𝐶𝑜𝑠𝑎 𝑡𝑖 𝘩𝑎 𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑡𝑎 𝑞𝑢𝑖?

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Così la sera siamo esattamente ad una festa, una di quelle che forse mi so pure stancato di frequentare. C’è alcool, musica, droga, donne. C’è tutto ma non ci sono io.
Queste feste mi spengono il cervello, per poi riaccenderlo solo il giorno dopo, in una casa tutto da solo, con l’alcool che mi fa sentire malinconico e con tutto che mi urla che mi sento incompleto.

Edoardo e Valentina si buttano in pista,  sembrano la stessa faccia della stessa medaglia. Sono senza pensieri, senza freni.
Io resto ad osservare tutta questa gente che per stanotte finge di stare bene, con il mio bicchiere tra le mani.

“Sei musone anche in discoteca?” Mi volto e Morena mi sta di fronte.
“No, è che mi annoio.” Confido abbozzando un sorriso.

“La verità? Anche io.” Sbuffa. “Ho accettato per far contento mio fratello.” Mi spiega e si porta la cannuccia alla bocca, si guarda intorno come a cercare qualcosa da fare.

“Odio guardare questa gente che finge di divertirsi per poi tornare alla propria malinconia domani.” Mi spiega ridendo e sembra quasi che abbia ascoltato i miei pensieri, così resto un attimo intontito.

Mi metto a fissarla e senza nemmeno pensare troppo propongo una soluzione.
“Hai fame?” Le chiedo.

“Come?” Giocherella con la cannuccia.

“Se hai fame c’è un paninaro qua vicino.” Faccio spallucce.

Morena annuisce e smette di prendersela con la cannuccia, le sue labbra si aprono in un sorriso.
“Ma sì, andiamo.” Dice appena e posa il bicchiere, così ci facciamo largo tra la folla fino all’uscita.

Arriviamo al camioncino dove prendo due panini e due birre e ci sediamo sulle panche in legno.

“Non ce la facevo più con quel trambusto.” Confessa e addenta il panino, mastica compostamente.

“Io sono pieno ormai di queste serate.” Le dico fissandola.

“Che c’è? Ho qualcosa tra i denti?” Mi chiede facendomi ridere, così calo il viso.

“No, scusa. Mi stavo solo chiedendo come mai sei ritornata da Londra.”

“Si avvicina il Natale, mia madre ci voleva tutti riuniti.” Spiega e un boccolo le cade sul viso, se lo sposta dietro e continua a mangiare.

“Uh, come quelle commedie romantiche tutte uguali in cui il figliol prodigo ritorna a riportare la magia del Natale perduta.” La prendo in giro.

Ride, butta indietro la testa e riprende poi a guardarmi.
“Esattamente così.” Annuisce. “Ma sono contenta di esser tornata, mi mancava l’aria di casa.”
Si mette ad aspirare ad occhi chiusi, coperta solo del suo mini vestitino da discoteca. Aspira con forza come se volesse riempirsi dell’aria di Roma, intrappolarla per sempre dentro di sé e portarsela via a Londra.

“Ammazza che freddino stasera.” Si chiude in sé e incrocia le braccia, cerca di scaldarsi sfregandosi.

Tolgo così la giacca, gliela appoggio sulle spalle e la vedo restituirmi una risata.
“Questo si che è da commedia stereotipata.” Mi dice e fa ridere anche me.

“Posso lasciarti a gelare se vuoi.” Metto su una faccia da schiaffi e fingo di riprendermi la giacca, così se la tiene stretta addosso.

“No, non posso ammalarmi, altrimenti niente magia del Natale per mia mamma.” Mi spiega sorridente, così riprendo a fissarla. Devo avere una faccia da scemo mentre lo faccio.

“Che c’è?” Chiede ridendo nuovamente, come per dirmi “smettila brutto depravato di guardarmi cosi”.

“Te lo ricordi quante botte ci siamo dati da bambini?” Le chiedo spontaneamente.

“Come dimenticarlo.” Dice e ride. “Una volta mi hai quasi spaccato un braccio.”

“Scusa, non ti consideravo una femmina.” Dico tutto d’un fiato, poi me ne pento. “Non…non intendevo.” Mi gratto la nuca.

“Ah no, brutto stronzo?” Mi colpisce il petto giocosamente.

“Nel senso che per me eri una compagnetta come lo erano anche i maschi, non pensavo di non poter fare a botte con te solo perché sei una femmina.” Le spiego con la stessa innocenza di quando ero bambino.

“Mh, e quando mi hai dato quel bacio nemmeno mi consideravi una femmina?” Mi dice con aria soddisfatta, mi ha sferrato un colpo. Si mette a fissarmi con aria di sfida, come a volermi dire “e ora come te ne esci?”

“Te lo ricordi ancora?” Rido imbarazzato.

Annuisce e si alza dalla panca, si mette di fronte a me a fissarmi.

“Come dimenticarlo? Mio fratello voleva spaccarti la faccia, a me stavi talmente antipatico che avrei voluto staccarmi le labbra.” Spiega gesticolando, intanto calo il viso imbarazzato e mi passo la lingua sulle labbra. Mantengo un sorriso scemo.

“Dai, eravamo due bambini.” Continua Morena, come se avesse appena toccato con mano il mio imbarazzo.

“Sì, diciamo che io mi sono fatto coraggio e tu in tutta risposta hai scelto Francesco, te lo ricordi? Quello della casa a 2 piani poco distante dalla mia.” Continuo a rammentare i nostri pomeriggi, quando bastava un pallone, due ginocchia sbucciate, un po' di sole e qualche piccolo dramma per sentirci completi.

“Sì.” Morena ride di gusto, getta prima in giù la testa e poi all’indietro, con una mano continua a tenersi la mia giacca sulle spalle.

“Ti ho odiata per anni.” Confesso ancora con il sorriso.

“E mi odi ancora?” Mi chiede facendosi seria, stavolta è lei che si mette a fissare me.

Deglutisco, mi è sempre stata antipatica. Forse perché la trovavo inarrivabile, forse perché è sempre riuscita in qualsiasi cosa facesse.
L’ho sempre odiata e credo di odiarla anche ora, che si lascia guardare come una bella opera d’arte, mi sta di fronte così perfetta. La odio perché da quando l’ho rivista stamattina nell’aeroporto ho sentito un turbinio dentro.
Ma cosa posso mai dirle? Che la trovo sexy? Che ci scoperei volentieri e la gettarei via come una bella bambola usata?
Perché è questo che faccio io, non mi so legare, non voglio catene.
Ma non posso farlo, non con lei, anche se mi sta seduta davanti con le cosce scoperte e gliele vorrei aprire, anche se si tiene aggrappata alla mia giacca come vorrei si aggrappasse al mio collo mentre ci diamo l’uno all’altra.
Ma no, Morè, non ti dirò niente di tutto questo.

“Certo che no, perché dovrei?” Fiato appena e studio i particolari del suo viso.

“Menomale.” La vedo quasi maliziosa, si siede accavallando le gambe coperte dai collant con i glitter. Deglutisco e sposto lo sguardo, devo rinsavire, Edoardo mi ammazza.

“Oh, vi abbiamo cercati per tutta Roma.” Eccolo che arriva insieme a Valentina, arriva al momento giusto, come a dire alla mia mente di non fare cazzate. “Ma che se va via così? Senza di niente?” Ci sgrida come se avessimo 7 anni.

“Edoà, non vi abbiamo più visti, ce stavamo ad annoià, ci è presa ‘na fame.” Spiego e mi discolpo come per paura che nei miei occhi possano leggersi i miei pensieri.

Non stavo pensando di spogliare tua sorella, Edoà, di farla mia. Di sentirmi per una notte il Re delle sue cosce. E gettarla via. No, niente de tutto ciò.

“Ci avete fatto preoccupare.” Valentina continua.
“C’abbiamo 30 anni eh, mica du pischelli.” Morena quasi li prende in giro, si affianca a Valentina.

“Annamo ‘a dormì, va.” Edoardo ci richiama all’ordine.

𝑆𝑇𝑈𝑃𝐼𝐷𝐼 𝑅𝐴𝐺𝐴𝑍𝑍𝐼Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora