7. Insieme a te sono vivo.

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Pioveva a dirotto quel giorno, perciò guidavo l'auto di papà con estrema prudenza. Prima di darmi le chiavi aveva guardato con apprensione l'acquazzone che aveva trasformato la stradina lì davanti ad un ammasso di fanghiglia impraticabile e si era offerto di accompagnarmi, ma avevo rifiutato: volevo farlo da solo.

Ero già stato al cimitero con papà, il giorno di Pasqua, ma ora che le brevi vacanze erano terminate avevo bisogno di salutarlo per conto mio prima di ripartire per Milano.

Era diventato difficile andare via, da quando sapevo di lui. Avevo passato gli ultimi tre anni ad evitare Roma come la peste per punire mio padre, senza sapere che a legarmi a questo posto ci fosse anche qualcun altro.

Ero arrivato davanti al cimitero con quel pensiero che mi vorticava nel cervello e quando mi ero parcheggiato ero rimasto seduto a fissare la pioggia battere forte sul parabrezza.

Il dolore che mi attanagliava il petto si infittiva giorno dopo giorno di sentimenti complicati che non riuscivo a districare del tutto, nonostante stessi cercando di lavorare su me stesso e sul rapporto con la mia famiglia da un paio d'anni.

A volte mi sembrava che fosse impossibile per me stare meglio di così.
A volte la rabbia tornava a trovarmi, il rancore cercava di rimettere radici.

Era solo la nuova comprensione che avevo di tutta la faccenda che mi impediva di precipitare nell'odio: non potevo non considerare che strazio fosse stato per i miei genitori. E se io faticavano ad andare avanti, come potevo biasimare loro per aver scelto una maniera sbagliata di farlo?

E come avrei potuto fare a meno di perdonarli, quando avevo così tanto bisogno di averli accanto?

Era l'odio per me stesso, però, a tormentarmi più spesso. Ed era stato proprio quello a farmi annebbiare la vista di lacrime mentre scendevo sotto la pioggia per raggiungere la tomba di mio fratello.

Mi ero affrettato verso il quadrato di terra su cui giaceva quel peluche sbiadito e mi ero lasciato infradiciare dal maltempo. 

«Ciao» avevo cominciato, abbassandomi all'altezza della croce. «Sto per partire»

Il senso di colpa si era accentuato. «Jaco, io—non so che cosa fare... non so come fare a— essere felice. Non ne sono capace... forse se ci fossi anche tu sarebbe diverso. Mi dispiace tanto... papà e mamma continuano a dirmi che ringraziano il cielo ogni giorno che io sia ancora qui, ma— certe volte penso che se fosse capitato a me... se ci fossi tu, qui, al mio posto, avresti sicuramente fatto di meglio.»

Avevo scosso la testa e mi ero asciugato la faccia, su cui pioggia e lacrime si erano mischiate insieme. «Quando vengo qui, spero sempre di poterti dire di sentirmi sereno. Di avere qualcosa di bello da raccontarti, per regalarti un po' di vita attraverso i miei occhi... e sento di deluderti, tutte le volte.»

Mi ero sporto per accarezzare il suo nome sulla croce. «Scusa. Ci sto provando... forse, quando tornerò di nuovo a Roma, ci sarò riuscito. Se dovesse succedermi qualcosa di bello, sarai la prima persona a cui penserò.»

-

C'era il sole, nonostante fossimo ormai agli inizi di Ottobre. Io e Manuel ci eravamo fermati a casa sua a recuperare il dinosauro giocattolo su sua insistenza e poi avevamo raggiunto il cimitero in moto.

Ero già stato al cimitero, il giorno dopo il mio arrivo, perciò avevo già mantenuto la mia promessa: per la prima volta, avevo raccontato a Jacopo qualcosa di bello.
Ma oggi era diverso. Mi sentivo vicino a mio fratello come mai prima e solo grazie al ragazzo che mi camminava accanto.

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