Il sole svegliò Eren, penetrando dai vetri della finestra chiusa, lo costrinse a nascondere la testa sotto il cuscino, facendolo sbuffare.
Sapeva di doversi alzare, la madre gli aveva dato delle commissioni da fare e non voleva subire un'altra ramanzina in cui gli venivano ricordate tutte le volte in cui non aveva fatto ciò che gli si era chiesto.
Il freddo gli penetrava nelle ossa come l'aria fredda entrava attraverso i spifferi della finestra, questo rendeva ancora più difficile uscire dal tepore delle coperte.
Sbuffò di nuovo tirando fuori la testa dal nascondiglio e si mise seduto. Con gli occhi cercava le pantofole chiedendosi dove le avesse lasciate la notte precedente e pensando di dover dare ragione alla madre quando gli diceva che era disordinato.
Finì a controllare anche sotto il letto e finalmente le trovò.
Neanche si era completamente svegliato che già aveva faticato più del voluto.
Si avviò verso la porta e l'aprì velocemente.
<< Aia.>>
Sì affacciò oltre il legno e scoppiò a ridere vedendo Mikasa che si massaggiava la fronte.
<< Così ti impari a passare vicino alle porte.>> la prese in giro.
<< Sei tu che devi stare attento quando apri.>> lo rimproverò.
Eren abbassò la testa di lato, cercando di intravedere, attraverso le mani della ragazza, se davvero le avesse fatto tutto quel male.
Non appena però lei aprì gli occhi lui tornò subito dritto, comportandosi come se niente fosse.
<< Non piagnucolare, non ti sei fatta niente.>> si affrettò a passarle davanti e a scendere di corsa le scale.
<< Ragazzi, è pronta la colazione.>> li accolse bonariamente la madre.
Lo stomaco di Eren parve reagire a quelle parole e prese a brontolare.
Si mise a tavola, seduto dal suo solito posto guardava Mikasa aiutare la madre a mettere a tavola cioè che aveva preparato per la colazione.
In quei quattro anni era cambiata, non faceva che notare ultimamente tutti gli aspetti bambineschi che aveva perso, il viso tondo ora aveva lasciato il posto a lineamenti più delineati, a zigomi più alti, le labbra erano più rosee e meno piccole, l'arco di cupido si era leggermente accentuato e gli occhi, gli occhi sembravano più grandi, lucidi, con le ciglia folte e lunghe a incorniciarli perfettamente. Anche il corpo le era cambiato, oltre ad essersi alzata, sembrava un'altra persona.
<< Non mangi?>> lo riprese, incuriosita dal suo sguardo perso.
<< Fatti gli affari tuoi.>>
<< Eren, rispondi bene a tua sorella.>> lo rimproverò la madre.
Sbuffò, ma iniziò a mangiare senza alzare più lo sguardo dal piatto.
Ma quale sorella, si chiedeva, loro non erano davvero fratello e sorella, anche se avevano vissuto per quattro anni come tali, stando sempre insieme. Ma sapeva che i genitori avevano fatto davvero di tutto per farli sentire davvero imparentati da quel legame e lui, non voleva deluderli, anche se negli ultimi tempi stava diventando sempre più complesso stare dentro quei limiti imposti dai genitori.
Alzò velocemente gli occhi sulla ragazzina davanti a lui.
Anche ora, come quel primo giorno, pensava fosse diversa dagli altri, ma sta volta riusciva a capire quanto quell'aggettivo fosse dissimile dall'accezione che davano le altre persone, per lui era diversa, straordinaria, bella, per alcuni era solo di un'altra "razza". Negli anni questa cosa era peggiorata, a scuola sempre più frequentemente veniva presa di mira e fatta sentire inferiore, a volte veniva persino presa in giro perché aveva sempre al collo la sua sciarpa e lui, ogni volta, si buttava a capofitto per difenderla, facendo spesso a pugni e rischiando sospensioni e rimproveri. Ma era questo che significava la sciarpa, per lui, e finché lei l'avesse tenuta al collo voleva dire che aveva fede nella promessa di tanti anni fa, che contava su di lui ancora, che non si era arresa. Lui, dal canto suo, aveva promesso, in silenzio, non solo di prendersi cura di lei, ma di difenderla, di farle da scudo, e si ,sarebbe stato disposto a fare anche da arma ogni qual volta lei si fosse sentita con le spalle al muro.
Questo lo aveva deciso il giorno in cui il padre lo aveva portato nella cantina, usata come suo studio, per raccontargli finalmente la storia della loro Mikasa, di come fosse finita nell'orfanotrofio e perché loro avessero deciso di adottarla.
Grazie all'aiuto di molti libri, cercò di far capire al figlio la brutalità umana, dove può portare la paura di ciò che non si conosce e l'ignoranza.
Per giorni, dopo quel racconto, si chiedeva perché mai succedessero cose tanto insensate nel mondo e perché mai la sua, la loro, Mikasa avesse dovuto patire dolori simili.
Sapere che cinque anni prima, in uno stato non troppo lontano dal loro, un'ideologia politica aveva dichiarato guerra ad una cultura, ad una etnia solo perché diversa, lo aveva fatto sentire confuso, da bambino di dodici anni non poteva concepire un odio infondato.
Ora ne aveva quattordici e ancora stentava a credere che quell'ideologia avesse portato alla morte i genitori veri di Mikasa, che l'aveva costretta, insieme ad altri migliaia di bambini, a fuggire in paesi confinanti, con una buona dose di fortuna e a finire in diversi orfanotrofi che si offrirono di aiutarli a trovar loro una casa.
<< Eren, a cosa stai pensando di tanto importante da farti freddare il latte?>>
Venne riportato a tavola dalla voce della madre, scosse la testa e si accorse che Mikasa non era più davanti a lui. Girò la testa per cercarla, ma non era nella stanza.
<< È andata a vestirsi e dovresti andare anche tu.>>
Rimase sorpreso, ma la madre si accorgeva spesso di come lui cercasse l'altra nelle stanze in cui entrava.
Finì velocemente la colazione e si diresse di corsa sulle scale che portavano al corridoio in cui si trovavano le camere da letto.
La sua era dopo quella di Mikasa e la curiosità lo portò a girarsi, una volta li davanti, convinto di trovare come sempre la porta chiusa, ma la trovò socchiusa.
Ora dentro di lui si era accesa nuovamente quell'innata voglia di guardarla, di capire perché si sentiva così attratto dalla sua figura, ora era difficile stare a pensare ai rimproveri del padre, ogni qual volta lo beccava a sbirciarla di nascosto, negli atteggiamenti più innocenti e abituali.
Si avvicinò in silenzio, stando attento a non toccare il legno della porta per evitare scricchiolii o che si aprisse di più e attirasse l'attenzione della ragazza girata di tre quarti.
Quando vide la vestaglia scivolarle lungo le gambe non poté fare a meno di trattenere il fiato.
All'età di dieci, undici anni, ricordava di aver già visto Mikasa senza abiti, solo in intimo, ricordava anche di aver dormito con lei nel lettone dei genitori, poi tutto questo gli era stato tolto.
Infondo Grisha era un medico, conosceva bene la biologia umana, sapeva che Eren avrebbe sviluppato di lì a poco interesse verso la sessualità e l'altro sesso e sapeva altrettanto bene che Mikasa non era la sorella e che non era escluso iniziasse a sviluppare un interesse nei suoi confronti. Per questo aveva deciso di fare il "discorsetto" al figlio, tempo prima, di fargli capire fosse normale sviluppare quel tipo di interesse e di ricerca del piacere, ma che non doveva assolutamente cercarlo nella sorellastra.
Peccato che, pur essendo un medico, era comunque un padre, il discorso lo imbarazzava lo stesso e vedeva quell'imbarazzo anche nel figlio, per questo forse non riuscì ad essere risoluto ed incisivo quanto avrebbe voluto.
Ed ora l'Eren quattordicenne era lì, davanti ad una Mikasa che si stava facendo donna, con solo l'intimo, il fiato corto, il rossore sulle guance e gli occhi lucidi, era davanti a lei con tutta la curiosità di un adolescente, con tutta l'inesperienza in materia, con tremila domande, sul perché provasse quelle sensazioni che non sapeva descrivere ne dare un nome, perché il suo istinto lo portava a voler vedere, sapere, scoprire di più, perché la sua mano senza alcun controllo voleva dare sollievo.
Infondo aveva già sperimentato il "piacere", sapeva già come procurarselo, ma non era mai stato finalizzato a un vero e proprio desiderio.
<< Eren, che fai li?>>
Immediatamente la mano che non aveva neanche iniziato a fare ciò per cui si era mossa, scattó sullo stipite della porta e lui tornò a mettere a fuoco la situazione in cui si trovava.
Se in quel momento fosse salita Carla, la madre, lo avrebbe punito lasciandolo senza cena.
Le parole non gli uscivano, non era mai stato bravo a mentire, neanche con preavviso, figuriamoci per una domanda di sana pianta.
L'unica cosa che riuscì a fare fu correre in bagno, chiudersi la porta alle spalle e bagnarsi il viso con l'acqua fredda.
Nella testa ora aveva il panico, si chiedeva quanto avesse visto Mikasa, da quanto si era accorta di lui e perché sembrasse così naturale.
Sperava davvero che non le fosse apparso troppo strano.
Cosa avrebbero detto i genitori a vederlo in questo stato? Sarebbe stato una grossa delusione per loro, lo sapeva benissimo.
Si sbrigò a lavarsi e a vestirsi, quando scese le scale tentava ancora di nascondere l'imbarazzo tenendo la testa bassa.
<< Mi raccomando, ricordatevi tutto.>> si assicurò la madre, lasciando una carezza ad entrambi, ma mentre Mikasa l'accettò volentieri, Eren si scansò infastidito sbrigandosi a sgattaiolare fuori casa.
<< Va bene mamma.>>
Nel sentire quella frase, detta dalla ragazzina, sbuffò e si accigliò.
L'imbarazzo aveva l'asciato il posto a qualcosa di molto simile al nervoso.
"Mamma", oggi gli aveva dato particolarmente fastidio sentirla usare quella parola.
Camminavano a distanza ravvicinata, ogni tanto lui guardava dalla sua parte per vedere dove fosse e cosa facesse e si accorgeva che spesso lei faceva altrettanto.
<< Cosa volevi prima?>>
Si irrigidì a quella domanda. Non sapeva cosa risponderle.
<< Io...l'ho dimenticato.>> tagliò corto tenendo lo sguardo basso.
<< Non sai mentire, ti diventano le orecchie rosse, lo dice sempre la mamma.>>
"Mamma". L'aveva detto di nuovo.
Quand'è che aveva iniziato a farci tanto caso a quante volte lo utilizzasse?
<< Non mi scocciare.>>
Non sapeva se quel tono così aspro era nato dalla ferita del suo orgoglio o dal comportamento di lei, da come le risultasse naturale chiamare "mamma" sua madre.
Lei non era figlia di sua madre.
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Tatakae
FanfictionUna vita diversa, o quasi, un conflitto mondiale, una guerra interna, orgoglio e sentimenti non detti, paura, un forte senso di responsabilità. Basterà il sacrificio di una sola persona?