Cap. 4.2

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Scese i primi gradini guardando le persone che si trovavano poco più sotto di lei in cerca di qualcuno di familiare, ma niente, pensò quindi di farsi strada fino alla ringhiera che si intravedeva in fondo per ammirare il panorama. Si accorse, mentre scendeva, di aver attirato molti sguardi maschili, si impose quindi di raddrizzare la schiena e andar dritta per la sua strada. Fin quando notò qualcuno di sua conoscenza, qualcuno che la guardava intensamente sotto le folte ciglia scure. Can era bloccato alla presenza di lei, sembrava aver dimenticato anche i suoi interlocutori. Lei gli sorrise e andò verso il fondo del giardino. Lui non riuscì neanche a ricambiare il sorriso, tanto era perso nella bellezza di lei.

Luna tirò un sospiro di sollievo non appena lasciò gli occhi del ragazzo dietro le sue spalle, non avrebbe retto un minuto di più sotto il su sguardo se prima non si dava una calmata. Can quella sera era magnetico, completamente vestito di nero con solo le mille collane che lo illuminavano. E pensare che lo avrebbe visto tutti i giorni chissà per quanto tempo. L'idea la eccitava.

La sua mente vagava mentre gli occhi si riempivano della bellezza del panorama. Come aveva immaginato, sotto la villa si vedeva gran parte del lago, una grande pozza nera circondata da lucine provenienti dai tanti locali che lo costeggiavano. Respirò a fondo l'odore boschivo calmando il suo spirito e preparandosi psicologicamente alla serata e a tutto quello che ne comportava.

Sentì qualcuno avvicinarsi, il suo odore era inconfondibile, lo aveva imparato a conoscere da pochissimo, ma non poteva sbagliare. Rimase girata in attesa e non dovette aspettare troppo, una mano le si poggiò pesante sulla schiena nuda e un brivido le corse lungo tutta la spina dorsale. Il cuore le si fermò non appena incontrò i suoi occhi, di nuovo. Sarebbe mai arrivato il giorno in cui sarebbe riuscita a controllarsi? Un sorriso le si formò sulle labbra piene e lui ne rimase rapito. Sorrise a sua volta.

– Ben arrivata signorina Belfiore –

– Mi stavi aspettando? – fece lei avvicinandosi per dargli un bacino sulla guancia e pentendosene un secondo dopo per lo slancio d'affetto. Cambiò quindi discorso – conosci il mio cognome? –

– Tu mi vuoi morto... – si passò una mano tra i capelli, quella sera li teneva sciolti – comunque... certo che lo so, è scritto nella brochure del progetto, come quello di ogni persona che ne fa parte –

– Ah ecco, da questo puoi dedurre che non ho approfondito la sezione "colleghi" – rise – qual è il tuo cognome Can? –

– Il mio cognome è Acar, Ay. –

– Mi piace quando parli la tua lingua madre, non che tu non sia bravo con l'italiano, ma il turco ti si addice di più –

– Dici? Per me una lingua vale l'altra ma se proprio la preferisci bundan sonra seninle sadece türkçe konuşacağım anlamına gelecek1

– Fermo, fermo! Così non vale! – gli poggiò le mani sul torace – Ora mi dici cosa significa tutto ciò che hai detto –

Can si piegò a guardare quelle dita poggiate ad altezza cuore e gli si bloccò il fiato. Quella ragazza era in grado di mandargli in fumo il cervello senza troppo sforzo e i suoi battiti aumentarono al contatto. La guardò.

– Mi convinco sempre di più che con te ho vita breve – sorrise sistemandole un ricciolo ribelle dietro l'orecchio – non ti ho ancora detto che questa sera sei stupenda –

Luna avvampò e lo ringraziò timida mentre ritraeva le mani.

– Anche tu stai benissimo Can, sembri un attore turco alla prima del suo film – scherzò lei.

– Dici? – un sorriso tirato si formò sul volto del ragazzo prima che cambiò discorso – hai idea del programma di questa sera? –

1 vorrà dire che da adesso in poi ti parlerò solo in turco

L'altra faccia della lunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora