Che cosa vuoi da me?

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10 dicembre 2014, 7:20 della sera
"Son certa almeno di qualcosa?
Ohi che dolorrr
Siam sempre qui
Siam sempre così incerti e precari
Dovendo schematizzare ogni cosa
Perché parlo al plurale?
É il mio problema
Di nessun altro
Vorrei leggere da qualche parte
Che tutto questo é normale
Che infondo alla pazzia
C'è qualcosa di razionale
Ma il mondo é malato
Ed io non mi fido del mondo
Quindi come faccio a sentirmi nel giusto
Se nessuno a cui credo mi dice
'É tutto apposto'
Vorrei sapere se é normale altalenare
Essere spesso incerti
E sentirsi vittima di una recita
Vorrei potere essere sempre
Chiara e schietta
Mi piacerebbe aver sempre coraggio
E meno depressione
Ossessione
Ed imbarazzo
Più fiducia in me
E sentirmi bella sempre
Vorrei sapere se é normale
Psicoanalizzare
Personalizzare
Inventare
Vorrei avere certezze
Qu'est-ce que tu veux de moi?
Vorrei sapere se tutto questo é normale"

La prima volta che ho avuto contatti con Corrado é stata ad ottobre. Mi aveva scritto su Facebook, il che voleva dire che mi aveva trovata per caso, oppure sapeva il mio nome. Mi fece qualche domanda su i dread, perché ogni ragazzo che mi abbia mai scritto ha usato la scusa dei capelli per attaccare bottone. Ma lui non me lo chiese per quello, voleva farseli anche lui. Conobbi Corrado di persona il giorno stesso. Durante gli intervalli, raggirando la situazione, dato che un vero e proprio divieto non era ancora stato espresso, uscivo a fumare. Qui lo vidi. Era carino da lontano, ma non avevo capito che fosse lui. Si avvicinò con un passo strano, quasi zoppicante a me e Agnese, ma non salutò lei come mi aspettavo, ma me. Fui colta ovviamente alla sprovvista e sputai il fumo bruscamente quando mi accorsi che mi guardava. Soprattutto pensai "mi saluta davvero? Dopotutto mi ha solo scritto per i dread". Ma infondo ero contenta che non fosse un altro senza balle come me; mi sbagliavo. Corrado con la luce debole della mattinata autunnale mi sembrò subito un vampiro. I capelli rossi e la pelle bianca di chi il sole non l'ha mai visto. Gli occhi grandi, aperti e ambrati. Il fisico perfetto, scolpito ma nascosto da maglioni larghi. Il mistero che ti colpiva ancora prima che parlasse. Corrado era una calamita, dovevo scoprire com'era davvero.
Una mattina mentre pioveva e sotto il mio ombrellino blu tiravo bestemmie, vidi la sua Volvo nera parcheggiata sotto le scale che portano all'entrata della scuola. Mi avvicinai alla macchina e Corrado impassibile mentre guardava la strada abbassó il finestrino del passeggero
«sali»
Con la mano libera aprì la portiera, bagnandomi le dita che all'istante congelarono. Chiusi l'ombrello e tolsi una spallina della cartella per riuscire a sedermi. I sedili in simil-pelle mi accolsero all'interno.
«prendi il telefono» ordinò appena mi sedetti, un 'ciao' mi sarebbe piaciuto di più, ma obbedì
«342... » mi dettò un numero
«Ma di chi é sto numero?»
«Tu segnalo e scrivi su questo quando entri a scuola»
«va bene» ero incerta, anche un po' diffidente
Rimisi in spalle la cartella e uscì dall'auto. Entrai nell'edificio un po' stralunata e mi diressi in classe.
Agnese non c'era. Il numero chiaramente era quello di Corrado. Da li, un po' con delle scuse, mi scriveva spesso.
Iniziammo ad essere amici; perlopiù lui mi prendeva in giro scherzosamente.
Fino a quando doveva cambiare casa. Revia, la sua città, distava una manciata di chilometri dal mio paesino.
«vengo a vedere una casa li, se vuoi prima usciamo un attimo» mi aveva scritto prima di passare a prendermi a casa.
Era vanitoso, tendente all'egocentrismo. Si specchiava nei finestrini posteriori della sua macchina, mentre veniva verso di me. Tirava giù i pantaloni a vita bassa e stringeva la fibbia della cintura, sotto il maglione. Erano sempre scuri i suoi maglioni: neri, grigi, blu.
Abbiamo passato il pomeriggio a parlare della vita, di ogni cosa gli fosse successa e di rado mi faceva qualche complimento per la mia discrezione, pazienza. Si rendeva conto, forse, di quanto fosse difficile stargli dietro nei suoi folli discorsi; ma allo stesso tempo, non potevo fare altrimenti, era così bello in quel momento ascoltarlo.
Però, non mi era mai successo, lo ascoltavo, annuivo e rispondevo ma qualche minuto dopo già non avrei saputo dire di cosa avevamo parlato fino a quel momento. In mente avevo solo il suo volto, le sue espressioni e azioni.

E infondo, dopotutto, mi chiedevo cosa volesse da me.

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