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La cerniera si è inceppata nel bikini verde che tanto adoro. Ho scheggiato un'unghia contro la lampo e sono sempre più nervosa.

«Emma non trovo Knut» Geremia continua a piagnucolare aggirandosi attorno al letto della mia stanza.

«Fatti dare una mano da Jacopo» lo liquido senza dargli troppo peso. Sono impegnata a chiudere i bagagli.

«Ma non c'è da nessuna parte» si giustifica frignando. Il mal di testa mi tortura da una settimana e la mia pazienza è al limite.

«Cercate bene» rispondo provando a mantenermi calma.

«Non posso partire senza Knut» continua imperterrito piangendo sempre più intensamente.

«Geremia, esci subito da questa stanza».

«Non posso se prima non mi aiuti a trovarlo».

«Falla finita! Basta versare lacrime per quello stupido giocattolo» lo ammonisco.

«Ma Knut, non è uno stupido giocattolo» protesta ancora corrucciando le sopracciglia.

«Esci fuori e fatti dare una mano da qualcun altro. Che diavolo, non sono mica tua madre» rispondo come non ho mai fatto prima d'ora.

«Ma io...».

«Tu adesso porti il tuo sedere fuori da questa camera e mi lasci chiudere le valigie in santa pace» lo guido verso l'uscita sbattendogli la porta in faccia.

«Ma Emma...» prova a replicare con occhi colmi di sconforto.

«Ma nulla, via da qui!».

Completamente intimorito da quest'inedita ed improponibile versione di me, si volatilizza. L'ho terrorizzato. Sono un fascio di nervi e molto probabilmente dovrei darmi una calmata, ma le bustine non fanno più effetto, da qui a poche ore dovrò partire e di Ethan, neanche l'ombra. È completamente scomparso da una settimana, quattordici ore, undici minuti e trentasei secondi, arco di tempo in cui il mio cellulare non è mai squillato. Sono la persona più frustrata del mondo. Continuo a pigiare l'unico tasto del mio telefono, ma sul display nulla, il vuoto più totale.

«Al diavolo tu e al diavolo tutto» sbotto sbattendo il cellulare sul letto. Sono stufa di attendere qualcuno che non ha alcuna intenzione di tornare. Io qui a dannarmi l'anima e lui là fuori, chissà dove.

«Va bene così. Sono io l'idiota che crede ancora in qualcosa» affermo di nuovo, piegando in maniera compulsiva tutte le magliette che mi trovo sotto mano. Non posso credere di sprecare tutti i miei pensieri e le mie energie per uno stronzo senza tatto. Dopotutto da qui a qualche ora, sarò partita per le Hawaii, quindi fanculo ai ricordi, ai dilemmi e ad Ethan che non merita più neanche un minuto delle mie giornate. Prima spegnerò il cervello, prima lo dimenticherò. Posso anche essere una donna, ma ciò non significa piangersi addosso. Ho vissuto momenti indimenticabili con lui, ma non per questo devo dargli il potere di mutarmi l'umore o spegnermi il sorriso.

Nella mia vita sono riuscita a superare situazioni molto più complicate, quindi cosa sarà in confronto dover dimenticare Ethan McKidd?

Tutto quest'autoconvincersi e basta un solo squillo del cellulare, per farmi trasalire. Completamente assalita dall'ansia, cerco quell'aggeggio ovunque. È andato a finire sotto al letto.

«Edith» rispondo affannata. «Sì, tutto ok.» replico quando la mia migliore amica prova a comprendere la natura di questo respiro pesante. Mi sono solo prodigata a cercare come una pazza il telefono credendo che fosse Ethan, ma vigliaccamente preferisco omettere questo dettaglio.

«Sì puoi salire quando vuoi, noi stiamo chiudendo le ultime valigie» la informo mentre decido se portare o meno il reggiseno di pizzo nero. Ad ogni modo, il mio bagaglio sembra un pollo imbottito. Forse l'ho riempito un po' troppo, ma non posso partire solo con l'indispensabile e poi ogni "ragazza con la valigia" che si rispetti, ha acquisito nel tempo la capacità di chiudere ognuna di queste "bombe ad orologeria".

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