CAPITOLO 13

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La camera senza Hope non era la stessa. I raggi della luna entravano dalla finestra e riflettevano la loro luce sul suo letto vuoto, rendendo la sua assenza ancora più straziante. Fissai per qualche istante le coperte perfettamente intatte la sua vestaglia era perfettamente piegata sul suo cuscino. Mi voltai per vedere l'orario dalla mia sveglia sul comodino. Erano le 03:45. Tirai un forte respiro e iniziai a fissare senza pace il soffitto. Non riuscivo a prendere sonno. Ero preoccupata per lei. Chi aveva potuto farle del male e chi era quell'uomo morto che era con lei? La mia mente iniziò a vagare senza tregua e immagini frastagliate di quello che avevo visto quella sera iniziarono a farsi spazio nella mia testa, cercando inutilmente di unire tutti i pezzi. Quel corpo non corrispondeva minimamente all'uomo che mi aveva descritto lei prima di uscire dalla stanza. Non lo avevo visto in viso per via del lenzuolo che lo ricopriva quando ero piombata li, ma il mio istinto mi tormentava con l'idea che a quel famoso appuntamento, non si era presentato nessun padre di famiglia viscido, ma semplicemente un bastardo, che era andato li con l'intento di ucciderla o almeno di farle molto male. Mi girai nuovamente nel letto e ricontrollai l'orario. Le 03:49. Stanca di stare li sbuffai e decisi di alzarmi. Era davvero inutile continuare a stare sdraiata se tanto non riuscivo a prendere sonno. Cominciai a camminare senza sosta per la stanza con la mia testa che fave troppo rumore. Dylan non era ancora tornato e la cosa non mi tranquillizzava per niente. Inciampai leggermente nella mia borsetta, che avevo lasciato distrattamente per terra di fianco al letto e il fogliettino grigio scivolò fuori. Lo raccolsi e lo aprì nuovamente, sentendo nuovamente il mio cuore fare un tonfo.

"E' stato bello vederti Bambi"

Quel ragazzo non era cosciente del casino in cui mi stava cacciando, ma non era il momento giusto per pensarci. Ricacciai il foglietto nella borsa chiudendola con la zip. Domani lo avrei buttato. Non potevo rischiare con Dylan, non ne valeva la pena. Per di più, non sapevo neppure il suo nome e quel nomignolo che mi aveva affibiato mi mandava fuori di testa. Perché mi chiamava Bambi? Chi mai gli aveva dato una tale confidenza? Riguardai per l'ultima volta l'orario. Le 03:55. Basta, ero troppo stravolta e agitata per continuare a stare sveglia, quando il tempo pareva prendermi in giro non passando mai. Lasciai cadere la borsa sul letto e decisi di scendere in cucina per farmi una camomilla. Chiusi la porta alle mie spalle e attraversai il lungo corridoio che separava la mia camera con le scale che portavano al piano inferiore e una volta arrivata nella cucina misi a bollire dell'acqua e adagiai il filtro nella tazza vuota che avevo recuperato poco prima. Appoggiando i gomiti sul grande piano di marmo, avvolsi la faccia tra le mie mani. Non mi davo pace.

Sobbalzai quando sentì il portone chiudersi e di scatto mi raddrizzai. Dylan era tornato? Mi affrettai per raggiungere l'atrio ma rimasi delusa nel vedere Chantal togliersi i tacchi con una smorfia. Alzò lo sguardo e un sorriso beffardo fece breccia su quel mascherone di trucco che adorava portare. Prese le scarpe da terra e iniziò a camminare verso di me. "Ho sentito dire che la tua amica si sia trovata in una situazione a dir poco spiacevole." iniziò, fermandosi a debita distanza da me; sapeva che non avrei probabilmente risposto di me quando avrebbe finito di sputare veleno. Strinsi leggermente gli occhi, mantenendo il contatto visivo in segno di sfida. "D'altronde non tutte possiamo vantare di avere l'appoggio e la protezione del capo come te Madison. Noi non ci facciamo scopare come se fossimo delle puttane in piena regola, non siamo intoccabili." - "Oh no, infatti a te riesce benissimo anche senza farti toccare dal capo o sbaglio? Sei per caso invidiosa Chantal?" sputai. Non ero sicura di nulla nella mia vita, ma di una cosa ne ero certo: Chantal era la persona più viscida e spregevole che io avessi mai conosciuto. Riusciva a superare lo schifo di Dylan e questa cosa, mi costava ammetterla. Una scintilla scoccò nei suoi occhi. Fece un passo deciso verso di me con gli occhi che brulicavano di rabbia. Avevo colpito nel segno. Bingo. "Ritira quello che hai detto sgorbio" minacciò a denti stretti. L'adrenalina iniziò a scorrere sempre più velocemente nel mio corpo, alimentano il coraggio ad uscire. Non ero mai stata una persona a cui piaceva creare casini o discutere, ma Chantal era capace di tirare fuori ogni briciola del mio lato oscure, che tanto custodivo con cura nell'angolo più remoto del mio cuore. Il suo veleno non avrebbe mai potuto uccidermi. Questa volta feci io un passo deciso verso di lei, senza interrompere il contatto visivo, nemmeno per un secondo. Presi qualche secondo prima di buttare l'ultima goccia di benzina sul fuoco che ci divideva. " Ho detto che a te riesce benissimo" sputai. "Adesso ti ammazzo sgorbio". Chantal cercò di prendermi una ciocca di capelli che riuscì a schivare facendo un passo indietro, ma lei tornò subito alla carica colpendomi sul lato del busto con il tacco della sua scarpa e io mi accasciai a terra, sentendo un dolore lancinante al fianco. Strinsi i denti quando mi afferrò per i capelli, strattonandomi all'indietro il capo. Si inginocchiò vicino a me mentre io cercavo di liberarmi dalla sua presa e avvicinò le sue enormi labbra vicino al mio orecchio: " Hope farebbe bene a morire piuttosto che avere uno sgorbio nella sua vita come te e tu cara Madiso sei solo una piccola puttana di poco valore." Sentì il sangue ribollirmi nelle vene per la frase che aveva appena sussurrato. Non mi importava che mi considerasse una poco di buono, ma sapere che se la stava prendendo con una mia amica, mentre stava lottando tra la vita e la morte mi fece uscire di testa. Le presi il braccio con cui ancora teneva saldi i miei capelli e le conficcai con forza le mie unghie. Urlò liberando la presa dalla mia testa e indietreggiò, tenendosi il polso saldo nella sua mano, come per sostenerlo. Probabilmente il giorno si sarebbe svegliata con un livido ma nulla di più. "Tu sei pazza!" urlò e in quel momento lo scoccare della serrature, fece sobbalzare entrambe. Dal portone principale fece capolinea la chioma biondo cenere di Dylan e Chantal, ne approfittò subito. "Il mio polso...il mio povero polso. Come ti salta in mente Madison! Tu sei pazza!" iniziò a piagnucolare lei, mentre mi regalava il ghigno più soddisfacente della sua vita. Il tempo non era mai stato dallo mia parte e quella ne era la prova concreta. La guardai in cagnesco mentre Dylan le si avvicinava da dietro, incenerendomi con il suo sguardo. "Che le hai fatto?" rombò subito, bloccandosi. Le gambe iniziarono a farsi molli e tutta l'adrenalina e il coraggio che mi avevano sostenuta fino a quel momento, sparirono a colpo d'occhio, lasciandomi sola con un ragazzo, che me l'avrebbe fatta pagare. Chantal mi guardò soddisfatta. Lei aveva vinto di nuovo quella partita e io ne avrei pagato le conseguenze. Dylan la sorpassò senza scollare i suoi occhi dai miei e quando rimase a pochi centimetri da me, potrei giurare di aver sentito le gambe cedermi. Alzai lo sguardo per sostenere il suo ma non risposi. Un groppo in gola mi impediva di parlare. "Allora? Sto aspettando una risposta Madison" tuonò nuovamente. Deglutì e un filo di voce, usci dalla mia bocca. "E' stata lei a cominciare"- "Io? Perchè non ti prendi le tue..." - "Nessuno ti ha interpellato Chantal. Alzati e vattene" ringhiò lui. Senza pensarci due volte, raccolse i suoi tacchi da terra e se ne andò senza aggiungere altro, continuando a tenere il polso saldo. Rimanemmo solo noi due. Io incapace di muovermi e lui che con i suoi occhi color ghiaccio, mi tenevano incatenata al pavimento. Rimasimo li qualche secondo fino a quando, finalmente, parlò, rompendo quel silenzio che mi stava torturando.

"Bimba, perché?" - "Non chiamarmi bimba" La sua enorme mano afferrò con forza la mia nuca, obbligando il mio viso a trovarsi a pochi centimetri dal suo. "Io ti chiamo come voglio" ringhiò. Cercai di divincolarmi ma la sua presa si fece più salda, impedendomi di scappare "No, non vai da nessuna parte, finché non te lo dico io." - "Cammina all'indietro bimba e non provare a fiatare" sospirò. Mi diede una leggera spinta, invitandomi a indietreggiare, seguendo i miei passi senza lasciarmi andare. Finimmo in cucina e fu lì che finalmente mi liberò chiudendo la porta alle sua spalle. Ricominciò ad avvicinarsi a me e il cuore minacciò di uscirmi dal petto. Indietreggiai leggermente ma mi bloccai quasi subito quando il piano da cucina mi impedì di andare oltre. "Corsa finita Madison" si bloccò davanti e il respiro ricominciò a mancarmi. Con una mano, afferrò il lato del mio viso, mentre con l'altra mi accarezzò lentamente il fianco facendo alzare i bordi della magliettina che indossavo. Il freddo del marmo a contatto con la mia pelle nuda mi procurò un brivido in tutto il corpo e lui se ne accorse, perché strinse la presa sul mio fianco avvicinandomi a lui. Il fiatò iniziò a mancarmi e il mio corpo, traditore, iniziò a scaldarsi, mentre lui si limitava a guardarmi con quegli occhi provocanti e la sua mano iniziò a farsi strada sotto la maglietta, fino ad arrivare vicino al mio seno destro che sfiorò leggermente. Sobbalzai per quel contatto e un sorriso malizioso apparve sul suo viso. Con il dito iniziò a giocare con il mio capezzolo e una scarica elettrica si fece spazio tra le mie cosce. Istintivamente strinsi leggermente le gambe ma Dylan fece sgattaiolare l'altra mano lontana dal mio viso per poterla posizionare proprio tra le mie cosce e un'altra scarica  passò indisturbata. "Non ci provare" sussurrò iniziando a farsi spazio e inserendosi proprio dove speravo non arrivasse. La sua intimità si scontrò con la mia ormai umida, e in risposta inarcai la schiena per il poco preavviso. Un leggero gemito uscì dalla mia gola. "Oh bimba. Che effetto mi fai" la voce gli uscì rauca come se anche a lui si stesse seccando la bocca. Odiavo l'effetto che mi faceva. Odiavo il mio corpo, che come l'ultima volta, si era arreso a quel piacere sbagliato. "Dylan..." le parole mi uscirono in un sussurro. Fece scivolare il suo dito sul mio labbro inferiore "Shh bimba. Non c'è bisogno di parlare ora" e dopo quell'affermazione il mio corpo cedette a quell'ultimo briciolo di buon senso e annegai lentamente nel mio piacere, lasciando le redini di quel gioco malato a Dylan, senza opporre a minima resistenza.

Il mio demone custodeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora