Capitolo 1 - Sogno

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Aveva piovuto molto quel pomeriggio; centinaia di gocce scendevano lungo il vetro della finestra di camera mia impedendomi di vedere al di fuori. Non che ne avessi bisogno, intendiamoci. Sapevo esattamente come fosse al di fuori. Le strade probabilmente erano allagate, gli alberi dondolavano a causa del forte vento e le persone erano munite di ombrello per cercare di rimanere asciutte. Tuoni e fulmini si alternavano, perciò la mia camera veniva illuminata da qualche luce brillante di tanto in tanto, mentre sentivo il rumore della pioggia che veniva a scontrarsi contro il tetto sopra di me. La mia camera era in mansarda, il tetto della villa era proprio sopra di me.
Stetti sdraiata sul mio letto tutto il giorno, dovevo prepararmi psicologicamente al giorno seguente. Un sospiro triste mi sfuggì dalle labbra, voltai il viso verso la finestra e mi venne in mente il sogno che facevo ormai da molto anni.

Sogno

Un ultimo sguardo alla casa che avrebbe dovuto lasciare, al vialetto percorso tante, troppe volte con il bambino e alla strada che collega la sua villa a quella di lui. La malinconia si fa sentire. Il pensiero che non avrebbe potuto salutarlo come si deve un'ultima volta la tormenta tanto e non sa come fare.
Non c'è tempo per andare a salutarlo, il taxi sarebbe arrivato a momenti.
Chiudono casa, lei e la sua famiglia sono alla fine del vialetto mentre aspettano l'arrivo della macchina che li avrebbe portati lontani.
Vedono in lontananza la macchina.
Si sta avvicinando troppo velocemente.
Alla bambina scappa una lacrima solitaria mentre continua a ripetersi di non piangere e non voltarsi.
Anche se ha promesso al bambino che è solo un arrivederci, lei lo sa bene che è un addio.
Inizia a piangere, non riesce più a fermarsi. Piange in silenzio e non per la casa, la scuola o i suoi amici. Lei piange per lui, il bambino che a tutti presentava come il suo migliore amico, mentre invece lo avrebbe voluto presentare come tutt'altro.
La macchina è sempre più vicina.
La bambina si sente chiamare. Non ci crede, pensa di essere impazzita, non può essere lui.
Si sente strattonare e in un secondo è tra le braccia di qualcuno, quelle braccia che avrebbe riconosciuto anche dopo quindici anni, anche se lei in questo momento non lo sa.
«Dove pensavi di andare senza salutare il tuo migliore amico?»
«Da nessuna parte.» la bambina sorride fra i singhiozzi.
«Ti devo dare una cosa». il bambino la scansa di poco e prende dalla tasca un piccolo bracciale.
«Tieni. Mi raccomando, tutte le volte che ti sentirai sola ricordati di me. Io sarò li con te anche se non fisicamente.» prende il polso piccolo della bambina e le lega il piccolo bracciale con due ciondoli, una macchina e una lettera, la sua.
«Anche io devo darti una cosa.» la bambina prende una collanina dalla borsetta.
«Non dimenticarti mai di me.» lega la collana al suo collo. È una collanina con due ciondoli, un aereoplanino di carta e la sua iniziale.
Il taxi è ormai arrivato da minuti. Hanno appena finito di caricare le valige, lei deve andare.
Vogliono entrambi salutarsi ma non sanno cosa dire e non hanno neanche il coraggio di farlo, così si abbracciano. La bambina piangendo trova la forza di staccarsi e correre verso il taxi. Il bambino non prova neanche a fermarla.
Il taxi parte e in quel momento la bambina capisce, capisce che quelle braccia non l'avrebbero più protetta dal mondo. Quelle braccia che lei chiamava casa. In qualsiasi posto sarebbe andata, non l'avrebbe mai chiamato casa.

Fine sogno

"La bambina del mio sogno sono io, ma chi è il bambino?"
Mi chiesi quando sarebbe finita quella pioggia, erano ormai tre giorni che pioveva, ancora dovevo abituarmi al clima di Detroit. Decisi di alzarmi dal letto e scendere al piano terra dove trovai mia madre intenta a correggere i compiti di una classe.
«Mami, tutto bene?» le chiesi mentre prendevo un succo dal frigo.
«Sì sì Chicca, sto correggendo questi ultimi compiti, poi esco a fare la spesa.» mi rispose sforzando un sorriso. Il lavoro la stancava davvero tanto, si vedeva lontano un chilometro.
«Okay, torno in camera.» affermai andando verso le scale.
«Kiara, sai che fine hanno fatto Zayn e Jordan!?» mi urlò mia madre dal piano di sotto.
I miei due fratelli sparivano tutto il giorno e non si facevano sentire.
«E che ne so io, saranno dalla troietta di turno.» risposi acida continuando a salire le scale, chiudendomi la porta della camera alle spalle.
«KIARA!» sentii rimproverarmi mia madre. Non c'è da sorprendersi, da quando siamo arrivati i miei due fratelli non stanno mai a casa. Jordan ha vent'anni e frequenta il college per diventare giocatore professionista di basket, uno dei motivi del perché ci siamo trasferiti qui. Zayn ha 22 anni, uguale. Ad entrambi è stata offerta una borsa di studio ed entrambi hanno accettato. Io ho velocizzato i tempi ed ero già laureata. Lavoravo presso Vanity Fair, uno dei giornali più conosciuti al mondo. Il giorno seguente mi aspettava un servizio per la Calvin Klein, avrei dovuto fare delle foto ai soliti modelli, montare la copertina,l'interno della rivista e mettere il tutto sulla scrivania della direttrice. Presi il cellulare e decisi di vedere dove fossero finiti i miei due fratelli.
Mandai un messaggio a Jordan:
-Avete intenzione di tornare per cena?-
Scorsi le altre chat. Ero sempre più convinta che le persone non abbiano un cavolo da fare se non dare fastidio alla gente.
Mi arrivò un altro messaggio:
-Forse :P- era stata la risposta di Jordan, arrivata qualche minuto dopo. Poggiai il cellulare sulla scrivania e decisi di andare a fare una doccia per rilassare i nervi.

Erano le 20. Quando tornai trovai qualcuno sul letto e mancava poco che mi prendesse un infarto. «Zayn che ci fai in camera mia?» gli urlai scocciata. Capisco perché è così popolare a scuola, è proprio bello. Moro con gli occhi color cioccolato, la pelle ambrata, secco, abbastanza alto e pieno di tatuaggi, uno di quei ragazzi a cui manca solo il cervello per essere perfetto.

«Sorellina, non ti agitare, ero venuto solo per informarti che è pronta la cena, ma non ti ho trovata così ho deciso di aspettarti.» si giustificò lui.

«Esci, mi vesto e andiamo a mangiare.» gli risposi velocemente spingendolo fuori dalla porta.

«Sei figa sorellina, posso anche rimanere ad osservarti, ti conosco da una vita!» mi squadrò e sorrise. «Zayn!» lo rimproverai ridendo.

«Okay okay...» rise alzando le mani come arreso.

"Mio fratello è proprio pervertito..." pensai.

Cenammo e in poco tempo si fece ora di andare a dormire. Il giorno seguente mi svegliai presto, anche se dovevo presentarmi nello studio della direttrice alle 10 del mattino.

Erano appena le 8, ma mi alzai e decisi di prepararmi con calma, scelsi dei vestiti comodi ma eleganti. Andai in bagno, mi infilai il mio paio di pantaloni preferito, degli skinny neri a vita alta con due file di bottoni laterali, scelsi una camicia bianca con una cravatta finta nera e come scarpa degli stivaletti tronchetti neri con una cerniera al lato. Lisciai i capelli e scelsi un trucco il più possibile naturale ma coprente. Scesi in cucina e vidi mia madre che preparava i pancakes per colazione.

«Buongiorno!» le dissi scoccandole un bacio sulla guancia.

«Giorno!» mi rispose con un bel sorriso.

«Ti serve un passaggio per andare a lavoro?» mi chiese mentre metteva l'ultimo pancake sul piatto. I pancake di mia madre avevano un aspetto molto invitante ed erano davvero buoni! Ne addentai uno.

«Sì magari!» risposi sorridendo.

«Allora mangiamo e usciamo.» affermò mia madre sorridendo. Dopo aver finito di mangiare, essermi guardata un ultima volta allo specchio e aver preso la mia borsa nera di Burberry, io e mia madre ci avviammo verso la BMV grigia parcheggiata nel vialetto. Dal finestrino avevo un vista bellissima della città. I marciapiedi erano affollati da gente che correva per andare al lavoro. Le strade erano piene di macchine e taxi. Non ero mai stata in questa città bizzarra ma nonostante questo, era proprio così che mi immaginavo Detroit: affollata, viva e rumorosa.

«Come mai sei così nervosa oggi?» mi chiese mia madre ridendo. Non era così divertente...

«La direttrice mi ha dato uno degli incarichi più importanti e lo voglio svolgere al meglio.» spiegai a mia madre velocemente tornando a guardare fuori dal finestrino. Eravamo davanti ad un enorme edificio a vetri... la sede di Vanity Fair, si notava da un chilometro per quanto era bello l'edificio.

«E lo farai, sei la ragazza più determinata che conosca. Comunque, siamo arrivati.» affermò mia madre accostando al marciapiede di fronte l'edificio.

«Grazie mami, ci vediamo dopo a casa.» le dissi lasciandole un bacio sulla guancia.

«Certo Chicca, a dopo.» mi rispose prima che chiudessi la portiera e la vedessi sparire dietro l'angolo.

"Ci siamo... fai un bel respiro." pensai. Io e l'ansia oramai eravamo grandi amiche e non mi mollava mai, sopratutto in questi casi si faceva sentire per bene. Presi l'ascensore e spinsi sul tasto che portava all'ultimo piano, ci impiegai un po' visto che ad ogni piano salivano venti persone e ne scendevano due. Uscii dall'ascensore e in poco tempo raggiunsi la porta della direttrice. Era una porta come tutte le altre, ma la placca color argento con inciso -DIRETTRICE- ti faceva capire che quella che c'era all'interno non era una persona normale anzi... controllai l'ora, le 10 appena scoccate, decisi di bussare mentre l'ansia si impadroniva completamente di me.

Danger In DNA↬Harry Styles↫Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora