𝘸𝘩𝘺 𝘥𝘰 𝘪 𝘢𝘭𝘸𝘢𝘺𝘴 𝘴𝘱𝘪𝘭𝘭

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continua

Mi passo distrattamente le dita fra i capelli. Incastro i polpastrelli fra le ciocche, sfilo poco a poco le mani nella loro consistenza morbida, lascio che il mio polso le porti più in giù, fino alle punte che sfuggono.

Attendo in silenzio.

Le parole della professoressa di matematica non raggiungono le mie orecchie, rimangono appese nell'aria distanti e fumose, non ascolto, non seguo, non m'interesso.

Tutto quel di cui mi curo ora è me stesso, il mio corpo, le mie emozioni, le sensazioni completamente nuove che essere me ora mi concede.

Mi sono fatto la tinta da solo.

Mi sono vestito senza affidarmi al mio guardaroba scelto per me da qualcun altro.

Ho piegato il mio aspetto alle sole mie volontà, spoglio finalmente della gabbia in cui sono stato infilato nascendo.

Mi sento diverso.

Strappato, dilaniato e scuoiato dai denti, dalle mani e dalla violenza di Kuro, ora mi sento libero di quella pellicola trasparente e grigia che ricopriva stretta la mia pelle, impedendole di respirare, di scegliere e di fare per se stessa e in se stessa.

È come se mi avesse tirato fuori a forza da un bozzolo che stava marcendo.

Come se avesse capito che il mio becco non era abbastanza forte per spezzare il guscio dell'uovo dall'interno, e avesse poi deciso che anche se la natura non voleva che nascessi, allora poteva deciderlo lui al suo posto, affondando gli artigli e aprendo un varco perché finalmente anche io vedessi la luce.

Sono nato, in quel momento in cui stavo morendo tra le sue braccia.

Ho aperto gli occhi, ho pianto, ho preso aria fino al fondo dei miei polmoni, sono emerso dalle sbarre, dal fango, dal nulla, e ho assunto una consapevolezza che prima non sapevo di non avere.

Mi ha messo al mondo sventrando le viscere fatiscenti dell'utero di mia madre, scavando fra la putrefazione d'esser lì chiuso da diciassette anni, tirandomi fuori ancora inspiegabilmente vivo e inspiegabilmente in grado di capire chi dovevo ringraziare per il dono d'essere esistente.

Sono nato morendo.

Macchiato di sangue, urlando di dolore, con le lacrime tanto copiose da non riuscire a distinguerle le une dalle altre.

Ora chi sono, non è più l'embrione infelice affogato nel liquido amniotico della cattiveria di un mostro che mangia chi ha appena generato.

Incastro i piedi sulla sbarra del banco di fronte a me.

Studio le punte dei miei piedi, le mie gambe, le ginocchia sottili.

Mi sento così diverso.

Non saprei dire se più felice, forse più soddisfatto di me stesso, un po' più forte. Mi sento sicuro, che è qualcosa che non mi sono sentito mai, appagato della mia pelle che mi ricade sopra le ossa.

Ora sono lei.

Io sono diventato lei.

E non ho più nulla da temere, più nulla da soffrire, se sono diventato l'oggetto di tutto il mio odio.

Ho pescato dal suo armadio senza chiederglielo. L'ho aperto, ci ho infilato le mani dentro e ho reclamato quel che è mio, perché se sono lei, quel che ha ce l'ho io di diritto.

Ho aperto il suo cassetto nel suo bagno, ho acceso la sua luce attorno al suo specchio, ho messo il suo asciugamano attorno alle spalle e ho usato il suo decolorante sui capelli scuri.

crybaby || kurokenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora