dall'autodromo, ai piedi della magnifica ruota panoramica, ed entrarono dentro. Avevano già pagato il privé, quindi vennero scortati lì tra l'ammasso di fan e paparazzi.
Nella sua semplicità, Sara camminava per il locale attirando l'attenzione di chiunque. Non le serviva scoprire eccessivamente il corpo o ancheggiare troppo i fianchi nel camminare per avere gli occhi addosso, era semplicemente lei ad essere una calamita. I suoi fianchi fini, le sue cosce lievemente grosse, il morbido seno, il sorriso bianco come le perle, i lunghi capelli rossi e lisci erano ipnotizzanti per chiunque e, per chi invece aveva avuto modo di conoscerla, tutto ciò era sommato alla sua personalità. Era sì esuberante, ma non solo: aveva un qualcosa di affascinante nel bagaglio culturale che si portava alle spalle, in quegli occhi brillanti mentre osservava e parlava del cielo, nella passione che metteva in qualsiasi cosa facesse. Sembrava essere una persona completa a trecentosessanta gradi, instancabile, eppure ancora così sfuggente. Talvolta pareva un libro aperto, sì, ma infinito. Un libro con un numero esponenziale di pagine scritto in una lingua segreta, le cui parole potevano essere scoperte solo pian piano, andando avanti con il tempo. Era bella da togliere il fiato, sempre, ma quella sera particolarmente. Era così semplice, eppure nella sua semplicità era strabiliante.
Aveva bloccato il respiro di Carlos, arrivando nel privé, e di Charles, di Daniel, di Lewis, di Oscar, di Logan, di George, di Pierre e così via. Erano presenti altre ragazze, tra fidanzate, amiche, sorelle, eccetera, ma semplicemente non erano lei, per quanto belle. Subito si avvicinarono a salutare i due fratelli, cercando di lasciarsi scivolare addosso quella bellezza e di non pensarci, posandole gentilmente due baci sulle guance. Si andarono tutti a sedere sui divani attorno ad un grande tavolino cosparso di bicchieri ed iniziarono a parlare animatamente. I complimenti per la pole di Lando non mancarono affatto, tuttavia tra due persone la conversazione ebbe un altro focus: Carlos aveva fatto qualsiasi cosa pur di stare accanto a Sara e ci si era prontamente messo a parlare. Per lei lo spagnolo era un libro aperto, aveva ben chiare le sue intenzioni ma in qualche modo non riusciva ad allontanarlo come se fosse bloccata. Gli si avvicinò ad un orecchio. «Sai che dovremmo smetterla, vero?»
Lui alzò le spalle con fare divertito. «Non stiamo facendo nulla.»
«Ne abbiamo già parlato!»
«Vorrei, ma attualmente non mi pare di starti baciando, quindi non stiamo facendo nulla.»
Sara si fece paonazza dall'imbarazzo e nascose il viso tra le mani, facendo ridere di gusto Carlos che le posò un bacio tra i capelli.
Anche quest'ultimo, quella sera, aveva un fascino particolare. Non era chiaro se fosse per la camicia bianca un poco sbottonata che lasciava intravedere il petto ed una collana che ricadeva morbidamente sopra esso, o per i capelli lasciati al naturale, soffici che cascavano sul volto, o ancora per il profumo fresco e maturo che lasciava la scia quando camminava, o forse ancora per quel suo particolare modo di parlare, il tono di voce basso, le labbra che venivano spesso inumidite dalla lingua, il sorriso bianco, quella sua chiacchiera spensierata della sera mentre osservava un punto indefinito della stanza e, gesticolando, raccontava qualcosa.

Trecento all'ora. - Charles Leclerc. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora