Città nascosta

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D'un tratto sentì una porta non troppo lontana chiudersi, da dove si trovava poteva benissimo essere quella di casa sua. Aderì al muro fatiscente temendo che qualcuno lo stesse cercando.
Era difficile distinguere i passi tra il rumore della via che già si era riempita di persone, così, per capire, voltò il capo dove iniziava il vicolo.
I capelli neri si muovevano per la leggera brezza di fine marzo, la testa si voltava a destra e sinistra mostrandogli un'espressione preoccupata, gli occhi grigi che cercavano tra la gente, impazienti.
Perché era uscita a cercarlo? Glielo aveva chiesto la madre? Magari aveva solo fatto finta di rassegnarsi a quella decisione.
Ogni volta che lei faceva qualcosa di totalmente avventato e inaspettato a lui cadeva ogni difesa, come adesso. Sembrava quasi che lei volesse chiedergli di restare, nonostante tutto e lui avrebbe anche accettato, stupido com'era, bastava solo che lei glielo chiedesse.
Era ridicolo, incoerente, un idiota con un sentimento troppo grande da poter gestire, a cui era stata messa davanti una situazione molto più grande di lui. Per questo aveva vacillato tanto, per questo aveva osato e poi si era ritratto, per questo era ripassato così tanto sui suoi passi, fino a confonderla, fino a confondersi.
Ora non sapeva neanche più lui come fosse più giusto comportarsi.
Era passato dal non volerne parlare a nessuno a dirlo a due persone in meno di 24 ore, dal limitare le loro interazioni a quasi baciarla, l'aveva allontanata di nuovo per poi farsi beccare mentre si dava del piacere e anche lì aveva rischiato di mandare all'aria tutto, era addirittura andato a letto con Historia per troncare qualsiasi cosa ma quella stessa sera l'aveva baciata di nascosto e si era addormentato nel letto con lei. Ed ora era qui, indeciso se mandare o meno a puttane l'ennesimo tentativo.
Sapeva benissimo quale fosse il problema, sapeva che la presenza della ragazza nella sua vita era il mondo stesso. Niente sarebbe esistito se non ci fosse stata lei. Ma era proprio questo a non andargli giù. Per colpa di quella situazione sentiva di aver perso anni di vita, si era limitato ad esistere, sembrava essere sopravvissuto solo in relazione a questo suo amore e al volere dei genitori, ma lui voleva essere libero di vivere davvero, di vedere oltre quel muro che lo aveva contenuto per tutta la vita.
Per questo non poteva continuare ad amarla di nascosto, per questo lei non poteva neanche salvarlo.
I suoi pensieri vennero interrotti dalla ragazza che chiamava il suo nome per la via.
I vetri della sua voce rotta parvero centrare perfettamente il suo cuore.
La vide allontanarsi ancora di più e si preoccupò terribilmente a vederla andare sola chissà dove, ma una forza dentro di lui gli imponeva di restare dov'era.
Ci pensò il padre, affacciatosi dalla porta, la richiamò autoritario.
Eren si nascose ancora meglio mentre Mikasa tornava indietro, ma riuscì comunque a sentire i suoi singhiozzi.
Decise di cominciare ad avviarsi, una volta sentito il portone chiudersi, sta volta sapeva dove andare a cercare riparo.
Historia sarebbe stata lì pronta ad aiutarlo, sempre.
Sapeva di star fuggendo di nuovo, ma l'idea di Mikasa con il cuore spezzato a causa sua aveva iniziato a tormentarlo e lui non voleva restare solo con quell'immagine.
Non posso affrontare il tuo cuore spezzato.
Neanche cercando di essere ancora meno vigliacco ci sarebbe riuscito.
Arrivò in breve tempo a casa dell'amica, bussò frenetico al portone rovinato e aspettò impaziente con le mani nelle tasche ciondolando avanti e indietro sui talloni.
In tutto questo non aveva neanche avuto il pensiero di legarsi i capelli, così li vedeva oscillarseli ai lati del viso. Si chiese quanto fossero in disordine.
Quando la porta si aprì svelò la ragazza bionda, scalza, con una coda disordinata e il viso con accora il segno del cuscino impresso.
<< Ti ho svegliata?>>

I vicoli stretti sembravano chiudersi su di lui come a volergli togliere l'aria, mattoni grigi e logori appesantivano l'ambiente, le travi in legno a vista di case difficilmente immaginabili abitabili erano l'unico sprazzo di colore, anche se tenue, anche se inscurite dall'umidità. Sembrava come se la "città nascosta" volesse inghiottire ogni forma di vita al suo interno.
Eren pensò che più di "città nascosta" si addicesse "città che vuole nascondere". E sicuramente era per questo che il gruppo che cercava si trovava in questa parte di territorio.
Il nome a quei borghi era stato dato però molto tempo prima che se ne servissero persone del genere, da che Eren aveva memoria, sempre l'aveva sentita appellata in quel modo.
Teneva lo sguardo basso, sapeva quanto fosse pericoloso incrociare lo sguardo con sconosciuti da queste parti. Doveva passare inosservato.
Vedeva con la coda dell'occhio ogni tanto dei passanti, alcuni avevano il passo incerto, altri barcollante, altri fin troppo sicuro. Tacchetti di donne picchiettavano la strada, come un richiamo, come a voler attirare l'attenzione.
La pavimentazione sconnessa, con buche e fogne malamente chiuse, rendeva difficile anche camminare senza osservare dove si mettevano i piedi.
Lui, figlio di un medico, figlio del medico più stimato, si era ritrovato a camminare per un posto simile.
La puzza stagnante peggiorava di metro in metro, un passo dopo l'altro e quasi se la sentiva addosso, nei capelli, impregnava i suoi vestiti. Gli veniva da vomitare.
Neanche il cielo li aveva lo stesso colore. Era grigio, nonostante non si vedessero nuvole, era ricoperto dai fumi che uscivano dai comignoli di case e locali, il fumo di sigari, pipe e sigarette di gente per la strada aiutava ad impegnare l'aria, a renderla densa e a tratti irrespirabile, alzandosi quel fumo si andava ad aggiungere alla cappa creata da quelle costruzioni tanto opprimenti.
Da quanto non vedevano la luce del sole qui? Si chiese il ragazzo, continuando a mettere un passo dopo l'altro.
Ogni tanto, da un lato o dall'altro della via, giungeva a lui la cagnara di una locanda, gente che litigava, urla di mariti che uscivano dalle finestre. Quel posto era talmente rumoroso da dargli i nervi.
Altro che città nascosta, come nascondi un bordello simile?
<< Da questa parte.>>
Si voltò in direzione della voce che si era fatta udire nonostante non fosse un tono troppo alto, nonostante il caos che la circondava. Forse ad aver attirato la sua attenzione era stata l'averla ricollegata a qualcuno di conosciuto, in quel posto così estraneo.
Assottigliò lo sguardo per scrutare meglio nel vicolo buio alla sua sinistra.
Era lei.
La donna sorrideva gentile, cozzando con tutto il contesto, sembrava persino divertita. Gli occhiali dalle lenti di forma quadrata alteravano la grandezza degli occhi leggermente spioventi e ne nascondevano la profondità. Per via dell'oscurità neanche il colore era ben definito, ma Eren li ricordava di un banalissimo castano, così come i capelli tenuti legati in una cosa che le alzava solamente le ciocche dietro, lasciando quelle davanti completamente libere di muoversi, se mai in quel posto così tumulato ci fosse dell'aria.
Gli occhiali dalla montatura fine poggiavano su un naso dalla forma poco delicata, ma che nel complesso su di lei stava bene.
Quanto era più grande di lui? Di altezza non molto, forse neanche dieci centimetri. Ma di età? Sicuro era una di quelle persone che dimostrano più anni di quanti ne abbiano. Forse anche per via delle esperienze.
Non ne sapeva ancora neanche il nome, nonostante ci avesse trascorso molto tempo e lei di lui sapesse tutto ormai.
La vide dargli le spalle ed addentrarsi ancora più in profondità nel vicolo. Aspettò qualche secondo, guardandosi intorno per essere certo che nessuno stesse guardando nella sua direzione, poi la seguì, in silenzio.
Si stavano allontanando sempre di più dai rumorosi abitanti di quella zona, ogni tanto ai piedi dei muri vedevano ratti scappare, era l'unico rumore oltre ai loro passi.
La ragazza si fermò di colpo costringendo Eren a fare altrettanto.
<< Siamo arrivati. Mi raccomando moccioso.>>
Quella frase, quel tono. Venne trasportato con i ricordi a quando il padre, davanti il portone orribile di quell'orfanotrofio, si era raccomandato con lui di comportarsi bene davanti a quella che sarebbe diventata la sorella.
Come allora, si limitò ad abbassare il capo in segno di assenso.

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