Bucky
Quando arrivammo a New York era, ormai, quasi sera, contando anche il fuso orario. Il viaggio era stato prettamente silenzioso, ma la cosa non mi aveva turbato. Al giorno d'oggi, sono tutti convinti che sia essenziale riempire ogni secondo con le parole, senza apprezzare l'intimità di stare insieme in silenzio. Dopotutto, si riesce a stare in silenzio solo con le persone con cui ci si sente davvero a proprio agio. Per qualche assurda ragione, con Naomi accanto, in silenzio, io stavo benissimo. Mi sentivo tranquillo, e quasi in pace con me stesso. E la cosa capitava raramente. Mi sentivo leggero tanto quanto le nuvole che il nostro aereo tagliava con le sue ali.
L'avevo osservata mentre ammirava il panorama fuori dal finestrino, con le sopracciglia leggermente contratte, e pensavo fosse stupenda, nella sua semplicità.
"Quindi abiti qui?" mi chiese, mentre aprivo il portone grigio. Eravamo arrivati a Brooklyn con un taxi, che mi ero gentilmente offerto di pagare. Avevo già insistito per offrirle il biglietto aereo, ma non aveva voluto sentire storie. Pagare il taxi mi sembrava il minimo.
"Sí, umh, non é molto lussuoso, ma mi basta" risposi, sorridendo. Il portone cigolò e mi chiesi se il rumore avesse sovrastato le mie parole o meno.
"Non é male, dai. Laggiù ho visto un ristorante cinese che voglio assolutamente provare! Ti va se ceniamo lí più tardi?"
Non accontentarla mi sembrava impossibile, così accettai l'offerta mentre iniziavo a salire le scale per arrivare al secondo piano, dove si trovava il mio appartamento. Nel farlo passai davanti alla porta di Nakajima, e trattenni il fiato per qualche secondo. Era una delle persone a cui volevo parlare di più, forse sarebbe stata addirittura la prima.
Naomi mi seguiva attenta, ad un solo passo di distanza, mentre si guardava intorno. Non che ci fosse niente di speciale da vedere, qui. Le pareti erano bianche, con qualche macchia gialla sul soffitto, e le porte erano marroni, tutte identiche, accompagnate alla loro sinistra da un campanello nero e una targhetta dorata che recitava i nomi dei proprietari.
Cercai di rilassare le spalle e riprendere a respirare, prima che lei notasse il mio improvviso irrigidirmi. Ma, come ho detto, era troppo attenta. Mi avvolse il polso con una mano, piccola e delicata, e mi tirò piano verso di sé. Quindi mi voltai, aspettando che lei parlasse.
Mi scrutava con un sopracciglio alzato e la testa leggermente piegata verso sinistra.
"Stai bene?"
Sfilai il polso dalla stretta della sua mano, solo per intrecciare le mie dita con le sue. Mi presi un attimo prima di rispondere, mentre osservavo l'intreccio delle nostre mani. Era come se, riempiendo gli spazi fra le mie dita, lei riempisse anche il vuoto che avevo dentro.
Strinsi più forte.
"Come non potrei?" chiesi retoricamente, alzando le spalle e muovendo l'angolo destro della bocca verso l'alto.
Abbassò lo sguardo per una frazione di secondo e si lasciò scappare una risata, e quando rialzò il viso, notai che le sue gote avevano preso un colorito più acceso. L'idea di averla messa in imbarazzo mi fece sorridere ancora di più.
"Smettila di flirtare con me, Barnes" mi disse poi, guardandomi fisso negli occhi riacquistando il suo solito controllo. Risi e mi voltai, per riprendere la strada verso il mio appartamento. Quando arrivammo alla porta, lei aspettò dietro di me, e mi lasciò inserire la chiave nella toppa in silenzio. La aprii e mi scostai, lasciando entrare la ragazza per prima.
"Prego, entra" le dissi, indicando con il capo l'ingresso.
Mi sorrise ed entrò, e subito io la seguii, richiudendo la porta dietro di noi. Nessuno era mai entrato dentro casa mia, e vedere una persona nel mio ingresso era una cosa del tutto nuova per me, ma era lei, quindi non mi dava fastidio. Non era solo entrata in casa mia, stava entrando nel mio cuore e all'improvviso non mi sentivo più solo.Naomi
Mi venne spontaneo guardarmi intorno, una volta varcata la soglia. Si dice che la nostra casa rispecchi il nostro essere; e la casa di Bucky era vuota, anonima e triste. Mi pervase un senso di malinconia. Mentre osservavo le pareti bianche e spoglie, sentii lo scatto di un interruttore, infatti, subito dopo, una flebile luce calda, proveniente da una lampadina dietro di me, si accese, illuminando di poco la stanza. Ogni cosa, in quella casa, sapeva di solitudine.
Davanti a me c'era un piccolo divano di stoffa grigio con un cuscino giallo sopra, un altro giaceva sul pavimento di parquet marrone accompagnato da alcune coperte scure. Mi chiesi improvvisamente se Bucky dormisse lì, e mi si strinse lo stomaco. Davanti al divano c'era un piccolo mobile di legno scuro, con sopra una grande televisione a schermo piatto. Alla sua sinistra, una sedia, che sembrava tremendamente sola e abbandonata, posta sotto la penisola della cucina, anch'essa bianca con dei dettagli in legno. Le ante della cucina erano marroni, il lavello e i fornelli grigi. Un bicchiere di vetro era abbandonato accanto al lavandino.
"Benvenuta" disse l'uomo dietro di me. Mi voltai per sorridergli.
"Vieni, ti faccio vedere dove puoi lasciare la borsa"
Mi superò ed io lo seguii. Alla destra del divano c'era un breve corridoio, con una porta per ogni lato. Bucky aprii quella sul lato sinistro, che rivelò una piccola stanza, dalle pareti bianche, due comò marroni, di cui uno con i cassetti aperti ed un letto sfatto, ricoperto da un lenzuolo grigio.
"Metti i vestiti lí dentro, se vuoi. Di là c'è il bagno, puoi andare a lavarti mentre io aggiusto il letto. Poi andiamo a cena, che te ne pare?"
"Ti aiuto con il letto, e poi vado a lavarmi, che te ne pare?" controbattei, sorridendo divertita.
"Come vuole, signorina"
Mi sfilò il borsone dalla spalle e lo lasciai fare, grata di sentire finalmente il peso della valigia sparire. La posò sul comò con i cassetti aperti, e subito dopo sfilò completamente il lenzuolo. Mi indicò dove trovarne un altro pulito, così lo presi mentre lui portava quello vecchio in bagno.
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The Border / Bucky Barnes
FanfictionEra una vita semplice, la sua: visita giornaliera in prigione, alle dieci del mattino, per poi tornare nella villa di Hemult Zemo. Le piaceva la Germania, non era male e lei si era abituata, ma comunque non poteva definire "casa" un paese più di un...