Capitolo 2

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Marta, anno 2012.

Se ne andò un giorno dell'estate del 2003. Aveva sedici anni, a quel tempo; e non se ne sarebbe mai pentita, di quella scelta. Nonostante tutto.
Scappò perché preferì se stessa agli altri, preferì la sua vita a quella di chi gliel'aveva data e poi tolta. Lo fece perché la testa continuava a ripeterle vattene, chi te lo fa fare di stare in mezzo a tutta 'sta merda. Scappa te che puoi, te che non senti le catene stringerti le ossa.
E così se ne andò, senza guardarsi indietro.
Ricordava il buio conficcarlesi dentro, ricordava come si mimetizzava con esso, grazie ad esso.
Ricordava lo zaino pesarle sulle spalle esili, non perché fosse poi così pieno - magari sì, c'era un casino di roba là dentro - ma anche perché si sentiva addosso tutto il peso di quello che si lasciava dietro.
E non è vero che non si voltò, che se ne andò così, come se non avesse cuore - c'era ancora il suo cuoricino, a sedici anni, l'aveva perso più tardi, e solo per alcune persone.
Si era voltata indietro prima di oltrepassare il cancello che finalmente l'avrebbe portata lontana da quella casa, da quelle vicende, da quelle persone. Lo fece perché era sicura che non avrebbe più avuto a che fare con niente di tutto ciò, con nessuno di loro. Aveva sedici anni ed era ingenua, piena di speranza, ancora non aveva capito che la vita se ne fotte delle tue speranze, e si nutre proprio di esse, te le ruba e ti fa cadere in quelli che sono i tuoi incubi. Ti porta indietro, fa in modo che quel passato che hai provato con tutta te stessa a dimenticare, ti raggiunga di nuovo, ti prenda e ti tenga stretta nella sua morsa d'acciaio.
Sentì il pianto di Davide arrivarle all'orecchie. Condividevano il letto, un po' perché non poteva permettersi un'altra camera né un altro letto, e un po' perché la faceva sentire meno sola avere quel piccolo corpicino accanto al suo.
Si voltò dalla sua parte e lo cullò leggermente per farlo addormentare di nuovo, mentre dalle sue labbra usciva sempre la stessa melodia.

"Dormi dormi piccolino, c'è la mamma qui vicino,
ti rimbocca le coperte e ti aggiusta anche il cuscino.
Quando il sonno poi ti prende lei ti bacia sulla fronte,
ti promette sogni belli con le fate dei castelli."

Gliel'aveva insegnata la sua, di mamma. Non sapeva neanche come avessero fatto a tornarle in mente, quelle parole. Semplicemente era successo. Una notte, quando Davide aveva tre mesi, si era svegliato piangendo; Marta le aveva provate tutte per farlo riaddormentare, lo aveva allattato, cullato, baciato sulle piccole gote arrossate, tutto. Poi le era venuta in mente quella melodia, così. Non pensava neanche di ricordarsi le parole, ma le erano uscite dalle labbra senza che potesse fermarle. E Davide c'era rimasto, lì fermo ad ascoltarla. La fissava con quegli occhioni chiari - quelli che tutti i bambini hanno - e aveva anche arrestato il pianto che gli scuoteva il piccolo petto. Aveva iniziato a sorridere con i lacrimoni agli angoli degli occhi, mentre agitava la manina verso le labbra della madre.
Mentre cantava la ninna nanna, Marta pensò alla voce di sua madre. Era così tanto tempo che non pensava a lei. La faceva quasi piangere, quel ricordo di quando ancora era troppo piccola, di quando ancora non sapeva di avere colpa.
Da lì in poi quelle parole erano diventate la ninna nanna per il suo bambino, era il modo in cui lei gli dava la buonanotte e in cui lo addormentava quando si svegliava con il buio negli occhi.
E ogni volta che la cantava, Marta immaginava con la sua voce quella della sua mamma.
Non avrebbe mai ammesso che le mancava, neanche al buio della Signora Notte, colei che prende i tuoi segreti sussurrati tre le labbra strette e li conserva vicino a sua figlia Luna.

