Finalmente io e Tom tornammo a Hogwarts.
Appena misi piede nel treno provai degli incantesimi, aspettavo solo quello. Il primo anno non riuscii a compierne nemmeno uno, ma in quel momento sul treno, uno dopo l'altro, mi riuscirono tutti. Era il primo passo verso la mia ascesa.
Il secondo anno a Hogwarts fu molto particolare per me. Da ultima della classe, divenni esperta in incantesimi e pozioni, facendo concorrenza ai migliori, tra cui Tom. Alcuni alunni e alunne iniziarono a provare un po' di simpatia nei miei confronti, ma l'amicizia era l'ultimo dei miei interessi. Presto mi accorsi di non desiderare rapporti amichevoli con nessuno.
Per me non c'era sano e puro divertimento in nulla di quello che facevo; era un'ambizione, un traguardo da raggiungere a ogni costo: il potere. Lo avevo finalmente assaporato anche io. Lo sentivo scorrere in ogni cosa attorno a me e ne ero ossessionata. Era tutto attorno a me e dentro di me, aspettava solo di essere conquistato.
Alla fine riuscii a modificare la mia bacchetta. Ora era più lunga e sottile, sembrava scolpita in un materiale lucente come perla e dei disegni floreali decoravano minuziosamente l'impugnatura. Avevo infranto un sacco di regole della scuola per procurarmi il materiale occorrente.
Quell'anno fui punita molte volte e per questo motivo iniziai a trattare con disprezzo i professori. Non erano stati in grado di debellare la mia maledizione e ora mi mettevano pure i bastoni tra le ruote, meritavano di essere trattati male!
Il tempo stringeva e io non potevo aspettare oltre, il compleanno di Tom sarebbe arrivato presto. Pochi giorni e sarebbero iniziate le vacanze natalizie, dovevo sbrigarmi a completare il regalo prima di tornare all'orfanotrofio. Una volta rinchiusa di nuovo tra quelle mura non mi sarebbe stato permesso fare nessuna magia.
Alla fine, con mia immensa soddisfazione, riuscii a completarlo in tempo. Fu l'unico viaggio di ritorno all'orfanotrofio che mi fece piacere compiere. Non mi erano mai piaciute le feste. Con quanta ipocrisia le persone attorno a me pretendevano di essere viste come benevoli e generose semplicemente perché celebravano delle festività che richiedevano tali comportamenti. Ma io non vedevo nulla di generoso e benevolo in quella abnorme finzione. Il mondo rimaneva cupo e crudele come sempre, anche se risplendeva di addobbi e cercava di mascherare con dolci e regali tutti i peccati che aveva compiuto e che avrebbe continuato a compiere.
Forse, c'era un tempo in cui le feste mi piacevano. Quando mia madre era ancora in vita. Mi svegliai il giorno di Natale con quel pensiero e mi accorsi di quante cose erano cambiate, ma di quanto il ricordo di lei non sbiadisse. Mi avrebbe accompagnato per sempre.
I "regali" che ricevevo all'orfanotrofio mi venivano sempre rubati dagli altri orfani, già al secondo anno in quell'orribile luogo mi abituai all'idea e non posi resistenza. Solo che quell'anno ricevetti un regalo particolare, non sembrava provenire dal mondo dei babbani. Quando lo scartai rimasi senza parole. Era un cappello da strega. Piccolo, leggero e dalla punta perfettamente a cono. Il tessuto nero, a contatto con la luce del sole, risplendeva di mille altri colori, e un fiocco di un viola intenso era appoggiato sul modesto bordo. Era il regalo di mia nonna Seraphine.
Mi accorsi di provare un grande affetto per lei, più di quanto immaginassi possibile. Lo indossai con orgoglio. Ero all'altezza di quel cappello. Ero una vera strega e con il tempo sarei diventata sempre più capace e potente. Quindi, quando provarono a rubarmelo, mi opposi con tutta la mia forza.
Qualcosa era cambiato in me, definitivamente. Avevo guadagnato parte dell'autostima persa e avevo conosciuto il piacere di avere il potere e il controllo della propria vita e delle proprie azioni.
Ero in camera mia, cappello in testa. Leggevo. Non potendo sentire i rumori, non mi resi conto che qualcuno era entrato. Una ragazza, molto più forte fisicamente, prese il mio prezioso regalo. Mi rise in faccia e poi si avviò verso l'uscita. Non seppi mai cosa avesse detto, perché accecata dalla furia. Presi la sedia e la colpii alla schiena con tutta la forza che avevo. Ma non fu abbastanza per impedirle di muoversi ancora, anche se lo faceva con difficoltà. Presi il mio cappello e cercai di scappare dalla camera, ma lei mi afferrò per la caviglia e si gettò addosso a me. Feci in tempo a gettare il cappello lontano, per non rovinarlo.
Presto il rumore che facevamo attirò l'attenzione delle altre persone. La ragazza me le stava dando di santa ragione e io cercavo di ricambiare. La rabbia e la furia mi impedivano di sentire dolore. Non mi era mai piaciuta, la sua bruttezza la rendeva ai miei occhi ripugnante, e non sapevo il suo nome, da tempo avevo perso interesse nel conoscere i nomi degli orfani e delle orfane attorno a me. Qualcuno arrivò presto a separarci, proprio nel momento in cui lei aveva la meglio.
Ci rimasi quasi male. C'era qualcosa in tutto quel dolore fisico e in quella ira che mi piaceva. Provarono a convincermi a farmi medicare, ma appena mi misero le mani addosso io li allontanai furiosa. Fuori dalla mia stanza, dalla mia vita. Da tutto. Ecco, ora di nuovo non esistevano. Ci pensai io alle mie ferite. Graffi e morsi profondi, vari lividi. Ma erano sciocchezze. Il dolore di quelle ferite fisiche non era nulla in confronto a quello che il mio animo poteva provare e aveva provato.
Quello fu il mio dodicesimo Natale e venne con una grande deduzione. Dovevo prepararmi per l'evenienza che in un futuro prossimo qualcosa del genere, se non più pericoloso, sarebbe potuto accadere di nuovo, avevo bisogno di qualcosa che mi proteggesse. Ma cosa? Quando vidi il mio riflesso nello specchio che ero riuscita a portarmi in stanza, rimasi scioccata. Non potevo assolutamente permettere che accadesse di nuovo! Le ferite mi imbruttivano. A vedermi conciata così male, iniziai a piangere. Protezione, avevo bisogno di protezione.
Quando arrivò il compleanno di Tom, non ebbi il coraggio di farmi vedere, ma dovevo, altrimenti come avrei consegnato il mio regalo? Comunque, mi feci coraggio e, con brutti lividi dai colori rivoltanti e un labbro spezzato, bussai alla sua porta. Quando mi aprì sembrava più spensierato del solito. Mi accorsi di essere leggermente più alta di lui, avendo la stessa età ed essendo femmina crescevo ad un ritmo più veloce.
Rimasi per qualche secondo a contemplarlo. Perché era sempre così perfetto? I suoi vestiti non avevano mai una piega, i suoi capelli nessun filo fuori posto e il suo viso nessuna imperfezione. Quel giorno provai anche un po' d'invidia. Io non ero sempre nella mia forma migliore, ma mi promisi che da quel momento in poi avrei fatto a gara con la sua perfezione e avrei vinto, o almeno saremo sempre rimasti alla pari.
Consegnai il mio regalo e aspettai che lo scartasse. Iniziai a rigirami il cappello di mia nonna tra le mani mentre lui osservava curioso il piccolo cofanetto di legno intagliato. Poi lesse il biglietto che gli avevo scritto, dove avevo dato istruzioni su come si usasse e a cosa servisse. Il cofanetto era in grado di farti trovare dentro qualsiasi oggetto di uso babbano di cui avevi bisogno, se si trovava in un arco di spazio di quasi cinquanta chilometri, e ovviamente l'oggetto non poteva essere più grande del cofanetto stesso. Se lo trovava ne faceva una copia dentro di sé, per te. Per poter dire al cofanetto cosa desideravi bastava pensare all'oggetto e battere la bacchetta su di esso. E funzionava anche con il cibo, essendo copie quelle che lui produceva, copie concrete che non scomparivano nel tempo.
Tom provò il cofanetto e ne tirò fuori un paio di guanti. Mi guardò come non aveva mai fatto, la sua espressione stupefatta non l'avevo mai vista. Poi sorrise, il solito sorriso finto che gli avevo sempre visto fare, cosciente di questo mi fece comunque piacere riceverlo, mi accorsi, per l'ennesima volta, di esser diventata completamente rossa per l'imbarazzo.
-Un giorno, tu parlerai di nuovo e quando lo farai, mi dirai come hai fatto. Sei stata brava, Meredith, veramente brava.
Dicendomi queste cose aveva posato le sua mani sulle mie spalle, poi mi spinse delicatamente fuori dalla sua stanza, mi salutò e richiuse la porta. Ero terribilmente felice e soddisfatta.
Sorrisi con così tanta foga che la ferita sul labbro che avevo si riaprì violentemente, il sangue colava abbastanza abbondante, ma mi accorsi che riuscivo a sostenere bene il dolore, anzi, aveva qualcosa di attraente la consistenza e il sapore del sangue, anche se esteticamente non mi piaceva.
Ma, appena avrei rimesso piede a Hogwarts, dovevo trovare un modo per proteggermi. Nessuno mi avrebbe più ferito, nessuno. Ebbi un sacco di idee, ma ancora non presi la decisione di metterne nessuna in atto. Finii il mio secondo anno ad Hogwarts pianificandomi di completare un sacco di progetti magici personali.
Io e Tom, come sempre, continuammo ad ignorarci, ma tornati all'orfanotrofio, l'estate la passammo a studiare insieme, mantenendo un rapporto molto distaccato, ma comunque meno antagonista di prima.
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Il Diario Segreto di una Strega Perduta
Fantasy[Harry Potter FANFIC] "Scrivo questo diario affinché nessuno si dimentichi di me. Il mondo deve sapere che sono esistita e che ho combattuto. La strada sbagliata che ho percorso non mi definirà come persona. Nessuno mi ha mai conosciuto veramente e...