Capitolo 9

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Quella città era magica, colorata, contornata da acqua ed alberi. A tocchi bizzarra e originale. Stucchevole e ricca di pennellate nette ma fugaci, appariva come uno splendido dipinto di Monet.

Parigi era un incanto.

Camminando per quelle strade ci si sentiva proiettati in un mondo segnato dal passaggio del tempo e da quella storia che ne aveva resa una delle città più affascinanti del mondo.

Avevamo camminato lungo la Place Charles de Gaulle, osservato l'Arc de Triomphe, attraversato gli Champs-Élysées (uno dei viali più maestosi che avessi mai visto), girato attorno a Place de la Concorde, passeggiato lungo l'area che delimitava il Louvre e affacciati sulla Senna.

«È tutto così meraviglioso!» continuavo ad esclamare.

Ogni passo generava nuovo stupore.

Era bello sentirsi piccoli in mezzo a tutta quella maestosità. Ammirare l'operato dell'uomo lasciava sempre basiti.

«E ancora non avete visto nulla!» esclamò Edith sorridente. «Diciamo che abbiamo fatto solo una lunga passeggiata».

«Io invece direi che Parigi non ha niente di più rispetto ad altre città che abbiamo visitato».

Quell'esclamazione era per me inconcepibile. Non capii se Jacopo lo pensasse davvero o se volesse solo provocare la ragazza dalla voluminosa criniera riccia.

«Sì lo credo anch'io. Se si pensa alla scontrosità dei parigini, alla qualità della vita e a tante altre carenze, anche per me Parigi non comparirebbe nella top list delle migliori città al mondo».

Strano ma vero. Per la prima volta quei due convenivano su qualcosa. L'unica a divergere con quelle sciocche teorie ero io. I parigini potevano anche apparire scontrosi e le vie troppo trafficate, ma quella città e suoi incantevoli scenari, trovavano modo di farsi amare.

«Dio solo sa se avete tutte le rotelle a posto!» mi sentii di ammettere. «Non provate questo profondo senso di appagamento? Parigi è incantevole. Guardate il riflesso del cielo nella Senna».

«Mi sa che prima di venire qua, sei passata da Amsterdam!».

«Brutto cinico idiota» attaccai mio fratello ridendo. «Non mi sono drogata!».

«Allora sei una stupida femminuccia romantica».

«E tu un orco bruto» lo presi in giro saltandogli sulle spalle. Adoravo riempirlo di pizzicotti.

«Scendi brutta scimmia».

«Come osi?» urlai intensificando la dose di supplizi.

«Emma falla finita». Soffriva il solletico e sentire quelle dita che gli entravano decise nelle costole, era per lui una vera tortura.

«Di' che sono la sorella più bella che esista sulla faccia della terra e inchinati a chiedermi perdono».

«Adesso ti getto nella Senna se non la finisci!».

Rideva di gusto.

«Arrenditi».

«Mai!».

Mi sentii sballottare senza ritegno. Nei giochi corpo a corpo Jacopo non era mai stato delicato.

«Fermi così!» sentimmo affermare all'improvviso, mentre le nostre grida si elevavano stridule tra la folla di turisti. La felicità era letteralmente incisa sui nostri volti. Tra me e mio fratello c'era un legame che andava oltre la genetica, oltre le leggi dell'universo, oltre ogni comprensione. Eravamo parte unica di due corpi separati e forse nessuno avrebbe mai capito quell'unione a parte noi.

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