La mattina seguente a svegliarla fu il suono del suo cellulare, un allarme che le segnalava l'arrivo di un nuovo messaggio. Nonostante non volesse né leggerlo né tantomeno rispondere, prese comunque l'apparecchio elettronico in mano e sbuffò dopo aver visto chi e per cosa le aveva scritto.
Il cliente di quella sera le aveva confermato l'appuntamento, ricordandole di vestirsi in modo elegante.
Non le sarebbe andata tanto male, comunque. Lorenzo era un bravo ragazzo, anche piuttosto carino, e su per giù aveva la sua età, ma per qualche strana ragione la sua vita privata era praticamente inesistente. Un tempo si era dedicato tanto alla studio, lasciando da parte un po' le amicizie e tanto l'amore; e una volta finita l'università si era buttato a capofitto nel lavoro, così da farsi amici solo i colleghi e non pensare più alle donne. In realtà Lorenzo un po' ci pensava al gentil sesso, soprattutto di notte, quando casa sua gli sembrava troppo grande, il suo letto troppo vuoto e le sue braccia bisognose di stringere un corpo. Ci pensava quando tornava a casa dal lavoro e non aveva qualcuno da baciare e con cui chiacchierare; quando doveva prendere decisioni importanti e si trovava da solo a superare la cosa, sperando sempre di aver fatto la scelta giusta. Se ne rammentava quando andava a pranzo a casa dei suoi genitori la domenica e suo fratello maggiore portava sua moglie incinta, e sua sorella minore il suo fidanzato storico. E allora sua madre gli si avvicinava e "Lorenzo, tesoro, quando me la porti una nuora, te? Quando ti innamorerai, figlio mio?" ogni santissima domenica era la stessa frase. E allora Lorenzo si buttava proprio giù, quelle parole gli rovinavano proprio la giornata.
Era per questo, che quel ragazzo tanto gentile, carino e bisognoso d'amore, a volte pagava Marta per tenerla un po' con sé. Chi meglio di lei poteva darle amore? Anche se finto, anche se pagato.
Spesso la portava con sé ad alcuni eventi; faceva parte di una famiglia benestante, molto attiva nella vita sociale, e allora invitava anche Marta, la pagava per accompagnarlo, per intrattenersi con lui qualche ora dopo la cena. La presentava come una sua amica, o come la donna che frequentava. Ma dopo, dopo non faceva mai niente che la ragazza non volesse. Era sempre così gentile, con lei. Spesso Marta si chiedeva com'era possibile che uno come lui non avesse già la fede al dito, ci passava ore a domandarselo una volte che lui la riaccompagnava a casa.
Semplicemente non aveva una risposta. Il genere umano la maggior parte delle volte riesce ad essere sorprendentemente stupido. O cattivo.

Dopo pranzo si fermò in biblioteca. Davide faceva il suo pisolino pomeridiano nel passeggino, e Marta approfittò della calma e del silenzio per usufruire dei computer messi a disposizione dalla struttura.
Scriveva per un blog, a volte. Sfruttava il suo passato di giornalista e ne ricavava articoli freschi, interessanti e intelligenti per una pagina a tematiche sociali.
Faceva pochi spiccioli, in quel modo, ma sempre meglio che niente.
Maria, la bibliotecaria, le si avvicinò sorridente.
"Marta, cara, come stai?"
Non parlava piano, ma faceva una partaccia a chiunque - eccetto se stessa - alzava la voce lì dentro. La biblioteca era il suo regno, e lei ne era la regina. Si muoveva con disinvoltura e velocità tra gli immensi scaffali, e appena le dicevano il titolo di un libro o di un volume, lei sapeva esattamente dove dirigersi. Quasi senza pensarci. È come se nella sua mente avesse avuto la mappa della struttura con elenco di tutti i libri contenuti.
Era pazzesca, esuberante, efficiente e tremendamente dolce.
"Tutto bene, Maria. Davide finalmente si è addormentato. Dorme male in questi giorni."
le veniva così facile parlare con lei, a volte doveva trattenersi quasi.
"Oh povero piccino. Sarà che sente il tempo anche lui. Stasera verrà un temporale come non se ne vede da anni. Me lo sento. Sai che lo so, io."
Un'altra cosa che Maria non sbagliava mai erano le previsioni meteorologiche. Senza che nessuno riuscisse a capire come, lei sapeva sempre ed esattamente che tempo avrebbe fatto il giorno dopo o la settimana dopo.
Marta annuì, lo sapeva.
"Maria non ti offendere, ma spero tu ti spagli. L'estate è nel bel mezzo della sua corsa, e non vorrei proprio che un pioggia interrompesse queste temperature calde. Il maltempo lasciamolo all'inverno, che d'estate mi mette il malumore."
E la donna fu d'accordo. Ma era sicura di non sbagliarsi.

E in effetti quella sera un temporale scoppiò nel cielo, proprio mentre Marta stava indossando l'abito più elegante che possedeva. Era il regalo di una vecchia amica, e probabilmente la cosa più preziosa che aveva. Eccezion fatta per suo figlio, naturalmente.
Sentì un tuono rimbombare nell'aria, e poi il pianto di Davide il "sssh, calmati dài" di Lucrezia, la babysitter.
Sì truccò leggermente e poi uscì dal bagno.
Baciò sulla fronte il suo bambino e si raccomandò con Lucrezia.
"Ascolta, se c'è qualunque problema, se piange troppo, si sente male, dà di stomaco, chiamami subito. Va bene? Mi farò accompagnare subito a casa."
"Va bene." rispose la ragazza.
Aveva diciassette anni, ma sapeva badare a sé stessa e anche a Davide. Era già un po' di tempo che si occupava di lui, e i due avevano instaurato un bel rapporto. Cioè se un bel rapporto si può instaurare con un bambino di un anno. Beh almeno non piangeva tanto quando era con lei, e spesso riusciva a farlo ridere. Infondo non le dispiaceva tanto prendersi cura di lui.
A Marta arrivò un messaggio.

Da: Lorenzo Mannelli
Scendi, Marta. Sono in macchina davanti al portone del tuo appartamento. Non vedo l'ora di vederti.

Lorenzo era sempre così gentile. Quasi a volersi far perdonare per comprarla.

Uscì e salì sulla Ranger Rover. Lorenzo aveva soldi. Tantissimi soldi, ma non li mostrava, non gli piaceva mostrarsi per la sua ricchezza, ma le macchine erano una sua fissazione e quell'ultimo modello l'aveva fatto innamorare come una donna non avrebbe mai potuto fare. L'aveva detto una volta a Marta, e lei era scoppiata a ridergli in faccia, scusandosi ma senza riuscire a smettere.
Si sporse verso di lei e le baciò la guancia.
"Tutto bene?" le domandò.
"Sì."
Rispondeva sempre di sì, non importava se non stava affatto bene, se stava andando tutto una merda, se si sentiva a pezzi e voleva solo morire. Stava bene? Sì, assolutamente.
Che mentisse è un altro discorso.
"Tu?"
Spesso la faceva per cortesia, quella domanda. Ma con lui no. Le interessava davvero come si sentiva, forse perché a lui interessava davvero di lei.
"Tutto bene. Sono molto impegnato con il lavoro. Sai, l'ospedale richiede molta dedizione e passione. Alcuni bambini sono un po' più complicati di altri, ma sono comunque riuscito ad instaurare un buon rapporto con tutti loro. Sono così carini."
Faceva il medico, lavorava in pediatria e si occupava dei bambini gravemente malati. Era un lavoro duro, faticoso e che necessitava di tanta forza d'animo. Ma gli piaceva, e ogni volta che riusciva a salvare una piccola vita si sentiva bene. Tremendamente bene.
"Sono felice per te, Lorenzo. Hai faticato tanto per arrivare a questo punto."
La conversazione si trascinò per qualche minuto, mentre abbandonavano quel lato della città per dirigersi dal lato opposto.

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