Capitolo Quattordici.

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Il cuore era completamente in subbuglio, lo stomaco sottosopra, il respiro quasi smorzato. Charles si era posato quella lettera sul petto, come a volersela incidere sul cuore, lasciando che i suoi occhi lucidi restassero fermi a guardare il cielo, con la testa vuota da qualsiasi altro pensiero e riempita solo da quelle parole che aveva letto.
Poi una voce, e quando si voltò alla sua sinistra due grandi occhi scuri, un comodo pigiama rosa e dei lunghi capelli rossi spettinati.
«Stavi leggendo?»
L'uomo si alzò di scatto dal divano, posando il foglio dove stava seduto lui prima e corse, scavalcando di fretta il balcone per abbracciare dolcemente quella giovane ragazza che gli aveva dedicato quelle parole così intime. Lei ridacchiò a quella reazione e ricambiò l'abbraccio, accarezzandogli lentamente la schiena.
«Hai reso questo giorno indimenticabile, Sara. Non ho mai ricevuto un regalo così bello, vale più dell'oro.»
«Oh, Charles... Non dire così! Io volevo solo vederti felice, e sono contenta di esserci riuscita.»
Si sedettero sul divanetto del balcone della ragazza e l'uomo le avvolse le spalle con un braccio, tenendola vicina a sé.
«Quella canzone, poi, "Reflections", la conosco. Quando mi specchio nei tuoi occhi mi viene spontaneo pensarci. Ma come posso darti torto? Ogni giorno passato con te ci rende sempre più vicini alle stelle.»
«O forse sono le stelle ad avvicinarsi a noi, non trovi?» Aveva posto quella domanda e si era voltata a guardarlo, a pochi centimetri dal suo viso.
Lui aveva fatto lo stesso gesto e si erano guardati negli occhi per diversi istanti, poi aveva posato la fronte su quella della ragazza ed aveva sospirato.
«Come devo fare con te?»
«Non ci pensare, Charles,» rispose Sara, accarezzandogli il volto e lasciando sfiorare i loro nasi, «sii spontaneo, con me. Me l'hai detto tu di non avere filtri.»
«Ma come? Ogni cosa che facciamo sembra essere giusta e sbagliata allo stesso tempo.»
«Che importanza ha? Solo noi lo sappiamo, solo noi stiamo vivendo tutto questo.»
Separate le fronti, la vicinanza tra i due restò comunque minima, tanto che pareva essere difficoltoso spostare lo sguardo da un occhio all'altro. L'uomo sospirò ancora e tornò a guardare il cielo.
«Vorrei vivere giornate così ogni giorno.» Ammise.
«Possiamo viverle insieme?»

Il Gran Premio di Austin passò e con esso andò a concludersi anche il mese di ottobre, passando la notte di Halloween come una tranquilla serata tra amici dopo una divertente escape room, considerando le prove libere del giorno dopo. Si fece così il 13 novembre, perfettamente a cavallo con le settimane di pausa del mese, ed il gruppo si ritrovò a Bristol alla casa di famiglia dei due fratelli per festeggiare il compleanno di Lando. Non volle organizzare nulla di speciale, voleva soltanto rilassarsi con le persone a cui teneva di più, divertendosi. Dei piloti, andarono Charles, Carlos, George, Oscar, Lewis, Daniel, Logan, Pierre e Max. Mentre, tra gli invitati, c'erano le care amiche di Sara, tanti amici stretti e d'infanzia di Lando e, indubbiamente, i parenti. La serata procedeva in maniera piuttosto serena: chi non si conosceva ancora ne ebbe la possibilità, poi il piccolo gruppo dei piloti con le amiche della ragazza si era riunito nel giardino esterno e parlavano del più e del meno. Tra qualche risata e discorso più serio, all'improvviso, l'atmosfera venne fatta crollare dall'espressione quasi terrorizzata della proprietaria di casa. Charles, accanto a lei, posò una mano sulla sua e le chiese cosa stesse succedendo. Lei lo guardò con viso pallido ed occhi preoccupati.
«C'è Ryan.» Disse solo.
Alexandra si voltò verso il cancello d'entrata, a diversi metri di distanza da loro, notando effettivamente il ragazzo.
«Cazzo...» Borbottò, passandosi una mano sul viso.
Nessuno sembrava capire, perché non riuscirono a collegare quel nome ad una storia che la rossa raccontò loro mesi prima. Quando essa scattò in piedi tutti si misero sull'attenti, mentre Alexandra la seguì dentro casa alla ricerca di Lando, quale trovarono intento a parlare con la madre riguardo la torta che stava per essere presa dal frigorifero. Appena vide la sorella con quel viso così spaventato, lasciò stare tutto il resto e si occupò di lei.
«Lando... è qui.»
Il volto del ragazzo si fece confuso. «Lui chi?»
Con respiro affannato ed in procinto di un attacco di panico, Sara iniziò ad agitarsi e balbettare.
«Ryan! C'è Ryan qua fuori, credo abbia citofonato.» Rispose allora l'amica.
Lando cambiò visibilmente espressione, facendosi ancora più perplesso: perché il suo ex migliore amico era lì?
Sorpassò la sorella ed uscì fuori, attraversando il viale che collegava l'abitazione al cancello d'entrata, vedendo quello che era il suo migliore amico là.
«Ryan? Che ci fai qua?»
«Lando... quanto tempo. So che non ci sentiamo da molto ma ci tenevo a farti gli auguri. Infondo, siamo stati amici per tutta la vita.»
Il festeggiato sorrise. «Dai, vieni dentro e prendi qualcosa. Stiamo per tirare fuori la torta.»
Mentre i due arrivavano a casa, Sara cercava di mantenere la calma con Alexandra che cercava di convincerla del fatto che il fratello avrebbe sicuramente cacciato Ryan ma, quando li vide entrare parlando e ridendo, il mondo sembrò quasi crollarle addosso. Lo sguardo tranquillo di lui si incrociò con quello disperato di lei, quale lo fece avvicinare.
«Sara! Quanto mi sei mancata. Come stai?»Esordì il ragazzo, allungandosi per dare due baci alla ragazza rigida che lo guardava sotto shock.
«Sta molto bene, ti ringrazio. Amore, non dovevi farmi vedere quelle scarpe nuove in camera tua?» Una voce alle spalle della rossa parlò, poi un braccio le cinse la vita in maniera quasi possessiva.
Quando si voltò, due grandi e sereni occhi verdi si rivelarono essere quelli del suo salvatore. Annuì ancora nel panico, liquidando così l'altro invitato e dirigendosi nella sua stanza.
La camera di Sara era spaziosa ma visibilmente bambinesca: c'erano tante foto di lei da piccola attaccate alle pareti, tantissimi pupazzi sul letto da una piazza e mezza ed ancora molti giochi sopra l'armadio ed ai lati della stanza. L'uomo chiuse la porta e, per prima cosa, avvolse dolcemente la ragazza tra le sue braccia. Un abbraccio che sapeva di casa e protezione, quale la fece tornare con i piedi per terra.
«È lui che ti ha allontanata da Lando, vero?»
Annuì. «Sì, non capisco perché sia qua. Mi agita la sua presenza, sento che avrò di nuovo una discussione con Lando.»
«Ma se ti fai vedere così vulnerabile è peggio: stai facendo il suo gioco. Tienigli testa, almeno per stasera. Poi, a festa finita, se avrai bisogno di sfogarti ci sarò io, d'accordo? Ma credimi, se sarai dura con lui, renderai più forte te stessa e, forse, anche Lando capirà che non avevi colpe.» Quel discorso incalzante di Charles sembrò convincerla, quindi si asciugò quelle poche lacrime nervose che le erano fuggite ed abbracciò nuovamente l'uomo per farsi ancora più forza ed uscire dalla stanza a testa alta.
La serata fu, di fatto, molto complicata: Ryan tentava in ogni modo di parlarle, ma Charles le stava sempre accanto, quindi trovavano sempre un modo per evitarlo o liquidarlo. Il problema insorse quando quest'ultimo dovette andare in bagno e lei si ritrovò da sola sul divano, a parlare con una delle sue amiche. Ryan le si sedette accanto e attirò la sua attenzione toccandole la spalla. Iniziò a parlare subito e, dicendo così tante bugie, il nervosismo prese il sopravvento.
«Senti, non so cosa ti abbia portato qua, ma voglio che tu te ne vada immediatamente. Cosa non ti è chiaro? Sei stato tu a voler chiudere con me e Lando solo perché ti ho rifiutato, quindi la tua presenza qua non è affatto gradita.»
L'uomo le rise in faccia. «Non farti strane idee: sono qua per il compleanno di Lando, non per te. Dimmi un po', non sei cambiata affatto, allora? Continui a crederti al centro del mondo o sbaglio? In ogni caso, non abiti solo tu qua, quindi non hai alcun diritto di cacciarmi.»
Con i nervi a fior di pelle, la ragazza fece un passo avanti verso di lui, respirando per mantenere la calma.
«Questa è anche casa mia, quindi ho tutto il diritto di fare ciò che voglio a casa mia, soprattutto cacciarti, Ryan.»
Le scombussolò i capelli facendola innervosire tre volte tanto. «Sennò che fai, eh? Chiami la polizia?»
Un sorriso soddisfatto comparve sul volto della giovane. «Polizia? Non mi servono loro per farmi giustizia. Cosa credi, Ryan? Ch'io mi metta problemi a chiamare i miei amici ed iniziare a gridare? Non credo tu voglia essere linciato, loro sanno tutta la storia e sono pronti a scattare al tuo primo passo falso. Va' via.»
L'uomo fece spallucce e continuò a sorridere divertito. «Va bene, principessa, per questa volta hai vinto. Ma non darmi la colpa per ciò che accade tra te e Lando, tutti si allontaneranno quando scopriranno che genere di persona di merda sei: una zoccola.»
Lasciò Sara di ghiaccio con quelle parole e fece qualche passo indietro per andare via, andando a scontrarsi con un uomo che gli dava le spalle fino a qualche istante prima, quale si era poi voltato a pugni serrati appena udì quella conversazione.
«Oh, scusami.» Borbottò Ryan tra le risate allo spagnolo che, nell'arco di pochi istanti, lo afferrò per il colletto della camicia.
«Cosa cazzo hai detto su di lei?» Ringhiò contro il suo viso.
L'intruso sentì la pausa impossessarsi totalmente del suo corpo.
«Amico, si fa per dire, vero Sara?»
La ragazza aveva cercato di bloccare Carlos afferrandogli il braccio, ma la rabbia che provava era così forte da fargli sentire le voci ovattate. Il sangue gli scorreva nelle bene caldo e ad una velocità troppo elevata rispetto alla norma. Una vena gli pulsava in maniera evidente nel collo e nelle braccia, facendogli stringere ancora di più la stretta sulla camicia altrui che sembrava essere in procinto di incenerirsi sotto il suo tocco.
«Si fa per dire? Brutto coglione, ti faccio rimpiangere di essere nato se non te lo rimangi.» Sbraitò spingendolo a terra.
Ryan iniziò a indietreggiare mentre cercava di alzarsi, senza mai distogliere lo sguardo da quello altrui. In lui, l'istinto di sopravvivenza sembrò farsi completamente da parte quando iniziò a sfidare visibilmente l'uomo nonostante fosse decisamente più grosso di lui.
«Io non mi rimangio proprio un cazzo,» affermò, rimettendosi in piedi e fronteggiandolo, «perché anche tu sai che ho ragione, le troie si riconoscono a vista d'occhio.»
Quelle parole furono abbastanza per far scatenare una vera e propria rissa: Carlos gli diede un pugno in volto talmente forte da stordirlo per un attimo, ma appena si riprese iniziò il suo contrattacco. Tantissime altre persone si misero in mezzo, prendendosi sberle, calci e pugni, nel tentativo di separarli. Le urla furono tali da attirare l'attenzione delle persone all'interno della casa, facendo correre all'esterno Lando nella preoccupazione più totale.
«Che cazzo sta succedendo?» Aveva gridato contro Carlos, quale era appena uscito fuori dalla mischia con il sangue che gli colava dalle labbra, dal naso e da un sopracciglio.
«Fattelo ripetere da lui cosa ha detto a tua sorella.»
Allora si avvicinò alla diretta interessata che era stata raggiunta prontamente da Charles che cercava di calmarla, dopo aver sferrato ed essersi beccato qualche botta anche lui, nei caos generale.
«Voglio una spiegazione.» Affermò.
Dopo decine di declini a quella domanda, esasperata, la ragazza cedette. «Mi ha fatto della zoccola! Va bene? Sei contento ora?»
Lando guardò la sorella negli occhi per qualche istante poi le voltò le spalle, andando a passo svelto verso l'artefice di tutto che si era da poco alzato da terra e stava raccogliendo le sue cose per andarsene. Lo afferrò per una spalla facendolo voltare poi, infuriato, gli prese il viso tra le mani e gli tirò una forte testata che lo stordì nuovamente. Ma non ebbe il tempo di cascare a terra perché l'inglese gli afferrò con forza i capelli e, tra le grida, lo trascinò per tutto il giardino e tutto il viale fino al cancello, sbattendolo fuori.
«Non farti mai più vedere in giro. E se provi ad usare questa vicenda a tuo vantaggio per rovinare la reputazione a qualcuno di noi, ti faccio sparire dalla faccia della terra.» Aveva detto a dentro stretti, chiudendogli poi il cancello in faccia.

Trecento all'ora. - Charles Leclerc. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora