Capitolo Undici.

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Tra le calde braccia di Charles il mondo sembrava quasi fermarsi. Il battito di Sara iniziò a rallentare ed il respiro a calmarsi. Non l'aveva lasciata andare per un solo istante, con una mano le accarezzava dolcemente la schiena mentre, con l'altra, le teneva la testa posata sul suo petto e le tappava l'orecchio con il palmo per non farle sentire il caos esterno, muovendo le dita lentamente tra i suoi capelli. La ragazza ascoltava il battito del suo cuore mentre le lacrime continuavano ancora a bagnare la maglietta dell'uomo, ma quel suono sembrava musica e l'ascoltava distaccandosi dalla realtà per potersi calmare. Il monegasco aveva allontanato tutti con un semplice cenno di mano, facendo capire ai presenti che aveva bisogno di spazio e di calma per farle passare l'attacco di panico, rifiutando Lando stesso che aveva provato ad avvicinarsi alla sorella.
Nel frattempo, George si era occupato di soccorrere Alexandra che aveva preso una forte botta alla spalla venendo spinta contro un cartello della segnaletica stradale, accompagnandola, appena la polizia andò via, dentro il ristorante in cui avrebbero dovuto cenare chiedendo del ghiaccio che subito posò nella zona che cominciava a farsi violacea. Acquistarono anche dell'acqua fresca che il ragazzo consegnò a Charles per darla a Sara. Ancor prima di fargliela bere, quest'ultimo, con voce pacata, le disse di tenere la bottiglia fredda tra le mani, in modo tale che lei potesse riprendere il contatto con la realtà. Solo poco più tardi le consigliò di berla a piccoli sorsi, cosa che fece appena smise di piangere. Mentre sorseggiava la bevanda aveva rivolto uno sguardo al suo salvatore, il quale la osservava con espressione preoccupata per poi rivolgerle un sincero sorriso che parve scaldarle il cuore. La paura e l'agitazione vennero meno e, appena si guardò intorno, la ragazza capì che, ormai, la minaccia era finita. Aveva ancora la sua borsetta con sé, non era stata ferita ed era stata calmata da un uomo che, per proteggerla, si era addirittura fatto male. Gli aveva afferrato la mano con il sangue ormai secco sulle nocche e lo aveva poi guardato.
«Charles... Dio mio. Sei un angelo.» Aveva sussurrato con ancora la voce tremante.
Prese poi la borsetta che stava custodendo l'uomo e prese i fazzoletti. Versò dell'acqua su uno di questi e ripulì le sue sbucciature.
«Non c'è bisogno, Sara, dico davvero. Non mi fa male, non è nulla di grave.»
«Te lo devo, Charles, mi hai salvata. Lascia perlomeno che io ti copra le ferite.»
Allora ci posò sopra un altro fazzoletto e lo fissò alle estremità con due cerotti, momentaneamente.
«Per favore, più tardi, quando torniamo in hotel, passa in camera mia. Ti medico per bene, d'accordo?»
Per quanto il monegasco sapesse che non vi fosse alcuna necessità, i grandi occhi scuri della ragazza lo guardavano in maniera quasi supplichevole, che non poté far altro che accettare. Prima di tornare dal resto del gruppo, poi, Sara sentì l'estrema necessità di abbracciarlo nuovamente, sprofondando tra le sue braccia grandi e forti e venendo accarezzata dalle sue mani con dolcezza. Lo ringraziò almeno un centinaio di volte, facendosi asciugare gli ultimi residui di lacrime, tornando poi dagli altri. Lando accorse da lei e la strinse forte a sé, scusandosi di non essersi accorto in tempo di quanto stesse accadendo, ma la sorella lo rassicurò dicendogli che non fosse assolutamente colpa sua. Nel mentre che Charles richiamava sua madre, quale era rimasta in pensiero per tutto quel tempo visto il mondo in cui la loro conversazione si fosse interrotta bruscamente, la ragazza andò dall'amica, dicendole quanto le dispiacesse per la botta ricevuta. Alexandra si era da poco calmata, avendo anch'essa sfiorato un episodio di panico, quindi le due amiche si abbracciarono e si rassicurarono a vicenda, facendosi forza l'un l'altra. Avvisarono poi il resto del gruppo del gruppo di voler fare rientro in albergo, non essendo mentalmente nelle condizioni di stare in ristorante, dicendo che avrebbero potuto mangiare serenamente nel ristorante dell'hotel. Quindi chiamarono i taxi e fecero ritorno, andando poi ognuno nella propria stanza per mettersi comodi. Alexandra decise di andare a mangiare qualcosa insieme a qualche altro membro al piano terra, mentre Sara aveva ordinato del cibo che le sarebbe arrivato direttamente in stanza, preferendo restare nella sua confort zone. Si stese sul letto per leggere una raccolta di poesie di Baudelaire, finché qualcuno bussò alla porta. Andò ad aprire spedita credendo che fosse arrivata la sua cena, predizione effettivamente corretta ma, dietro al gentile cameriere, apparve Charles in tuta da ginnastica grigia e nera venuto appositamente per l'accordo che si erano fatti non molto tempo prima. Portò dentro la stanza della ragazza il carrello con il cibo e la salutò, preoccupandosi in primo luogo di come stesse.
«Sto bene, Charles, non ti preoccupare. Sono davvero felice che tu sia qua, mi fa sentire meno in ansia stare in compagnia di qualcuno.»
«Sono passato anche per questo, non volevo stessi sola dopo quello che è successo.»
«Allora ti fermi a mangiare qualcosa con me? È molta roba e non ho tutto questo grande appetito. Ti va?»
L'uomo accettò e si sedette sul morbido letto, attendendo che la ragazza tornasse dal bagno da cui prese tutto l'occorrente per medicargli le nocche. Notò che non aveva minimamente mosso la fasciatura temporanea che gli aveva fatto, sorridendo alla vista del suo lavoro ancora intatto che, tuttavia, rimosse pochi istanti dopo quando fu seduta accanto a lui. Pulì di nuovo la ferita con dell'acqua e la disinfettò, rivolgendo spesso degli sguardi al viso altrui per assicurarsi che non stesse facendo qualche espressione addolorata. Tirò fuori da una valigetta che ogni bagno aveva in dotazione delle fasciature che avvolse per qualche giro attorno alla sua mano, per poi bloccarle con un cerotto.
«Ecco fatto. Fai attenzione, d'accordo? Domani te le cambio prima della gara, per sicurezza. Tu non fare nulla di avventato perché le ferite potrebbero aprirsi di più.»
Charles rimase in silenzio a guardarla per tutto il processo, notando ulteriori suoi dettagli da aggiungere alla lista mentale che si era fatto da quando l'aveva conosciuta. Quella sera, l'aveva vista per la prima volta con gli occhiali da vista: aveva una montatura nera parecchio delicata, di Michael Kors, quale creava un distacco con la sua pelle lattea e le dava un aspetto ancora più dolce del suo solito. Portava i capelli raccolti in maniera disordinata con un elastico ed indossava dei pantaloncini con una maglietta grande e larga e, per qualche attimo, immaginò delle scene della quotidianità, immaginandosi di vederla girare così ogni giorno per casa, con quei suoi occhi grandi che scrutavano ogni dettaglio del mondo ed il suo sorriso sincero ogni volta che incrociavano gli sguardi. Venne riportato con i piedi per terra quando parlò, restando zitto per qualche altro attimo in cui cercò di elaborare quanto gli fosse appena stato detto, annuendo senza averla realmente ascoltata. Aveva la testa da tutt'altra parte rispetto al corpo.
Accesero la televisione per mettere un po' di musica d'atmosfera, iniziando poi a mangiare le pietanze chiacchierando serenamente. Sara avrebbe voluto chiedergli le ragioni di quel comportamento così distaccato che aveva avuto precedentemente, ma decise poi di lasciare perdere e tenere il passato alle spalle per godersi a pieno quel momento così sereno con lui. Pensò che, infondo, non poteva odiarla se l'aveva salvata. Piuttosto, gli chiese come mai avesse reso così poco durante le qualifiche, e lui le spiegò di aver dormito poco e nemmeno bene, quindi con ore di sonno arretrato riflessi e concentrazione non sono al loro massimo.
Quando il resto del gruppo aveva finito di cenare, Alexandra aveva passato del tempo in compagnia di George che continuava ad essere preoccupato per il suo livido, mentre gli altri fecero ritorno in stanza. Carlos, tuttavia, pensò di voler passare in camera della ragazza, siccome non aveva ancora avuto modo di parlarci dopo l'accaduto. Con la mano sollevata e pronta a bussare, per un istante si fermò ad ascoltare le voci che sentiva provenire dalla stanza, e lo scenario gli fu chiaro: due voci impossibili da non riconoscere parlavano e ridevano allegramente. Si sentì di troppo, un senso di malessere lo pervase e fece un passo indietro, cambiando idea sull'andare a parlarle.
Fatta ormai una certa ora e conclusa la cena, Sara guardò l'orologio e sospirò.
«Si è fatto tardi, dovremmo andare a dormire.»
Charles allora si alzò pensando sul da farsi, quando gli venne in mente una cosa che, nell'ultimo periodo, gli era mancata molto.
«Prima, però, mi parli di nuovo delle stelle?»
A quella domanda, nuovamente, il cuore di della ragazza si fece come burro sotto al sole cocente. Un sorriso sincero ed emozionato gli apparve in viso e gli fece cenno con la mano di seguirlo sul balcone. L'aria fresca di quella sera pizzicava sulla pelle scoperta dei due giovani, facendo sì che la distanza tra i loro corpi si facesse minima.
«Segui il mio dito, ti faccio vedere la costellazione dell'Ofiuco.»
Puntando la testa ed il dito verso gli astri, aveva disegnato la costellazione e l'uomo, per vederla, dovette quasi posare la testa sulla sua spalla. Indicò poi le stelle una per una e disse all'amico i loro nomi.
«Questa è Ras Alhague, la stella principale della costellazione. Poi c'è Sabik, Han, Yed Prior, Cebalrai, la Stella di Barnard, Fieht, Helkath, Imad e Yes Posterior. Sono le stelle più luminose della costellazione.»
Per quanto interessante, nuovamente, Charles non voleva saperne di guardare in maniera fissa il cielo, ciò che trovava più interessante era colei che gli esponeva tutte quelle cose di cui lui sapeva ben poco. Teneva le sue iridi chiare incastonate sul suo volto, cogliendone l'espressività di ogni parola, il modo in cui strizzava gli occhi quando non ricordava un dettaglio o come muoveva le labbra ad ogni sillaba che pronunciava.
«E che storia c'è dietro?» Aveva chiesto poco dopo, con voce quasi sussurrata, sentendosi come se stesse vivendo un sogno.
Da quel momento in poi, il racconto della ragazza proseguì staccando gli occhi dal cielo e concentrando la sua attenzione sull'uomo che aveva accanto.
«L'Ofiuco rappresenta un uomo con un serpente gigante avvolto attorno alla vita. Tiene la testa del serpente nella mano sinistra e la coda nella mano destra. I Greci identificarono l'Ofiuco con Asclepio, il dio della medicina. Asclepio era figlio di Apollo e di Coronide e la leggenda narra che Coronide tradì Apollo con un mortale, Ischys, mentre era incinta di un figlio di Apollo. Un corvo, uccello che fino a quel momento era stato candido, portò al dio la brutta notizia ma invece della ricompensa che si aspettava fu maledetto dal dio che lo fece diventare nero. In un impeto di gelosia Apollo colpì Coronide con una freccia. Piuttosto che vedere il suo bambino morire con lei, il dio strappò il feto dal grembo della madre mentre le fiamme l'avvolgevano, e lo affidò a Chirone, il centauro saggio. Chirone allevò Asclepio come un figlio e gli insegnò le tecniche soprannaturali della guarigione e della caccia. Asclepio divenne talmente abile nella medicina che non solo riuscì a salvare vite umane, ma addirittura a resuscitare i morti; Asclepio è considerato il più grande medico dell'antichità. Una volta, a Creta, Glauco, figlio del re Minosse, mentre stava giocando cadde dentro un barattolo di miele e annegò. Asclepio era intento a osservare il corpo di Glauco, quando un serpente si avvicinò. Lui l'uccise con il suo bastone; allora si fece avanti un altro serpente con in bocca un'erba che depose sul corpo di quello morto, che magicamente ritornò in vita. Asclepio prese la stessa erba e la pose sul corpo di Glauco, e l'effetto magico si ripeté. A causa di quest'incidente, Ofiuco è rappresentato in cielo con in mano un serpente, che è divenuto il simbolo del recupero della salute per la caratteristica che i serpenti hanno di cambiare pelle ogni anno, come se ogni volta rinascessero.»
Charles l'ascoltò parlare in totale silenzio, godendosi quel racconto come se fosse il pezzo più bello della sua canzone preferita. La sua voce serena era come un sedativo, trasmetteva calma e pace, ma al contempo raccontava quella storia come se ne dipendesse la sua intera vita: era un mito che lei aveva completamente imbevuto di passione e sentimento, quindi era pressoché impossibile non restare affascinati da quel suo modo così eloquente di parlare.
L'uomo aveva sospirato e si era posato con la vita al balcone, guardando la città all'orizzonte.
«Quando ti dico che non ho mai ascoltato qualcuno con così tanto interesse ed entusiasmo non scherzo affatto, Sara. Metti il cuore in ogni pezzo del racconto: ci metti una parte di te che modifica completamente la storia. Se la leggessi da qualche parte, non mi farebbe lo stesso effetto.» Affermò l'uomo, riprendendo a guardarla solo quando finì di parlare.
«Non so come tu faccia, credimi, ma quando parli crei la magia.» Aggiunse.
Il sorriso sul volto della ragazza si fece sempre più ampio ed abbassò la testa in un lieve imbarazzo.
«Non dire così, non sono io a rendere queste storie interessanti. Se tu le leggessi, ti farebbero lo stesso effetto. Forse hai una passione per le stelle e non lo sapevi finora.»
«Oggettivamente parlando, se tu mi leggessi il libretto delle istruzioni del frigorifero, cosa che penso di non aver mai aperto, lo troverei il racconto più emozionante di sempre. Non credo nemmeno che tu riesca a concepire che genere di effetto tu possa fare alle persone con cui parli, Sara.»
Quando Alexandra tornò in stanza, si trovava ancora in compagnia di George che aveva deciso di accompagnarla prima di andare a letto. Gli aveva detto di fare piano siccome Sara stava probabilmente dormendo, ma lo scenario che si parò davanti agli occhi di entrambi fu ben diverso: notarono subito dalla finestra due persone che parlavano, cui una portava un braccio a cingere le spalle altrui. Allora, in silenzio, si avvicinò al vetro e bussò, facendo sobbalzare i due.
«Interrompo qualcosa?» Aveva chiesto con un sorriso divertito, sotto le risate soffocate di George.
I due si girarono scambiandosi un sorriso genuino.
«Temo proprio di sì, mi stava raccontando una delle sue storie.» Rispose Charles, rimettendo il braccio attorno alle spalle della ragazza.
«Sui fiori?» Si illuminò Alexandra.
Il monegasco guardò in maniera confusa la ragazza a cui accarezzava la pelle nuda, quale sgranò gli occhi verso l'amica.
«Sulle stelle!» Esclamò quest'ultima, imbarazzata.
Tornarono poi all'interno della stanza, dove le temperature furono, fortunatamente, più calde, ed entrambe si misero a salutare i due uomini. Tuttavia, qualche attimo prima di abbandonare la stanza, mentre George già camminava per andare via e Alexandra era andata a cambiarsi, Charles aveva afferrato la mano di Sara, mentre si voltava per chiudere la porta, e la trattenne qualche altro attimo.
«Cosa intendeva dire con le storie sui fiori?»
Un batticuore improvviso colpì la ragazza con un senso di agitazione.
«Uhm... non saprei, credo si sia confusa perché a me i fiori piacciono tanto.» Aveva risposto, con una risata piuttosto nervosa.
Le fossette dell'uomo apparvero con un grande sorriso.
«Piacciono molto anche a me, sai? Comunque, vado. Dormi bene e chiamami o scrivimi per qualsiasi cosa, d'accordo?»
Le posò un bacio sulla fronte che le fece chiudere gli occhi, sentendosi di nuovo avvolta da grande senso di protezione per il quale avrebbe dato la vita. Lo abbracciò di rimando, beandosi del suo profumo e di quel modo così dolce che aveva di passare le mani delicatamente sulla sua schiena, provocandole i brividi lungo la spina dorsale. Lo ringraziò ancora per averla protetta quella sera, lasciandolo poi andare verso la sua stanza. Quando tornò dentro, la sua amica aveva un immenso sorriso cucito in volto, ma l'attenzione della rossa si focalizzò principalmente su quella macchia violacea sulla sua spalla sinistra.
«Ti deve davvero far male.» Commentò.
«Già. Domattina vado a comprare una pomata. Ma non mi racconti nulla? Come mai eri qua da sola con Charles? Che è successo?» Le chiese, stuzzicandola in maniera divertita con le dita contro i fianchi.
Allora le fece un sunto della serata spiegando che le avesse soltanto fatto compagnia, poi gli aveva raccontato un mito sulle costellazioni che a lui tanto piaceva.
«Mi fa impazzire quando mi chiede di parlargli delle costellazioni. Mi ascolta come fosse la storia più bella che abbia mai sentito, nonostante non sia niente di che.»
«Prima vi guardavo, ho notato che mentre parli non ti stacca gli occhi di dosso. Penso che a piacergli non siano tanto le storie che gli racconti, ma il modo in cui lo fai. Si incanta anche quando siamo tutti insieme e dici la minima parola. Sembra pendere dalle tue labbra.»
Sara prese un respiro profondo perché sentiva il fiato mancarle da qualche secondo, non sapendo esattamente cosa pensare. Quindi, sviò il problema cambiando argomento.
«Per quanto riguarda te e George, invece?»
La domanda sembrò rendere felice l'amica, che si mise comoda ed iniziò il suo piccolo monologo.
«Credo mi abbia presa in simpatia. È davvero un bravo ragazzo, gli è cara la mia persona. Parliamo tanto, mi trovo bene ad aprire qualsiasi argomento con lui, sai? Credo che possa nascere una bella amicizia tra noi due.»
Il dialogo si protrasse per un'altra buona mezz'ora, mentre Alexandra continuava a mettersi il ghiaccio sulla spalla, decidendo poi di andare a dormire considerando quanto ormai fosse tardi.

Trecento all'ora. - Charles Leclerc. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora