Capitolo dodici

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Beomgyu era rimasto tutta la notte al fianco della fidanzata, ancora priva di conoscenza sul letto d'ospedale, senza aver chiuso occhio nemmeno per un secondo.

Amava ancora Chanel e perderla era fuori discussione, avrebbe pagato qualsiasi cifra per tenerla con sè e fatto qualsiasi cosa pur di rivedere i suoi occhi celesti.

Oltre alla disperazione e l'ansia si sentiva tremendamente in colpa, ormai era un sentimento che gli apparteneva e di cui non si sarebbe liberato con semplicità.

Il rapporto avuto con Eun era autentico, di questo ne era consapevole, ma la presenza della modella gli aveva ancora una volta impedito di capire cosa desiderasse davvero. Non ci capiva più nulla e forse non aveva forze per continuare a farlo.

L'attrazione provata per quella ragazza timida e apparentemente innocente bruciava in lui come fuoco scoppiettante, aveva fatto uscire il suo lato passionale e romantico.

Mentre faceva l'amore con lei aveva compreso cosa significasse diventare un unico corpo, andare di pari passo con le emozioni che portavano a un contatto di quel tipo che non si limitava solo al semplice piacere fisico.

Inoltre aveva fatto i conti con l'affetto provato per la celebrità, il quale era limitato ad un bene immenso ma non tenero.

Tutto questo però in quel momento non aveva importanza, l'unica cosa a cui poteva aggrapparsi era la speranza che gli avevano trasmesso i medici, i quali per fortuna avevano preso in tempo l'overdose in corso.

Le mani giunte in preghiera, le palpebre semichiuse, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le gambe tremolanti davano prova della sua disperazione. Aspettava e non succedeva nulla da ore, ma nonostante questo la sua volontà rimaneva ferrea.

Era talemente in apprensione che non aveva udito nemmeno il rumore della porta che si apriva lentamente, la quale rivelò il volto triste del suo migliore amico.

Egli entrò nella stanza senza dire una parola, avanzando verso il letto della sua amata che apparteneva a qualcun altro. Solo dopo essersi piazzato dal lato opposto a quello del rosso, quest'ultimo alzò il capo per affrontare il suo sguardo.

Si scambiarono occhiate strane, come se volessero dirsi un miliardo di cose ma ci fosse qualcosa ad impedire loro di cominciare il confronto.

Dopo diversi minuti passati nel più totale silenzio, il minore prese coraggio e parlò per primo, intenzionato a non reprimere il suo evidente sconforto e fastidio "dove stavi quando lei aveva bisogno di te?"

"Scusami? Adesso la colpa sarebbe mia? Quanto altro peso dovrò sopportare prima di decidere di farla finita e lasciare questo mondo di merda?" stava iniziando ad innervosirsi ed incrementare il suo stato di preoccupazione.

"So quello che ha fatto e non la giustifico per questo, ma sapevi della pericolosità della dose assunta. Avresti dovuto pensarci, lo avrei fatto io se solo fossi venuto a conoscenza del suo stato"

"Credevo lo sapessi, adesso siete in ottimi rapporti. Mi sbaglio?" non voleva umiliarlo più di quanto aveva fatto il giorno del tradimento, ma era l'unica difesa di cui poteva disporre per sentirsi meno in difetto "proprio tu mi vieni a fare la predica dopo quello che hai fatto, cosa ti passa per la testa?"

"Ti ho già chiesto scusa, non mi importa se hai deciso di non perdonarmi ma ti chiedo almeno di avere sempre un occhio puntato su di lei. È diventata irrecuperabile, non si è nemmeno svegliata!"

Al rosa gli si stringeva il cuore, avrebbe dovuto scegliere da che parte stare e, nonostante proprio quell'organo consigliasse di provare empatia per il suo caro amico, non poteva fare a meno di mettersi a piangere vedendo la bionda in quelle condizioni.

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