La ragazza con gli occhiali era ferma davanti ad un piccolo portoncino dall'aria resistente e robusta. La forma arrotondata dava quasi l'idea fosse l'entrata di una locanda caratteristica, gli intarsi in ferro battuto la rendevano affidabile e particolare al tempo stesso. Era incassato nel muro di un palazzo fatiscente, con mattoni di tufo a vista, qualcuno più scheggiato di un altro.
Lo sguardo di Eren sembrava voler studiare ogni minimo particolare, persino come la poca luce si scontrasse con il legno facendolo apparire, solo in quel punto specifico, più chiaro di quanto si aspettasse.
La donna coperta da un mantello nero interruppe il silenzio bussando due volte al centro della porta, attese qualche secondo prima di bussare una terza volta.
Eren pensò che come stratagemma di riconoscimento fosse davvero scontato e blando.
La serratura scattò con un rumore sgradevole grazie a qualcuno dall'altra parte, ma la porta non si aprì. Ci pensò la sua accompagnatrice a tirare la porta verso di se, accompagnando il fastidioso cigolio con un passo indietro.
<< Finalmente quattr'occhi.>>
Una voce sovrastò quel cigolio infernale.
Con gli occhi, senza fare movimenti che avrebbero potuto tradire la sua impazienza, cercò di guardare oltre la schiena della compagna per vedere da dove provenisse quella voce tanto profonda e severa. Purtroppo vide solo un'altra schiena. L'uomo si era già girato permettendogli di vedere solo la sua statura e i suoi capelli neri.
La castana entrando fece un gesto della mano ad Eren invitandolo a seguirla. Non si era mai voltata verso di lui, neanche mentre il ragazzo si fermava per richiudersi la porta alle spalle, notando quanto fosse pesante, neanche mentre era a metà dell'angusta scalinata e lui solo al primo gradino.
Il corridoio della scala era stretto e partiva subito dopo l'ingresso, le pareti erano di tufo, senza alcun tipo di rivestimento, le scale sembravano di pietra, erano ripide, nessun gradino era uguale all'altro, sembravano essere stati fatti in fretta e furia e senza badare se pendessero o se presentassero imperfezioni dove si poggiava il piede.
Il ragazzo doveva stare attento ad ogni passo, la poca luce non aiutava e la sua ombra era un impedimento ancora più grande. Pensò che una persona con il piede più lungo non le avrebbe mai potute scendere quelle scale.
Il braccio della ragazza, alla fine della rampa, lo bloccò. Bastò stenderlo lateralmente, senza neanche toccarlo.
<< Rilassati Eren, ora ci penso io.>> voltò lateralmente la testa per riuscire a guardarlo e sorridergli, come a volerlo incoraggiare.
Fece qualche passo avanti e si tolse l'indumento con il quale si era coperta le spalle fino a quel momento.
Alla fine delle scale, sul lato di destra, c'era un piccolo arco, simile a quello in cui era incastrato il portoncino, che si affacciava su una vasta sala, ma questo il ragazzo non poteva vederlo dalla sua posizione, scorgeva solo la luce artificiale e le prima file di tavelle che creavano disegni triangolari sul pavimento.
<< Hanji, ma che fine avevi fatto?>>
Eren sentì la voce di un uomo accogliere l'entrata di quella che ora aveva capito si chiamasse Hanji.
<< Mentre voi poltrivate qui, Erd, io mi sono data da fare per la squadra.>> disse in tono fiero.
<< Dov'è questo moccioso di cui ci hai parlato tanto?>>
La voce era la stessa che li aveva accolti all'entrata.
Eren era sempre più impaziente di vedere le persone per il quale nutriva stima senza neanche conoscerle. Aveva le mani sudate mentre cercava di sistemarsi i capelli troppo lunghi per essere ordinati ma troppo corti per essere legati, non riusciva neanche a stare fermo e spostava il peso da una gamba all'altra.
<< Sono qui per prendermi tutta la responsabilità sul ragazzo che mi impegno a presentare.>> disse solennemente, portando una mano sul petto in modo teatrale. << Eren Jaeger.>> si fece di lato, incoraggiando con gesti della mano il ragazzo dietro di sé a farsi avanti.
Eren rimase qualche secondo a fissare oltre Hanji, perso com'era nei suoi pensieri.
Come sarebbe stato più giusto presentarsi?
Cosa avrebbe dovuto dire?
Conoscevano già il suo cognome?
<< Jaeger? Ma non sarà mica il dottore.>>
Sentì dire levandosi subito il dubbio.
Sospirò. Era arrivato il momento che aspettava da tempo e non poteva rimanere lì impalato a far aspettare quella gente.
<< Sono suo figlio.>> disse varcando l'arco, sotto lo sguardo attento e giudice dei presenti, cercando di mantenere la voce ferma, cercando di imitare il padre.
<< Il figlio del dottore?>>
<< Ma che ci fa un borghese qui?>>
Sentiva il vociare intorno a lui, ovviamente molte di quelle persone oltre il nome non sapevano nulla di lui o della sua famiglia, altrimenti avrebbero capito fin da subito perché si trovasse lì e le loro supposizioni sbagliate.
<< Tacete branco di idioti. Perché mai un borghese non dovrebbe essere qui? Questa cosa ha a che fare con la classe sociale?>>
Di nuovo quella voce.
Eren si voltò per vedere da chi provenisse, per vederlo in faccia finalmente.
Si incamminava, avanzando verso di lui, un uomo, alto poco più di un metro e sessanta, capelli corvini, come la sua Mikasa pensò, un taglio militare ben curato con delle ciocche che si aprivano per lasciar spazio all'espressione seria e al limite dell'irritazione che veniva accentuata dagli occhi piccoli e chiari.
<< Non siamo più considerati parte della classe borghese.>> si intromise Eren, tenendo lo sguardo all'uomo che si stava avvicinando a lui.
<< Ho sentito che tuo padre sta perdendo il lavoro.>> lo guardò studiandolo da cima a fondo, girandogli intorno come un cane da fiuto.
<< Levi.>> disse in tono di rimprovero la ragazza con gli occhiali.
Quindi quello era il suo nome?
Gli si addiceva un nome corto.
<< Si, molti non si affidano più alle sue cure, di settimana in settimana il suo lavoro diminuisce.>> rispondeva come se fosse sotto interrogatorio.
<< E sai il perché, ragazzino?>>
Si sentiva messo alla prova, ma pensava gli venisse chiesto qualcosa di più difficile.
<< Perché i miei adottarono...perché ho una...>>
Non riusciva proprio a dirlo.
Deglutì con fatica e prese fiato. Non poteva bloccarsi adesso.
<< Ho una sorella adottiva di origini asiatiche.>>
Era da davvero tanto tempo che non la chiamava "sorella" di fronte ad altra gente.
Levi si fermò dal girargli intorno e dall'indagare con lo sguardo tutta la sua figura. Rimase davanti a lui, le mani giunte dietro la schiena.
<< Perché sei qui?>> chiese aspramente.
<< A questo rispondo io.>> si intromise Hanji, rimasta spettatrice fino a quel momento.
Il moro si voltò verso di lei, assottigliando ancora di più lo sguardo nel constatare che lei non stava più prestando attenzione a lui ma si stava rivolgendo all'intera sala, dandogli persino le spalle.
<< Ho passato ore a parlare con questo ragazzo qualche sera fa, lui ci stava già cercando, è stata una fortuna averlo incontrato. Mi ha parlato della sua storia e credo che le sue motivazioni siano molto valide. La sorella è a rischio ovunque vada, il padre sta perdendo il lavoro e persino la madre rischia di essere licenziata nella locanda in cui fa la cameriera.>>
Agli occhi di Eren sembrava un vero e proprio comizio, o meglio ancora, un'arringa di un avvocato che cerca di convincere la giuria.
<< Tutti hanno motivazioni più o meno simili, Hanji, io voglio sapere perché lui è qui, la vera motivazione.>> parlò nuovamente il moro, sembrava ancora più infastidito.
Si voltò nuovamente verso Eren che venne preso alla sprovvista da quello sguardo ora così profondo.
<< Quale è la motivazione dietro quello sguardo, moccioso?>> incrociò le braccia al petto.
Eren aveva capito perfettamente cosa intendesse dire. Lui non voleva la superficialità dietro un "per la mia famiglia", lui voleva il rancore, voleva la rivalsa, voleva la disperazione, il dolore, lui cercava l'odio, ma voleva anche il senso di giustizia e la speranza che nasceva dall'oppressione ed Eren ne aveva da vendere e lo avrebbe accontentato.
<< Io sono qui per farla pagare ad ogni stronzo che ha fatto sentire Mikasa una straniera in casa sua. Sono qui per vendicare ogni volta che non ha potuto vivere la vita che la nostra famiglia le aveva promesso.>> sospirò, era difficile liberare i sentimenti dopo averli tenuti segregati per anni.
<< Sono qui perché proteggerla è la sola cosa che posso fare...perché non voglio più vederla fare un passo indietro davanti alla porta di un locale di merda dopo aver letto un cartello con scritto che non può entrare. Perché non voglio vedere i suoi occhi tristi. Sono qui perché nessuno, finché campo, deve azzardarsi a torcerle anche un solo capello.>> sapeva di starsi rendendo assolutamente ridicolo e che le sue motivazioni erano egoistiche sé messe a confronto con ciò che stava accadendo nel paese.
<< Sono qui perché darei la mia vita per il suo futuro.>> concluse.
<< Sicuro che sia solo una sorella?>> sentì la frase provenire dalla sala, un tono divertito che lo fece arrossire.
<< Lei...lei è molto importante per me e voglio darle il futuro che si merita. Non perdonerò mai chi ha provato o proverà a farle del male. Se è l'odio a dover scacciare l'odio, io ne ho. Se è il rancore a dover creare le basi per una nuova speranza, io ne ho.>> disse a testa bassa per nascondere il viso arrossato da quella domanda.
<< L'amore?>>
Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. Era Hanji che lo guardava con ammirazione e compassione.
L'amore? Che se ne facevano dell'amore in guerra?
L'amore...anche quello però ne aveva eccome.
L'amore serve a proteggere.
<< La difenderò a costo della mia vita. Difenderò questo paese, questi ideali, difenderò con amore anche chi non conosco se servisse a creare un futuro per lei.>> disse guardando gli occhi castani della donna che ora sembravano sorridergli fieri.
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Tatakae
FanfictionUna vita diversa, o quasi, un conflitto mondiale, una guerra interna, orgoglio e sentimenti non detti, paura, un forte senso di responsabilità. Basterà il sacrificio di una sola persona?