Capitolo 3

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Il volo sarebbe stato comodo e rilassante se per tutto il tempo del viaggio Mattia e Geremia non avessero pianto.

La separazione dalla mamma quella volta era stata davvero troppo forte. Iniziavano a crescere e capire non sempre era un bene.

«Amore, la mamma torna non appena finisce di lavorare alle Hawaii» sostenni provando a rassicurare Geremia.

Mentre cullavo il piccolo, Mattia affondava i suoi occhi su di me. Percepivo tutta la sua sofferenza. Aveva solo dieci anni e come me e Jacopo iniziava ad avvertire il peso devastante dei cambiamenti. Gli accarezzai la guancia. Era l'unico che somigliava in maniera così spiccata alla mamma. Sguardo, viso ed espressioni. Aveva rubato ogni dettaglio al cinico medico della nostra famiglia. E poi forse Mattia era l'unico ad avere creato una connessione con lei. Quel bambino era dotato di una marcata sensibilità. Cercava sempre di capire tutti e la sua bontà mi lasciava esterrefatta. Era la perla rara di casa Zaccagnini, per quella ragione mi sarei dovuta dedicare più a lui che a chiunque altro.

«E dove sono le Hawaii?» domandò singhiozzando Geremia.

«Sono dopo questa distesa d'acqua» improvvisai, lasciandogli guardare il blu del mare dal finestrino dell'aereo, mentre con il braccio rimasto libero poggiavo la testa del più grande sul mio petto.

Da quel momento la mia vita si sarebbe caricata di maggiori responsabilità. Avvertii addosso tutta la pressione del futuro.

«Perché la mamma non ha portato anche noi in quel posto lontano? Perché ci lascia sempre? Forse non ci vuole bene?».

Neanche le nuvole servirono a distrarre quel marmocchio di soli tre anni.

«Geremia la mamma ci vuole bene» replicai accennando un sorriso. «E poi tra qualche tempo possiamo andare a trovarla».

«Sul serio?» domandò sgranando gli occhi.

«Sì, forse ad agosto quando papà sarà tanto impegnato con il lavoro, noi potremo raggiungerla».

«Wow».

Ce l'avevo fatta. Avevo tranquillizzato il piccolo con una dolce verità.

Ero conscia che qualche giorno estivo insieme non avrebbe cambiato le cose, ma quanto meno quella notizia addolciva un momento amaro. Ma a differenza di Geremia, quella novità sembrò non scalfire minimamente Mattia. Lui aveva sempre giocato a fare il forte, ma sotto quegli occhialetti da vista c'era un bambino a cui mancava la mamma.

«Ti voglio bene con tutto il cuore» era riuscito a dirle prima di vedere la sua immagine allontanarsi da dietro il lunotto del nostro taxi.

Avevano pianto entrambi e mentre la donna dai capelli ramati salutava commossa tutti noi, io e Jacopo non avevamo avvertito nessun nodo allo stomaco. La malinconia di quegli istanti era legata solo a ciò che ci lasciavamo dietro. Non eravamo insensibili, solo realisti.

«Andiamo alle Hawaii. Andiamo alle Hawaii» continuava a ripetere euforico Geremia. Almeno lui adesso trasmetteva un po' di sana allegria.

Mentre io provavo a badare ai suoi figli, Zeno affondava nella sua poltrona da prima classe e tingeva come sempre i suoi fogli di colori. Matite, penne professionali e progetti, servivano a distaccarlo dalla realtà. Quel giorno lui aveva detto per sempre addio a sua moglie. Saremmo stati noi quelli a poter creare occasioni per rivederla ancora, non lui. Per quanto stessimo male, c'era qualcuno che in quel momento stava peggio. Papà soffriva quella rottura ma non l'avrebbe mai dato a vedere. L'aveva salutata con un bacio sulla guancia anche se in realtà avrebbe palesemente voluto dirle «Non abbandonare me ed i tuoi figli, sei tutta la nostra vita. Resta a far parte di questa famiglia, perché loro non possono fare a meno di te ed io ti amo Germana».

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