Promesse

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Avevano diciassette anni ormai, avevano passato altri tre anni della loro vita insieme, tra alti e bassi, tra giornate spensierate passate scherzando o senza fare nulla e altre in cui il peso dei pensieri schiacciava il cuore del ragazzo e lo costringeva in un silenzio carico di astio.
Sapeva non fosse colpa dei genitori ma in quei giorni li detestava, in quei giorni si permetteva di sognare di disubbidire, di chiedersi come sarebbe andata se, invece di trattenersi, avesse ceduto e fosse corso da Mikasa entrando nella sua camera, se l'avesse baciata, se addirittura si fosse dichiarato.
Aveva diciassette anni e da tempo si era arreso, aveva ammesso i suoi sentimenti, non aveva senso nasconderli a se stesso, oltre che al mondo intero.
Non sapeva esattamente quanto profondi fossero, ma c'erano e si facevano ingombranti ogni qual volta i genitori li chiamavano "fratelli", ogni volta che qualche ragazzo si avvicinava a Mikasa e lui non poteva dare di matto, ogni volta che lei si ostinava a chiamare "mamma" e "papà" i genitori.
Si staccò dal muro della scuola, si sistemò la maglietta e si incamminò verso la classe, testa bassa,
Oggi era decisamente uno di quei giorni in cui non voleva doverla vedere troppo.
<< Eren, vieni, corri!>>
La voce di Armin lo raggiunse prima dell'amico stesso.
Il biondo, con il fiatone, si era fermato davanti a lui e lo guardava con qualcosa che ricordava il panico negli occhi.
<< Mikasa...>>
Bastò quel nome a farlo scattare nel corridoio, spintonando i ragazzi che aspettavano l'inizio delle lezioni fuori dalle classi.
Arrivò davanti a Sasha, un'amica di Mikasa, in lacrime, segno che stava accadendo qualcosa di peggio delle altre volte.
Si guardò intorno, come al solito, i professori si tenevano ben alla larga da situazioni simili.
<< Eren, è...>> singhiozzò l'amica.
<< Dov'è?! Dov'è Mikasa?!>> la scosse per le spalle e la ragazza indicò con braccio tremante la porta del bagno.
Quasi come se fosse un burattino mosso violentemente da dei fili invisibili, si precipitò dove la ragazza aveva indicato.
Spalancò con irruenza la porta, il rumore che fece quasi nascose una frase che venne strillata con scherno. "Schifosa orientale".
Dopo il rumore della porta, il bagno venne invaso dal silenzio, per alcuni istanti, poi un tonfo e subito dopo il rumore di un corpo che viene sbattuto con ira contro un muro di piastrelle. Tutto fu estremamente veloce, il ragazzo aveva preso per il colletto della maglia la figura in piedi che gli dava le spalle, senza preoccuparsi di capire chi fosse e se avesse o meno speranze di combattere senza prendercele.
<< Eren!>> urlò Mikasa con tutta la preoccupazione che aveva nella voce.
<< Bastardo nazionalista, rimangiati quello che hai detto!>>  Tuonò la voce del ragazzo con il volto a pochi centimetri da quello dell'altro che teneva gli occhi serrati e i genti digrignati, mentre si sentiva l'avambraccio premere con forza contro il collo e si rendeva conto di toccare il pavimento solo con le punte delle scarpe.
<< Eren fermati!>> la voce risoluta della ragazza dietro di lui lo fece infuriare ancora di più.
<< Codardo schifoso!>> urlò di nuovo contro il ragazzo che continuava a tacere e si dimenava cercando di allontanare il braccio che gli impediva di respirare.
In un attimo di lucidità, Eren, si rese conto di starlo per strozzare e decise di togliere il braccio dal collo, ma non di lasciargli la maglietta, né di farlo andare via incolume.
Non appena il ragazzo toccò saldamente con i piedi a terra, Eren si scagliò contro di lui prendendolo a pugni, proprio sul centro della faccia.
Non sentì nemmeno le braccia di Mikasa che cercavano di trattenerlo.
<< Eren, così lo ammazzi!>> sta volta non era stata lei a parlare, ma non gli importava, era accecato dalla rabbia e voleva solo continuare a colpire forte.
Altre braccia si misero a tirarlo via, riuscendoci, ma solo quando finalmente, affannato e con il corpo dell'altro in piedi solo quasi grazie a lui, decise di lasciare la presa.
<< Eren ti sospenderanno!>> disse nervoso Armin.
<< Lo facessero, non voglio stare in questa stupida scuola.>> con disinvoltura si avvicinò al lavandino per pulirsi le mani dal sangue.
<< Eren...>>
Finalmente tornava a parlare lei, l'unica di cui gli interessava l'opinione. Fremeva sperando di ricevere approvazione.
<< Eren...non voglio che tu faccia ancora cose del genere.>>
Insieme alla sua voce, sentì la sua mano sul braccio, ma gli diede fastidio, lei quando si comportava così gli dava fastidio, così se la scrollò di dosso.
Quando si voltò vide Armin e Connie che tiravano su il ragazzo, con il viso pieno di sangue. I lamenti rimbombavano nel bagno, poi nel corridoio.
<< Perché non avrei dovuto?>> sussurrò, il tono più cupo e duro di quanto avrebbe voluto.
<< Perché ti metterai nei guai, ti farai cacciare o peggio, potrebbero rimetterci anche i tuoi genitori, il lavoro di tuo padre.>> lo costrinse a voltarsi verso di se. << Non puoi farti vedere mentre difendi una...una come me.>>
Eren strinse i pugni, la mano con il quale aveva colpito il coetaneo faceva dannatamente male, ma non quanto le parole della ragazza.
<< Una come te, Mikasa? >> sputò irritato e schifato dal comportamento della sorellastra.
<< Eren...>>
Non la fece finire di parlare, aveva perso anche troppo tempo, lei non gli avrebbe mai dato ragione e lui si stava innervosendo davvero troppo.
Quando uscì dalla porta del bagno, vide davanti a sé una sfilza di professori e personale scolastico. Sorrise strafottente, li vedeva codardi che si guardavano le scarpe, che puntavano gli occhi altrove. Molti la pensavano come lui ma se la facevano sotto a dimostrarlo, molti non potevano ancora schierarsi politicamente.
Provò il vomito anche verso tutti i compagni che erano rimasti a guardare mentre Mikasa era stata portata in bagno, insultata e forse picchiata. In realtà, quest'ultima cosa non voleva neanche sapere se fosse accaduta o meno, temeva davvero la sua reazione.
Mentre usciva dalla struttura, con le mani nelle tasche, pensava a come erano capitolate le cose negli ultimi anni, da come si era passato da un commento ignorante di un bambino a situazioni in cui gli orientali venivano considerati meno di zero.
Non poteva credere che l'ideologia raccontata dal padre, quella da cui lo aveva messo in guardia, avesse messo radici proprio nella sua città.
Pensò a Mikasa, al desiderio di non farle più provare il dolore vissuto da bambina, ma lei nonostante tutto pensava ancora a lui, come se fosse lui quello da proteggere.
Allora tanto valeva togliersi quella dannata sciarpa dal collo, tanto valeva che la gettasse via, che la reputasse insignificante perfino.
Tanto valeva che gli dicesse di non credere più in lui, che non credeva più nella promessa che lui le aveva fatto tempo fa.
Camminò per ore, stando ben attento a non passare nei luoghi in cui avrebbe potuto incrociare conoscenti dei genitori o loro direttamente.
Camminò fino a fermarsi davanti ad un bar, uno di quelli in cui erano soliti fermarsi spesso con Armin, Mikasa, Connie e Sasha, si fermò a guardare la porta dell'ingresso, notando subito ci fosse qualcosa in più oltre il solito vecchio menù.
Svettava, incorniciato dal legno, un cartello appeso con su scritto "vietato l'ingresso agli orientali".
Senza pensarci lo afferrò e con un gesto secco e deciso lo staccò per poi scaraventarlo a terra per poterlo rompere.
Il proprietario non ebbe neanche il tempo di vedere cosa fosse successo che lui si era già allontanato, disperdendosi tra la gente.

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