CAPITOLO 16

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Il viaggio verso casa fu stranamente silenzioso. Dylan non mi rivolse la parole nemmeno per sbaglio e questa cosa, non fece che preoccuparmi sempre di più. Non era sicuramente una persona a cui piacesse particolare avere una conversazione, questa era una cosa certa, ma non si lasciava mai scappare l'occasione di parlarmi di cosa mi avesse fatto una vola tornati a casa o di quanto avessi guadagnato quella.... oddio. Non avevo preso proprio un bel niente quella sera. Non ero nemmeno stata in pista più di tanto. Forse si era solo innervosito a vedermi parlare con Tom durante il nostro turno di lavoro o peggio, mi aveva vista discutere con il moro o con il ragazzo che avevo accidentalmente colpito.. Ma lui come faceva a saperlo se non era nemmeno li quella sera?  "io ho occhi e orecchie ovunque tu sia Madison. Non scordarlo mai" mi ripeteva sempre. Già, forse dopo quella sera ci avrei iniziato a credere seriamente a quelle parole. La macchina frenò bruscamente davanti all'abitazione e per poco non fui catapultata al posto di Victor. Dylan scese dalla macchina sbattendo la portiera alle sue spalle e si incamminò senza degnarmi di uno sguardo verso il porticato. Non lo avevo mai visto così arrabbiato e i miei muscoli si congelarono completamente. Non avevo il coraggio ne tanto mene la forza di uscire dall'auto perché sapevo benissimo che una volta varcata la porta d'ingresso per me sarebbe stato l'inizio della fine. Mi accasciai sul sedile posteriore portandomi le mani tra i capelli mentre cercavo disperatamente un pò di audacia per scendere da li; prima o poi avrei comunque dovuto farlo. Espirai profondamente e afferrai la maniglia della portiera, ma prima che l'aprissi, Victor richiamò la mia attenzione.

"Posso darti un consiglio ragazzina?"

Mi voltai nella sua direzione e annui

"Ho visto tante ragazze su quest'auto, prima ancora che salissi tu e tutte loro hanno creduto di essere troppo importanti e intoccabili, come lo sei tu." 

Lo vidi deglutire e chiudere gli occhi, come se gli volesse più coraggio di quanto credeva per dirmi quelle cose e io, lo ascoltai attentamente.  

"Voglio bene a Dylan, come se fosse mio figlio, ma ragazzina, fai attenzione. Non sfidarlo." concluse riaprendo gli occhi e sistemandosi il capellino sulla fronte. Lo guardai dritta nello specchietto studiando la sua espressione facciale. Sapeva molto di più di quello che doveva sapere, era sicuro. Chissà a cosa aveva assistito. Presi quel briciolo di coraggio che avevo raccolto durante il suo avvertimento e lo scaraventai fuori di getto.

"Victor. Che fine hanno fatto quelle ragazze?" La mia domanda lo turbò e lo vidi perfettamente nello specchietto. 

"E' meglio che vai. Dylan ti sta aspettando e io ti ho detto anche fin troppo" concluse lui, facendo rigirare le chiavi per accendere l'auto. Mi voltai e vidi il diavolo osservarmi da lontano con le braccia incrociate al petto. I suoi occhi color ghiaccio riuscivano a penetrarmi anche a quella distanza, facendomi ribaltare lo stomaco. Scossi il capo mentre scendevo dalla vettura e mi diressi a passi svelti verso il portico con fare sicuro, oltrepassandolo, senza degnarlo di uno sguardo. Non avevo paura di lui ne tanto meno delle sue minacce. 

"Dove credi di andare tu?" la sua voce rude mi fece bloccare e le vene mi si gelarono. Madison, devi essere forte o ti annienterà. 

"Dove credi che stia andando? A dormire" risposi cercando di tenere la voce salda. Lo sentì incamminarsi verso di me, ma io rimasi di sasso, non riuscendo a muovere nessuna parte del corpo. Il mio corpo si irrigidì ulteriormente quando sentì il calore del suo corpo a pochi millimetri dal mio. La sua mano si appoggiò avida sul mio fianco, obbligandomi ad indietreggiare e quando mi trovai con la schiena completamente appoggiata al suo torace il mio cuore iniziò a battere all'impazzata. Cominciai a guardare un punto fisso davanti a me, mentre il respiro di faceva sempre più irregolare e il mio cuore minacciava di uscire dal petto da un momento all'altro. Stavo per avere un attacco di panico, ma dovevo resistere. Non volevo che uscisse con lui presente o avrebbe usato questa mia debolezza contro di me. Lui cercava in tutte le persone la sua parte più fragile che poi usava per distruggerti, senza lasciarti più niente e a me, aveva tolto abbastanza. Dylan avvicinò la sua bocca al mio orecchio e l'alito caldo mi solleticò il lobo, provocandomi un brivido. 

"I soldi Madison. Dove sono?" sussurrò piano, prima di leccare un punto sul mio collo che mi fece rabbrividire.

"Non.. non li ho" la voce mi uscì come un bisbiglio. Volevo solo scappare in camera mia. Quella sera non avevo la forza per affrontarlo. 

Dylan stacco le labbra dal mio collo e la presa sul mio fianco si fece più dura.

"E perché non li hai?" Non mi diede il tempo per rispondere perché l'altra sua mano si posizionò sulla mia bocca, impedendomi di parlare. Inizia a tremare sotto al suo tocco e in risposta, lui si fece scappare una risatina compiaciuta. Adorava scoparmi, ma molto di più umiliarmi.

"Shh, non voglio saperlo." mi lasciò un veloce bacio sul collo e si allontanò senza dire una parola. I muscoli del mio corpo si rilassarono appena sentì la porta della sua suite chiudersi e con le ultime forze che aveva in corpo, salì le scale. Appena entrai nella mia camera, mi accasciai sulla porta, mentre il respiro si era fatto completamente irregolare. Il mio torace si alzava e abbassava senza sosta, mentre i miei polmoni cercavano ossigeno disperatamente. Le mani e i piedi iniziarono a informicolarsi mentre un miliardi di emozioni e sensazioni negative presero il sopravento alla sprovvista. Le guance si inumidirono ben presto dalle lacrime, che scendevano come cascate. Mi sentivo impazzire. Mi rannicchiai su me stessa, tenendo la testa tra le mani. Madison, respira. 1..2...3 . Voltai lo sguardo verso il letto vuoto di Hope e la paura mi travolse come uno tsunami. La consapevolezza che quella sera non ci sarebbe stata lei ad aiutarmi ad uscirne mi fece quasi soffocare. Strinsi i capelli tra le nocche e chiusi gli occhi cercando un posto sicuro dentro di me, dove potermi aggrappare. Nonostante la poca lucidità, finalmente lo trovai e lo strinsi a me, con tutta la forza che avevo. 

Il profumo di torta di mele e la grande poltrona verde. Le mani smisero di tremare

Il sole che entrava dalla finestra davanti al lavabo. I muscoli di distesero

Il vecchio golfino appoggiato sulla sedia. Il cuore rallentò la sua corsa

La sua mano che mi accarezzava la guancia. I polmoni ritrovarono l'ossigeno, mentre il mio petto ricominciò a prendere un ritmo normale

"Mia piccola gioia" la sua voce fu l'ultimo ricordo che mi serviva. La testa si fece leggera e quando riaprì gli occhi mi lasciai andare in un pianto liberatorio. Era tutto finito, ma ero completamente distrutta. Avevo sempre sofferto di attacchi di panico e col tempo avevo imparato a controllarli, anche se, non sempre ci riuscivo. Cercavo di soffocarli con tutte le forze che avevo, ma quando erano così improvvisi, prendevano il sopravvento senza lasciarmi via di scampo. Asciugai velocemente le guance e mi diressi verso il mio letto, dove mi lasciai cadere ormai stremata da tutte quelle emozioni che avevo provato quella sera.  



Il mio demone custodeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora